(NdR: Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di un nostro valido collaboratore pur ritenendo necessario un approfondimento per sviscerare tale complessa e importante (e ancora molto attuale) questione, proponendoci di offrire al lettore una pluralità di punti di vista sulla vicenda curda del Rojava.)
Questo saggio non si propone l’obiettivo di fornire un’esauriente descrizione della storia delle forze curde in Siria e nelle zone circostanti ma cerca di offrire alcune conoscenze utili a chi sia interessato a capire che cosa abbiano rappresentato i curdi nel periodo della guerra civile siriana e che cosa rappresentino oggi nella Siria governata dall’ex jihadista Al-Jolani, riconosciuta dall’Occidente come legittimo democratico governo della Siria del dopo Assad.
All’inizio della guerra civile (2011-2012), i curdi siriani – concentrati soprattutto nel nord e nel nord-est del Paese, nelle regioni di al-Hasakah, Kobane (Ayn al-Arab) e Afrin – godettero di una posizione strategica favorevole che permise loro di approfittare del vuoto di potere creatosi a causa del progressivo ritiro dell’esercito governativo siriano, che da ora chiameremo SAA, intendendo con ciò le forze fedeli al governo di Assad dal 2011 al 2025. L’urto con le forze jihadiste di Jabhat al-Nusra causò il progressivo ritiro delle SAA dalle regioni settentrionali e nord-orientali, sia da quelle a maggioranza curda che da quelle a maggioranza araba. I curdi, che erano inquadrati in milizie armate, furono armate dagli Stati Uniti, che peraltro armarono qualsiasi forza armata avversa al governo siriano, come prevedeva il piano di Obama chiamato Timber Sycamore.
Quando le forze di Bashar al-Assad furono costrette a concentrarsi sulla difesa dei centri principali contro l’Esercito Siriano Libero e i gruppi ribelli di al-Nusra, abbandonarono molte zone a maggioranza curda senza combattere. Con poco sforzo i curdi riuscirono a creare un’entità territoriale a nord e nord-est della Siria al confine con la Turchia che denominarono Rojava. Questa ritirata fu probabilmente frutto di un tacito accordo: Damasco evitava lo scontro diretto con i curdi per non aprire un ulteriore fronte, mentre i curdi si impegnavano a non appoggiare attivamente l’opposizione armata sunnita. Fu un grave errore, perché i curdi – spinti dagli americani e soprattutto dagli israeliani, presso i quali godono di grande considerazione nell’establishment culturale – approfittarono della situazione. Crearono l’idea in Occidente che nel Rojava curdo ci fosse la democrazia dal basso e la perfetta uguaglianza fra uomo e donna che mai si era formata nel Medio Oriente.
I rapporti fra curdi e israeliani non sono né casuali né sono recenti ma risalgono agli anni 70 del secolo scorso: questi rapporti sono stati rafforzati grazie a studi accademici che hanno spesso messo in parallelo la storia dei due popoli, cosa poco nota in Occidente. Mi limito a citare alcuni importanti accademici israeliani e i loro studi che confermano tutto ciò:
- Mordechai Zaken, storico e linguista, fondatore della Israeli-Kurdistan Friendship League, ha condotto ampie ricerche sulla comunità ebraica curda, in particolare sui rapporti tra gli ebrei e i capi tribali curdi nel Kurdistan iracheno, ed è autore di Jews of Kurdistan & Their Tribal Chieftains.
-Ofra Bengio, ricercatrice senior presso il Moshe Dayan Center di Tel Aviv, da lungo tempo si occupa di studi curdi ed è curatrice di The Kurds: Nation‑Building in a Fragmented Homeland.
-Scott Abramson, post-doc presso lo Y&S Nazarian Center, ha analizzato la “kurdophilia” israeliana, in particolare la simpatia verso i curdi siriani nel contesto delle politiche americane.
Apparve chiaro che, quando i curdi proclamarono lo Stato del Rojava, la simpatia – americana ma soprattutto israeliana – non mancava. Il Rojava, al momento della sua proclamazione, veniva incontro alle richieste americane e israeliane, servendo a dimostrare che l’Occidente intendeva trapiantare la democrazia in Medio Oriente.
