Quale contratto per la scuola?

La proposta contrattuale dei sindacati propone gli straordinari come mezzo per recuperare il potere d’acquisto perso, accettando la compressione salariale.


Quale contratto per la scuola?

Il contratto collettivo nazionale di lavoro della scuola è bloccato dal 2008, nel frattempo una serie di riforme (ultima la legge 107) ha modificato il quadro normativo, andando talvolta in contrasto con il contratto stesso. Proprio sulla base di questo contrasto, in un quadro di passività generale a livello nazionale, si sono sviluppate delle lotte di resistenza scuola per scuola. Resistenze che però non sono state assolutamente in grado di contrastare il livello dell’attacco governativo, mancando di un piano generale di conflitto. Ciò ha portato alla promulgazione a maggio scorso dei decreti attuativi della “buona scuola”, senza una risposta adeguata.

In questi anni, tra i lavoratori più coscienti ed attivi, sono prevalse due posizioni diverse relativamente al contratto, fortemente influenzate dalle appartenenze sindacali, ma nei fatti speculari e insufficienti. Da una parte si sostiene che sia meglio non rinnovare il contratto, in quanto si avrebbe solo un peggioramento delle condizioni di lavoro, e di conseguenza non si è lavorato per costruire una mobilitazione su questa questione decisiva. Dall’altra, invece, si vuole rinnovare il contratto ad ogni costo, concedendo, se necessario, qualcosa alla propria controparte, senza adeguatamente mobilitare i lavoratori. Entrambe le posizioni sono deboli e non in grado di contrastare il livello dell’attacco governativo.

In un quadro di generale assenza di mobilitazione, come evidenziato anche dai recenti scioperi generali con percentuali di adesione nella scuola inferiori al 2%, l’attacco del governo non può che crescere. Tanto più che i poteri forti, a partire dall’Unione Europea, spingono per una sempre maggiore riduzione dei salari e dei diritti dei lavoratori, come ben evidenziato dalle ultime richieste sulle pensioni. Se la classe nel complesso non è in grado di opporre una resistenza adeguata e passare al contrattacco, i padroni e i loro governi non possono che approfittarne, portando avanti la loro lotta di classe. In una fase come questa, non essere in grado di dar luogo ad un conflitto all'altezza dello scontro per migliorare il proprio contratto, ma limitarsi a mantenere lo status quo, è un evidente segno di debolezza. Ciò non farebbe che incentivare il governo nel continuare a modificare mediante legge la materia contrattuale, evidenziando, se mai ce ne fosse bisogno, tutta la propria irrilevanza. L’arretramento delle condizioni di lavoro non farà che ridurre ulteriormente il potere negoziale delle rappresentanze dei lavoratori ed aumentare l’aggressività padronale. Rinnovare il contratto è, quindi, importante, se non fondamentale, ma per farlo senza arretrare pesantemente bisogna avere anche la capacità di mobilitarsi in modo adeguato.

Il punto è che chi ha i mezzi per mobilitare i lavoratori della categoria non vuole procedere in questa direzione, ma piuttosto limitarsi a fare l’ennesimo assist al “governo amico” in vista delle elezioni politiche previste per il prossimo anno. Infatti si ha intenzione di scambiare un contratto al ribasso, che darà pochi spiccioli, in cambio di una propria legittimazione. Spiccioli che nella prima tranche saranno probabilmente più cospicui, se dovessero essere previsti i pagamenti degli arretrati degli anni passati, e di conseguenza spendibili elettoralmente. Questa legittimazione non è però sostenuta dal coinvolgimento e dalla mobilitazione dei lavoratori, ma avviene mediante accordi nelle segrete stanze della concertazione. In una fase come questa, per recuperare quanto si è perso e non arretrare sempre di più, invece, bisognerebbe avere la capacità di mobilitarsi, collegando il tema del contratto del pubblico impiego a quello più generale del mondo del lavoro, a partire dalle pensioni, mediante un forte sciopero generale. Uno sciopero non di testimonianza, per piantare la propria bandierina, ma che dia una reale prospettiva di riscossa ai lavoratori. Tanto più che con le elezioni alle porte, una categoria molto numerosa sul piede di guerra, e la possibilità di estendere il conflitto a tutto il mondo del lavoro, i partiti di governo dovrebbero fare forti concessioni per non essere travolti nelle urne.

