Teresa di Calcutta santa e madre

Il significato politico-ideologico della canonizzazione di colei che ha protetto e curato gli ultimi


Teresa di Calcutta santa e madre

L’evento mass-mediatico della canonizzazione di Teresa di Calcutta sollecita una necessaria riflessione sul ruolo della Chiesa cattolica nella società contemporanea e sul suo contributo al mantenimento dell’attuale sistema di potere. Ma per comprendere questi aspetti è necessario entrare nei meandri dell’ideologia religiosa per decifrarne i simboli, portando alla luce i loro contenuti e le loro ricadute politiche. In particolare, occorre tenere presente che la Chiesa non sceglie a caso i suoi santi, i quali vengono proposti ai fedeli e ai non fedeli come modello di comportamento in un determinato contesto storico.

Ho già fatto riferimento a questo tema in un articolo precedente, dedicato alla beatificazione di Oscar Ranulfo Romero, avvenuta recentemente, citando in particolare il libro di Kenneth Woodward dal significativo titolo La fabbrica dei santi (1991).

Credo sia evidente a tutti che il modello di santità incarnato in Teresa di Calcutta è quello della figura caritatevole, la quale si accosta con umiltà e modestia ai più emarginati e bisognosi. D’altra parte, carità e misericordia - siamo nel Giubileo della misericordia - sono le parole d’ordine di papa Bergoglio, il quale con parole accorate auspica una mitigazione della spietatezza capitalistica, nella prospettiva di un accordo e di una conciliazione tra le diverse classi sociali. In questo senso, niente di nuovo ma - nel contesto attuale - tale appello si fa più pressante, giacché - come viene ampiamente riconosciuto da più parti - le disuguaglianze economico-sociali si fanno sempre più acute e la povertà estrema avanza. Che poi in realtà le intraprese religiose di Teresa di Calcutta abbiano lati oscuri, nel senso che abbiano consentito alla sua fondazione di accumulare un sostanzioso patrimonio non impiegato nelle sue case di assistenza, è un fatto secondario, almeno in questa sede. Che religione e denaro (e non solo nel caso del cristianesimo)[1] siano strettamente legati è cosa nota da tempo, basti pensare al commercio delle reliquie nel Medioevo e alla vendita delle indulgenze da parte della Chiesa cattolica tanto esecrata dai protestanti. Si potrebbe citare anche il tanto discusso caso di Padre Pio, la cui immagine è possibile vedere in tanti esercizi pubblici, e la ben calcolata utilizzazione economica della sua figura impressa su tante merci.

Lasciando da parte questi elementi, pure significativi, mi sembra importante riflettere sulla stessa nozione di carità, la quale diventa un principio cui è necessario richiamarsi in un mondo, il cui assetto squilibrato e ingiusto non si intende mutare. Voglio dire che, per essere caritatevoli, ci vuole un’organizzazione sociale, la quale contempli la presenza di coloro che sono bisognosi di carità. E quindi un mondo in cui permangono e si riproducono disuguaglianze e differenze, le quali permettono a pochi di sentirsi migliori, giacché si trovano nelle condizioni di elargire ai più miserevoli qualche briciola della loro ricchezza e ciò con l’obiettivo di non inasprire il conflitto tra ricchi e poveri, favorendo la conciliazione tra le classi su richiamata.

