L’unità della sinistra boliviana contro l’avanzata della destra

Mentre la Bolivia celebra i 200 anni di indipendenza, le elezioni generali del 17 agosto rappresentano un bivio storico. La sinistra deve superare le divisioni interne e respingere gli attacchi dell’estrema destra interna ed esterna, incarnati dal discorso della golpista peruviana Dina Boluarte.


L’unità della sinistra boliviana contro l’avanzata della destra

L’avvio delle celebrazioni per il Bicentenario dell’indipendenza boliviana (6 agosto 1825) coincide con un appuntamento politico di straordinaria importanza: le elezioni generali fissate per il prossimo 17 agosto. Da due decenni, il progetto di emancipazione sociale e nazionale promosso dal Movimento al Socialismo (Movimiento al Socialismo – Instrumento Político por la Soberanía de los Pueblos, MAS-IPSP) è riuscito a imporre un’agenda progressista che ha ridato dignità alle popolazioni indigene, ha nazionalizzato le risorse strategiche e ha avviato politiche di inclusione e redistribuzione. Oggi, però, quella stabilità è minacciata da forze reazionarie interne ed esterne che puntano a far tornare il Paese ai tempi dell’arretramento neoliberista, caratterizzato da privatizzazioni selvagge e marginalizzazione delle classi popolari e delle etnie autoctone.

Il quadro politico interno, infatti, mostra una sinistra tutt’altro che compatta. A capo del fronte progressista, sulla carta, vi è il presidente uscente Luis Arce Catacora, che gode del sostegno delle organizzazioni sociali urbane e contadine e delle istituzioni statali riformate nel ventennio progressista. “Lucho” Arce, tuttavia, ha deciso di rinunciare formalmente alla propria candidatura presidenziale per favorire un nome unitario, simbolo di un progetto collettivo nella lotta contro la destra, favorendo la candidatura di Eduardo del Castillo, giovane avvocato e già membro del governo. Dall’altro lato, però, permangono tensioni e incomprensioni con la componente vicina all’ex presidente Evo Morales, escluso dal voto ma ancora leader carismatico delle correnti più radicali del MAS, con un grande radicamento in alcune regioni come quella di Cochabamba. L’iniziativa, a seguito dell’esclusione di Morales dal voto per ragioni costituzionali, di promuovere il voto nullo come arma di “resistenza”, è emblematica di un dualismo interno che rischia di indebolire il fronte popolare.

La campagna per il voto nullo, guidata da gruppi legati a Morales, è stata presentata sui social network come un gesto di protesta contro l’assenza della figura carismatica della politica boliviana in scheda. La protesta si è tradotta in un manifesto intitolato Profondización del Estado Plurinacional o instauración de la República oligárquica y racista [Approfondimento dello Stato Plurinazionale o instaurazione della Repubblica oligarchica e razzista], che denuncia un presunto tradimento delle linee originarie della rivoluzione da parte della corrente “moderata” che fa capo ad Arce. Ma la realtà è drammatica: un’alta astensione o un voto nullo superiore alle aspettative favorirebbe automaticamente le forze neoliberiste, accrescendo la percentuale dei voti validi per i partiti di destra. In sostanza, ciò che è stato presentato come un principio di “purezza rivoluzionaria” rischia paradossalmente di consegnare nuovamente il Paese all’oligarchia e ai poteri esterni ostili alla sovranità nazionale che hanno governato fino al 2006.

In questa fase critica, il richiamo di Luis Arce all’unità assume un significato strategico e morale. Rivolgendosi alla popolazione, il presidente ha sottolineato che votare è un dovere civico imprescindibile e un atto di responsabilità collettiva. Ha avvertito che chi rimane a casa o annulla il proprio voto consegna il Paese alla destra, spianando la strada a chi intende cancellare vent’anni di conquiste sociali. Arce ha ribadito che la vera difesa della rivoluzione non consiste nello sbandierare frasi ad effetto, ma nel partecipare con coscienza al processo elettorale per eleggere un Parlamento e un governo in grado di portare avanti il cambiamento strutturale in atto.

