Lenin contro il burocratismo

La deviazione burocratico-economicista tende a contrapporre lo sviluppo della produzione, indispensabile ai fini della transizione al socialismo, all’altrettanto necessaria lotta al burocratismo, considerando quest’ultima lotta come una preoccupazione politicista e una difesa piccolo-borghese della democrazia formale.


Lenin contro il burocratismo

Ai gravi errori politici, denunciati da Vladimir I.U. Lenin, della deviazione sindacalista rivoluzionaria corrispondono gli errori opposti della deviazione burocratico-economicista. Quest’ultima tende a contrapporre lo sviluppo della produzione, indispensabile ai fini della transizione al socialismo, all’altrettanto necessaria lotta al burocratismo, considerando quest’ultima lotta una preoccupazione politicista e una difesa piccolo-borghese della “democrazia formale”. Al contrario, a parere di Lenin “senza una giusta impostazione politica una determinata classe non può mantenere il suo dominio, e non può quindi neppure assolvere il suo compito nella produzione” [1].

Propria della deviazione burocratica è, per esempio, la parola d’ordine lanciata da Lev Trotskij di “scuotere i sindacati”, ovvero di sottoporli a un completo controllo organico da parte del Partito, considerando superata nella transizione al socialismo la loro funzione di difesa degli interessi dei lavoratori. Lenin, pur condividendo la necessità di “nuovi compiti e metodi” sindacali nella transizione al socialismo, considera tale parola d’ordine “assolutamente inammissibile” [2], in una situazione in cui la piccola borghesia cerca di sfruttare i deficit di democrazia e i problemi di burocrazia del potere sovietico per spezzare l’unità della classe operaia.

All’impostazione economicista, Lenin contrappone una corretta valutazione politica del problema: se non si trattano le legittime rivendicazioni sindacali in modo adeguato, “sarà la fine del potere sovietico, della dittatura del proletariato. (Una scissione tra il Partito e i sindacati, se il Partito avesse torto, farebbe certamente crollare il potere sovietico in un paese contadino come la Russia)” [3]. Per evitare una contrapposizione fra Partito e sindacato è indispensabile che la politica del primo favorisca la partecipazione dei sindacati alla gestione dell’economia. Solo mediante “un reale controllo popolare sui risultati della produzione”, tramite il ruolo decisivo del sindacato che inizia le masse lavoratrici a questa decisiva funzione, sarà possibile portare avanti conseguentemente la lotta “contro la burocratizzazione dell’apparato economico del potere sovietico” [4]. 

Ciò non significa che Lenin rifiuti astrattamente, come faceva l’“opposizione operaia”, la “militarizzazione del lavoro” sostenuta da Trotskij che, anzi, ritiene in una prima fase indispensabile. Si tratta, al contrario, di tenere assieme la militarizzazione del lavoro e la lotta al burocratismo per poter realizzare la democrazia proletaria. Come osserva a tal proposito Lenin: “le decisioni sulla militarizzazione del lavoro, ecc. sono incontestabili, e non ho nessun bisogno di ritrattare le mie decisioni sui richiami alla democrazia da parte di coloro che mettevano in discussione queste stesse decisioni” [5].

D’altra parte, “l’errore di Trotski è l’unilateralità, l’infatuazione, l’esagerazione, l’ostinazione” [6] con cui porta avanti tale parola d’ordine anche dopo essersi trovato da solo contro l’intero Comitato centrale del Partito, mettendo, dunque, in discussione il centralismo democratico. Di contro a tale individualismo Lenin rivendica il ruolo attivo dei sindacati decisivo proprio per contrastare la burocratizzazione della produzione durante la transizione al socialismo. A tale proposito rivendica in pieno la tesi del partito sul sindacato contro la quale si opponevano vanamente Trotski e Nikolaj Bucharin: “«la partecipazione dei sindacati alla gestione dell’economia e l’iniziazione di larghe masse a quest’opera costituisce, nello stesso tempo, il mezzo principale di lotta contro la burocratizzazione dell’apparato economico del potere sovietico e permette di effettuare un reale controllo popolare sui risultati della produzione»” [7].

Lenin non intende trascurare l’improrogabile esigenza di stimolare in ogni modo lo sviluppo della produzione, ma non attraverso astratte parole d’ordine come la “democrazia della produzione” quanto, piuttosto, mediante misure concrete quali “premi in natura e i tribunali disciplinari di compagni” [8].

