Leninismo e democrazia

Nella democrazia borghese le decisioni fondamentali non sono prese in parlamento dove è tollerata la presenza di una minoranza, ma piuttosto nella borsa o nelle banche pienamente sotto il controllo della borghesia.


Leninismo e democrazia

Segue da Lenin Vs il democraticismo.

Vladimir I. Lenin denuncia con forza, di contro al democraticismo del rinnegato Kautsky, che la partecipazione delle masse dei lavoratori alle attività parlamentari nella società capitalista è preclusa da mille ostacoli, tanto che gli operai più coscienti “sanno e sentono, vedono e intuiscono perfettamente che il parlamento borghese è un istituto a loro estraneo, un’arma di oppressione dei proletari da parte della borghesia, un’istituzione della classe nemica, della minoranza sfruttatrice” [1]. Il parlamentarismo borghese difeso acriticamente dai socialpacifisti si fonda, sottolinea con forza Lenin, sull’unione didemocrazia (non per il popolo)”, ma per gli sfruttatori, e di “burocrazia (contro il popolo)” [2]. Al contrario la democrazia proletaria dovrà combattere una lotta implacabile contro la burocrazia proprio per poter realizzare una democrazia per il popolo e contro i suoi sfruttatori. A proposito della democrazia sovietica osserva Lenin: “il potere sovietico è il primo nel mondo (a rigor di termini, è il secondo, perché l’avvio è stato dato dalla Comune di Parigi) a impegnare le masse, e proprio le masse sfruttate, nella gestione dello Stato. La partecipazione al parlamento borghese (che nella democrazia borghese non decide mai le questioni più importanti, risolte invece dalla Borsa, dalle banche) è sbarrata alle masse lavoratrici da mille ostacoli” [3].

Dunque, nella democrazia borghese le decisioni fondamentali non sono prese in parlamento dove è tollerata la presenza di una minoranza, ma piuttosto nella borsa o nelle banche pienamente sotto il controllo della borghesia. Dato il carattere di classe di tale democrazia, il partito al governo concederà “la tutela della minoranza soltanto a un altro partito borghese, mentre al proletariato, in ogni questione seria, profonda, fondamentale, invece della «tutela della minoranza» si concede lo stato d’assedio” [4]. Anche nella costituzione dello Stato borghese più democratico è possibile rinvenire delle “scappatoie o clausole che consentano alla borghesia di impiegare l’esercito contro gli operai, di proclamare lo stato d’assedio «in caso di turbamento dell’ordine pubblico», in realtà nel caso in cui la classe sfruttata «turbi» il proprio stato di schiavitù o tenti di agire come una classe non schiava” [5]. I socialpacifisti, che pretendono richiamarsi a Marx, fingono di ignorare le sue considerazioni sul parlamentarismo borghese in cui una volta ogni tot anni si seleziona “«quale membro della classe dominante dovesse rappresentare e calpestare (ver-und zertreten) il popolo nel parlamento» [Marx, La guerra civile in Francia]” [6]. 

D’altra parte, al contrario di quanto sostenevano i democraticisti kautskiani la Comune era stata tutt’altro che una democrazia pura eletta a suffragio universale. Come fa notare Lenin, in effetti, “non è forse ridicolo rappresentare come «democrazia pura» con «suffragio universale» la divisione degli abitanti di Parigi in due campi di belligeranti, nell’uno dei quali era concentrata tutta la borghesia militante, politicamente attiva?” [7]. Tanto più che, come osservava già Karl Marx citato da Lenin, “«il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni, così come il suffragio individuale serve ad ogni imprenditore privato per cercare gli operai, i sorveglianti, i contabili della sua azienda» [Marx, La guerra civile in Francia]” [8]. Senza dimenticare la nota considerazione di Friedrich Engels, richiamata da Lenin, per il quale “il suffragio universale è «l’indice della maturità della classe operaia» [Engels, L’origine della famiglia]” [9].

I socialpacifisti si illudono che sia possibile superare il modo di produzione capitalistico con metodi democratici, senza dover infrangere la legalità costituita. Il fondamento teorico di tale errore pratico risiede in quella che Engels definiva “la «venerazione superstiziosa» dello Stato” [10], considerato non marxianamente una macchina funzionale a esercitare il dominio d’una classe sulle altre, ma idealisticamente come un organo super partes che può essere diretto da una classe piuttosto che da un’altra secondo una normale alternanza parlamentare. Tanto più che per Lenin l’opportunismo ha la sua origine nella tendenza a eludere la questione dello Stato: “si può dire in generale che la tendenza a eludere il problema dell’atteggiamento della rivoluzione proletaria verso lo Stato, tendenza vantaggiosa per l’opportunismo ch’essa alimentava, ha portato al travisamento del marxismo e alla sua completa degradazione” [11]. Essendo i lavoratori salariati la maggioranza nei paesi a capitalismo avanzato, in fasi di crisi d’egemonia del gruppo dirigente, i socialpacifisti credono che non sarà difficile sostituirsi a esso per via democratica elettorale. In tal modo si dimentica che la conquista del potere politico da parte di una classe sottomessa è il fondamento di ogni rivoluzione. “Il passaggio del potere politico da una classe a un’altra è il primo segno, il carattere principale, fondamentale, di una rivoluzione, sia nel senso rigorosamente scientifico che nel senso pratico-politico del termine” [12]. La rivoluzione significa essenzialmente distruggere “la macchina statale della borghesia”, per sostituirvi “un’«organizzazione statale» proletaria!” [13]. Sebbene riconoscano la necessità dell’inasprirsi della lotta di classe nelle fasi di crisi, per i socialpacifisti il movimento rivoluzionario “non deve toccare la macchina con cui il capitale reprime il lavoro! – Non deve spezzare questa macchina»” e men che mai una volta giunto al potere dovrà servirsi dello Stato “per reprimere gli sfruttatori!” [14].

Note:

[1] Lenin, V.I.U., La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky [novembre 1918], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 398.

[2] Id., Stato e rivoluzione [agosto-settembre 1917], in op. cit., p. 322.

[3] Id., La rivoluzione proletaria …, op. cit., p. 398.

[4] Ivi, p. 396.

[5] Ivi, p. 395.

[6] Ivi, p. 394.

[7] Ivi, p. 390.

[8] Ivi, p. 394.

[9] Ibidem.

[10] Id., Stato e rivoluzione, op. cit., p. 320.

[11] Ivi., p. 315. Polemizzando con Plekhanov, Lenin denuncia che “parlare di «anarchismo e socialismo» eludendo totalmente la questione dello Stato, senza vedere tutto lo sviluppo del marxismo prima e dopo la Comune, voleva dire cadere inevitabilmente nell’opportunismo” Ivi, p. 316.

[12] Id., Lettere sulla tattica [aprile 1917], in op. cit., p. 303.

[13] Id., La rivoluzione proletaria…, op. cit., p. 412.

[14] Ivi, p. 411.

26/02/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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