Vediamo dunque quali sono i termini della trattativa sindacale. A fronte di una perdita di potere d’acquisto dei salari di almeno 300 euro al mese, i sindacati maggioritari firmatari dell’ultimo contratto [1] si limitano a chiedere 85 euro medi lordi di aumento mensile, che dipendono quindi dall’inquadramento. Per le categorie con salari più bassi, come gli ATA, ciò corrisponderà ad un aumento netto di circa 40 euro al mese. Nell’ultima assemblea provinciale di Roma i sindacalisti hanno provato a rivendere questa piattaforma come l’unica possibile, accettando nei fatti l’austerità, ed evidenziando come nella legge di bilancio non siano state stanziate ulteriori risorse. Tuttavia si sarebbe potuto fare molto di più, se solo si fosse voluto, mobilitandosi in modo adeguato durante l’approvazione di tale legge per ottenerne una riscrittura più favorevole agli interessi dei lavoratori, e non limitandosi a constatare a posteriori l’esistente. Come ha ben evidenziato una RSU, intervenuta in quell’assemblea, se in passato ci si fosse limitati a disegnare scenari e a rassegnarsi a questi, oggi non avremmo lo statuto dei lavoratori e tante altre tutele.

Per quanto riguarda la parte normativa, si apre, con il pretesto di scatti anticipati, alla differenziazione salariale, aumentando le già presenti lacerazioni tra i lavoratori della scuola. Infatti, in un contesto in cui il meccanismo perverso del bonus “di merito”, fulcro della visione aziendalistica della legge 107, ha già provveduto a dividere i docenti tra “bravi” e “meno bravi”, con tale provvedimento si aumenterà la conflittualità tra i lavoratori per pochi spiccioli in più. La stesura della piattaforma sindacale non è poi delle più chiare, poiché presenta ampi margini di ambiguità, se non addirittura una malcelata accettazione del meccanismo della valutazione [2]. Una piattaforma sindacale, diretta ai lavoratori, non dovrebbe contenere tali ambiguità ma esprimere in modo netto e chiaro la propria proposta, non generando possibili interpretazioni.

A prescindere dall'interpretazione che si da a quel capitolo non dei più chiari, quello che pare evidente oltre ogni possibile lettura è la sostanziale accettazione della pratica degli straordinari. Infatti se si collega l’aumento per tutti “da fame”, che non recupera assolutamente quanto perso in questi anni nel salario reale, con gli scatti anticipati dovuti al lavoro aggiuntivo si capisce chiaramente dove si vuole andare a parare. Il salario base sarà mantenuto basso, mentre ogni possibile aumento sarà relazionato alla produttività e ai lavori aggiuntivi, ad oggi retribuiti in modo del tutto insufficiente come extra all’interno della contrattazione di secondo livello, quella d’istituto. Se poi si va a vedere la piattaforma della controparte, si nota una sostanziale analoga impostazione [3]. Una contrattazione che si avvia con la stessa piattaforma per le due parti non è di certo all’inizio, come qualche sindacalista vorrebbe far credere, ma in fase conclusiva. Tale ipotesi è avvalorata dalla totale passività sindacale, che non si è caratterizzata per scioperi e mobilitazioni di rilievo in prossimità di un passaggio delicato come il rinnovo contrattuale, momento in cui le organizzazioni sindacali dovrebbero mettere in campo tutta la propria forza per strappare alla controparte le migliori condizioni contrattuali possibili.