Con questa sua visione solidaristica la Chiesa cattolica si oppone al neodarwinismo liberista, per il quale ogni individuo deve farsi largo con le sue forze nella vita sociale, e se soccombe non ha diritto a nessun sostegno sociale, in quanto egli stesso responsabile del suo fallimento. Si potrebbe anche dire che il solidarismo cattolico, prefigurando una soluzione pacifica delle contraddizioni sociali, ne offusca l’asprezza e la profondità, dando così un contributo importante alla stabilità dell’attuale assetto socio-politico. In questo senso, cattolicesimo e neoliberismo sarebbero alleati, ma ciò a mio parere indica solo un aspetto delle relazioni tra queste due tendenze, le quali sono in realtà anche in contrapposizione, perché stanno combattendo per l’egemonia ideologica. Tale lotta, che contrappone l’individualismo estremo al solidarismo, è ingaggiata al livello della significazione dei rapporti sociali e ad essa la Chiesa cattolica non può sottrarsi. Infatti, se la millenaria istituzione religiosa vuole riprodursi, deve necessariamente avere un certo spazio politico, che le può essere garantito solo dal fatto di rappresentare una parte consistente delle masse popolari attratte dalla sua visione solidaristica. Ma, per mettersi in comunicazione con queste ultime, deve per forza trasformare i suoi principi politici in metafore concrete come quelle che si incarnano nei vari modelli di santità. Tali metafore concrete sono frutto del “lavoro religioso”, svolto dagli operatori del sacro, che costituiscono un’élite, il cui compito è quello di trasformare le relazioni sociali in relazioni con il sovrannaturale. In questo caso, tale processo fa sì che le relazioni tra diseguali vengano ribaltate grazie al principio ispiratore della carità incarnato nella figura santificata di Teresa di Calcutta, la quale ha raggiunto tale meta per aver compiuto ben due miracoli (prima era stata beatificata perché era stato accertato il compimento di un solo miracolo).

Tale ribaltamento muta gli inferiori in “deboli” o “vulnerabili” – termini assai spesso impiegati dal linguaggio politico e massmediatico – e trasforma le relazioni di questi ultimi con i superiori in un rapporto paternalistico; in tale rapporto, vivificati dal principio della carità, emanazione divina, essi vegliano con sollecitudine sui loro subordinati, sempre preoccupati dei loro bisogni.

Tale volto tenero e premuroso rappresenta un aspetto della Chiesa cattolica, che lo ha spesso concretato in figure di santi appartenenti alle varie epoche; l’altro volto, oscuro e rabbioso, connesso a varie forme di violenza religiosa, di cui oggi ci si dimentica, è stato oggetto di uno studio, da alcuni assai criticato, intitolato Storia criminale del Cristianesimo di Karlheinz Deschner. Tale opera consta di vari volumi pubblicati a partire dal 2000 a cura di Carlo Pauer Modesti.

Tale paternalismo, che nel caso di Teresa di Calcutta, madre oltre che santa[2], diventa “maternalismo”, con un’apertura al femminismo, ribadisce l’autorità e l’autorevolezza dei superiori e ripropone la solita metafora concreta dei rapporti di parentela usata anche in ambito extra-religioso. Basti pensare ai cosiddetti padri della patria, di cui noi tutti siamo “figli” e, per questo, chiamati a mostrare nei loro confronti un riverente rispetto.

D’altra parte, l’evocazione della famiglia costituisce da sempre l’argomento di coloro che auspicano la coesione e la concordia sociale, e che dimenticano come la prima possa essere terreno fertile di conflitti insanabili e distruttivi, così come lo è, del resto, la società.

Infine, eventi come le canonizzazioni, cui partecipano migliaia di persone e che sono pubblicizzati e visualizzati in tutto il mondo, consentono alla Chiesa cattolica di mantenere un contatto coinvolgente con le masse, incantate dalla sua ritualità antica e solenne. Non in contraddizione con la sua tradizione, essa si inserisce così dinamicamente nell’attuale società dello spettacolo, che tanto contribuisce alla passivizzazione delle masse popolari, assuefatte alla mera osservazione degli eventi e dimentiche di un loro possibile ruolo protagonistico.


Note:

[1] Un esempio non cristiano dello stretto nesso religione/denaro può essere indicato nel processo di mercificazione che caratterizza le religioni cubane di origine africana, denunciato dagli stessi fedeli e sacerdoti.

[2] Come ha sottolineato lo stesso Bergoglio nel momento centrale del rito.

17/09/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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