Lenin ritiene, dunque, necessario allargare “la democraticità nelle organizzazioni operaie, senza farne assolutamente un feticcio” e correggere “con particolare cura tutti gli eccessi burocratici inutili e dannosi” [9]. Il deviazionismo burocratico perde di vista una funzione decisiva dei sindacati, il loro essere “una scuola di direzione tecnico-amministrativa della produzione”, ovvero “una scuola di unione, una scuola di solidarietà, una scuola di difesa dei propri interessi, una scuola di gestione economica, una scuola di amministrazione” [10].

Senza contrare che Lenin coglie proprio nella tendenza al burocratismo di quella che denuncerà come aristocrazia operaia, il motivo principale del fallimento della rivoluzione in Occidente, che rischiava di mettere in crisi la strategia bolscevica che aveva rotto la catena degli Stati imperialisti nel suo anello più debole, per favorire la decisiva rottura negli anelli più forti, ovvero la rivoluzione nei paesi a capitalismo avanzato: “il carattere relativamente «pacifico» del periodo 1871-1914 ha alimentato l’opportunismo, stato d’animo dapprima, tendenza in seguito, e, infine, gruppo o strato composto dalla burocrazia operaia e dai compagni di strada piccolo-borghesi” [11].

Peraltro la lotta alla burocrazia è considerata da Lenin un aspetto decisivo della Rivoluzione socialista. Come osserva a tal proposito Lenin: Karl Marx – che “nel settembre 1870, sei mesi prima della Comune, aveva messo addirittura in guardia gli operai francesi: l’insurrezione sarebbe una follia, egli disse nel noto Indirizzo dell’Internazionale” – difende a spada tratta l’esperienza storica dei comunardi in quanto “è un tentativo, egli dice, di spezzare la macchina burocratico-militare, anziché trasmetterla semplicemente in altre mani. E intona un vero osanna agli «eroici» operai parigini, capeggiati da proudhoniani e da blanquisti” [12]. Del resto, per Lenin la lotta alla burocrazia è un aspetto decisivo, una conditio sine qua non per portare a buon fine la transizione al socialismo. Così, per esempio, sostiene: “Kautsky non ha affatto capito la differenza fra il parlamentarismo borghese, che unisce la democrazia (non per il popolo) alla burocrazia (contro il popolo), e il sistema democratico proletario, che prenderà immediatamente le misure necessarie per tagliare alle radici il burocratismo e sarà in grado di applicarle sino in fondo, sino alla completa distruzione della burocrazia, sino all’instaurazione di una completa democrazia per il popolo” [13].

Da qui la dura polemica di Lenin contro “l’opposizione operaia” che si limita a denunciare tutti i pericoli del burocratismo, ma poi non collabora con la maggioranza del partito alla lotta contro di esso, ma utilizza tale problematica per accusare il gruppo dirigente di aver tradito la propria funzione di avanguardia del proletariato: “non possiamo lottare con pieno successo contro il burocratismo, attuare una democrazia conseguente perché siamo deboli, non abbiamo forze; e chiunque ci possa aiutare dev’essere invitato a farlo; ma chi, col pretesto di aiutarci, ci presenta opuscoli simili [a quelli dell’opposizione operaia] dev’essere smascherato e allontanato!” [14].

 

Note:

[1] Vladimir I.U. Lenin, Ancora sui sindacati, la situazione attuale e gli errori di Trotski e di Bukharin [25 gennaio 1921], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 503.

[2] Ivi, p. 493.

[3] Ivi, p. 502.

[4] Ivi, p. 522.

[5] Ivi, p. 524.

[6] Ivi, p. 520.

[7] Ivi, p. 522.

[8] Ivi, p. 503.

[9] Ivi, p. 524.

[10] Ivi, p. 516.

[11] Id., L’opportunismo e il crollo della II Internazionale [gennaio 1916], in op. cit., p. 247.

[12] Id., Prefazione alla traduzione russa delle Lettere di K. Marx a L. Kugelmann [5 febbraio 1907], in op. cit., p. 59.

[13] Id., Stato e rivoluzione [agosto-settembre 1917], in op. cit., p. 322.

[14] Id., Discorso di chiusura del dibattito sul rapporto del CC del PC(b)R al X congresso del PC(b)R [marzo 1921], in op. cit., p. 531.

11/02/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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