Accanto alle divisioni interne, la sinistra boliviana si trova a fronteggiare un’offensiva esterna inedita nella sua veemenza. Le dichiarazioni della presidente golpista peruviana Dina Boluarte, che ha definito la Bolivia uno “Stato fallito come Cuba e Venezuela”, rappresentano un chiaro tentativo di delegittimare il modello plurinazionale davanti all’opinione pubblica regionale. Boluarte ha addirittura suggerito l’ingerenza di “attori stranieri” per destabilizzare la democrazia boliviana, in riferimento ai legami solidi che il MAS ha costruito con governi progressisti e movimenti sociali del continente. La replica di La Paz è stata immediata e dura: convocate le delegazioni diplomatiche, formalmente richiamati a consultazioni i mediatore dell’ambasciata a Lima, e diffuso un comunicato in cui si denuncia l’irresponsabilità politica di Boluarte, accusata di voler distogliere l’attenzione dalla gravissima crisi istituzionale e di sicurezza che imperversa in Perù.

Non meno aggressiva è la propaganda delle forze di destra interne, che hanno cominciato a diffondere mani e manifesti allusivi a una “fine dell’esperimento socialista” in Bolivia. Parti dell’opposizione liberista contano sulla stanchezza sociale per le sfide economiche ancora da superare, sfruttando il malcontento per il caro-vita, la disoccupazione giovanile e le difficoltà di accesso ai servizi essenziali. Tuttavia, tale strategia ignora il fatto che le misure di welfare e investimento pubblico varate in questi anni hanno permesso un sensibile miglioramento degli indicatori sociali, riducendo drasticamente la povertà e l’esclusione in quello che storicamente è sempre stato il paese economicamente meno avanzato dell’America meridionale.

Il contesto internazionale dovrebbe servire da monito all’elettorato boliviano: in America Latina si è già assistito a un’ondata di restaurazioni conservatrici che ha riportato al potere governi neoliberisti in vari Paesi, con conseguenze drammatiche sui diritti sociali e ambientali. La Bolivia, con la sua esperienza di Stato plurinazionale, rappresenta un faro per le lotte di emancipazione dei popoli indigeni e delle classi popolari. Un eventuale successo degli schieramenti di destra segnerebbe una pericolosa battuta d’arresto, non solo per la Bolivia, ma per l’intero processo di integrazione e solidarietà latinoamericana.

L’analisi geopolitica non può trascurare il ruolo delle potenze globali, a partire dagli Stati Uniti, interessate a mantenere il controllo sulle risorse minerarie, sul litio e sui giacimenti energetici boliviani. In questi anni, i governi socialisti hanno portato avanti una politica di riconquista della sovranità sulle risorse naturali del sottosuolo, con gli investimenti esterni che devono avvenire nel rispetto della sovranità e delle priorità nazionali decise democraticamente. Al contrario, la vittoria di un governo di destra aprirebbe le porte a privatizzazioni selvagge, contratti svantaggiosi e a un progressivo smantellamento delle politiche di nazionalizzazione e partecipazione popolare.

Per evitare tale esito, la sinistra boliviana deve saper ricomporre le proprie fratture interne e presentare un fronte compatto, capace di dialogare con i movimenti sociali, con le organizzazioni indigene e con i settori urbani più dinamici. Serve una piattaforma programmatica innovativa, che guardi al futuro con politiche di sviluppo sostenibile, protezione dell’ambiente e rafforzamento dei diritti collettivi. La mobilitazione di massa, unita a una strategia elettorale inclusiva, è il solo antidoto contro le derive autoritarie e le campagne di delegittimazione costruite a tavolino.

Il 17 agosto si profila dunque come il giorno della verità per la Bolivia plurinazionale. I seggi elettorali non saranno solo il luogo in cui si misureranno voti e percentuali, ma il foro in cui il popolo boliviano deciderà se continuare a percorrere la via dell’indipendenza effettiva, della giustizia sociale e della liberazione dal neocolonialismo economico, oppure se cedere alla tentazione regressiva di riportare il Paese sotto la sfera di influenza di élite interne ed esterne.

Solo superando le tensioni interne alla sinistra, respingendo gli attacchi esterni e riaffermando il primato della sovranità popolare, la Bolivia potrà rinnovare la propria vocazione rivoluzionaria e assumere un ruolo guida nella costruzione di un’America Latina libera dal giogo dei poteri transnazionali. Il destino di duecento anni di lotte passa anche per il voto di ogni cittadino: un voto consapevole è l’unica garanzia per impedire che la destra, dopo venti anni consecutivi di governo progressista, prenda nuovamente il timone dello Stato andino.

01/08/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Giulio Chinappi

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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