Se si legge inoltre la piattaforma sindacale per la contrattazione d’istituto [4], presentata dagli stessi sindacati nella provincia di Roma - non una provincia secondaria ma tra quelle più incidenti a livello nazionale - si nota una stessa impostazione sostanziale: l’accettazione del meccanismo degli straordinari. Infatti tale impostazione è assunta dai sindacati anche per le supplenze previste dalla legge; dove, si preferisce dare priorità ai docenti di ruolo che richiederanno ore eccedenti, invece di convocare il personale supplente. Ecco che il meccanismo delle 24 ore settimanali di servizio in classe di montiana memoria viene reintrodotto come una richiesta degli stessi lavoratori per integrare il proprio basso salario: e il cerchio si chiude. La compressione salariale che non recupera l’inflazione dovrà essere integrata con il lavoro aggiuntivo. Gli straordinari espressamente previsti dalle parti inoltre non godranno di nessuna maggiorazione retributiva.

Tale proposta di aumento dell’orario e dei ritmi di lavoro in un quadro di disoccupazione in crescita è del tutto suicida per la classe lavoratrice. La logica del lavorare di più per integrare il proprio salario metterà chi lavora contro chi non lavora, in una guerra tra poveri, di cui il riemergere del razzismo non è che la punta dell’iceberg. L’aumento numerico dell’esercito industriale di riserva incentiverà ulteriormente la pratica di abbassare il costo della forza-lavoro, in un circolo vizioso del tutto a favore dei datori di lavoro. In un contesto di riduzione di necessità della forza-lavoro, come conseguenza dell’aumento della produttività, invece la proposta che i lavoratori dovrebbero fare propria è quella della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; l’unica in grado di riunire la classe frammentata tra occupati, disoccupati e sottooccupati per rilanciare con forza la lotta di classe contro il proprio reale antagonista. Una lotta da affiancare alla necessaria rivendicazione del recupero del salario reale, per non avvalorare tra i lavoratori la pratica degli straordinari e quindi la divisione.

Divisione che ha varie matrici, che vanno tutte ugualmente contrastate. E’ necessario ricomporre su programmi rivendicativi chiari ciò che le diverse condizioni tendono a dividere, siano esse di natura oggettiva, come il lavoro e il non lavoro, il contratto o la categoria, o di natura soggettiva, come le divisioni sindacali. Solo l’unità di classe potrà infatti garantire migliori rapporti di forza e un esito che avvicini i lavoratori alla vittoria mediante anche quei piccoli passi riformistici, necessari affinché si acquisisca la consapevolezza di poter cambiare l’esistente mediante la lotta. E quindi necessario uscire fuori dalla passività di chi non ha fiducia nel proprio protagonismo e nella possibilità di incidere sulla realtà. Niente e nessuno potrà cambiare le cose se non saranno i lavoratori per primi a prendere in mano il proprio destino smettendo di delegare il conflitto a questo o a quel sindacato, a questa o quella forza politica che risolverà la situazione dopo il voto. Per questo è necessario, tanto più oggi, che i lavoratori si organizzino autonomamente in modo trasversale, a prescindere dalla propria appartenenza sindacale, in strutture consiliari per ridare fiato e protagonismo al conflitto di classe e rilanciarlo su basi unitarie e più incisive. Oggi più che mai c’è necessità di unità e protagonismo dei lavoratori.


Note

[1] A dire il vero non tutti, essendo la GILDA non coinvolta nelle trattative che coinvolgono la CGIL, la CISL, la UIL e lo SNALS.

[2] Per una lettura integrale della proposta dei sindacati si può consultare la seguente pagina, in particolare ci si riferisce alla parte a pagina 12.

[3] Qui è possibile leggere la piattaforma, inviata all’ARAN, l’ente che rappresenta le pubbliche amministrazioni nella contrattazione sindacale.

[4] Nella pagina della CISL di Rieti è possibile scaricare la proposta dei sindacati della provincia di Roma, che farà scuola a livello nazionale.

16/12/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Marco Beccari

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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