Nei territori evacuati dalle truppe siriane, le forze curde del PYD (Partito dell’Unione Democratica) – affiliato al PKK turco – si organizzarono rapidamente creando le YPG (Unità di Protezione Popolare), milizie armate che assunsero il controllo delle città e dei villaggi curdi. In pochi mesi istituirono amministrazioni locali autonome, gettando le basi per quella che sarebbe poi diventata la Federazione Democratica della Siria del Nord, nota anche come Rojava. Un nuovo Stato era nato: lo Stato dei curdi del Rojava. In Occidente molti si innamorarono di questo esperimento, propagandato come uno Stato autenticamente democratico, dove le donne avevano pari dignità degli uomini. Quanto di questa democrazia dal basso fosse reale non è compito di questo scritto valutarlo.
Il sogno curdo di uno Stato libero e democratico nel Medio Oriente si scontrò presto con un nemico ben più potente della Siria di Assad: la Turchia. Ankara considerava il Rojava un’estensione del PKK e una minaccia diretta alla propria integrità territoriale, iniziando così a preparare un attacco su larga scala.
La situazione nel nord e nel nord-est della Siria era caotica: vi operavano le forze siriane del SAA, militari russi, truppe americane, le forze curde e quelle dell’ISIS che avevano scacciato le SAA da Raqqa creando uno “stato islamico” a cavallo tra Siria e Iraq. I curdi controllavano gran parte del nord, mantenendo posizioni strategiche a Kobane, che difesero strenuamente dall’assalto dell’ISIS. La difesa di Kobane – peraltro non così impegnativa come venne raccontata in Occidente – fu esaltata dalla propaganda filo-curda e presentata come simbolo di una società democratica e rispettosa dei diritti delle donne. Ma l’assedio di Kobane cambiò drasticamente l’’ISIS lanciò un’offensiva massiccia, costringendo le YPG a una difesa disperata. L’intervento della coalizione internazionale a guida USA, con bombardamenti aerei, risultò decisivo per respingere i jihadisti, molto di più di plotoni di donne curde con armi leggere. Da quel momento la lotta tra curdi e ISIS divenne totale, e le YPG emersero come partner strategico degli Stati Uniti.
Grazie al supporto occidentale, i curdi avanzarono verso sud con le SDF (Forze Democratiche Siriane), includendo milizie arabe locali. L’apice del Rojava si raggiunse con l’operazione imposta dagli americani per strappare Raqqa, capitale del califfato, all’ISIS (6 giugno – 17 ottobre 2017). La città fu rasa al suolo dai bombardamenti americani, mentre le forze curde completavano la conquista, bloccando le forze di Assad che avevano progettato loro di liberare Raqqa.
Ormai le milizie curde erano chiaramente subordinate all’alto comando USA. Gli americani intanto attingevano al petrolio dei giacimenti di Al Omar, che l’ISIS vendeva sul mercato nero. Quando le SAA riconquistarono Deir Ezzor e si avvicinarono ai pozzi petroliferi e alla città araba di Abu Kamal, le forze curde iniziarono un curioso confronto con l’ISIS si ritirava senza combattere e i curdi che prendevano il controllo delle zone abbandonate senza che avvenissero scontri. Le SAA di Assad, benché avessero ripreso Deir Ezzhour, non riuscirono a rioccupare i vitali pozzi petroliferi di Al Omar che i curdi consegnarono ai marines americani. In un certo senso l'impossibilità del regime di Assad di riprendere il controllo del petrolio di Al Omar è una delle ragioni lontane dalla sua caduta nel dicembre del 2024.
L’eccessiva estensione del Rojava però provocò le ire della Turchia. Ankara avviò l’operazione “Ramo d’Ulivo” (gennaio 2018) per catturare Afrin e scacciare i curdi, sostituendoli con popolazioni turcomanne. Gli USA, che fino a quel momento avevano sostenuto i curdi, ordinarono loro di non intervenire per difendere Afrin e nel caso lo avessero fatto gli Stati Uniti avrebbero bombardato le milizie curde che si fossero recate a difendere i curdi di Afrin. Il 18 marzo 2018 la città cadde e 150.000 civili curdi fuggirono nelle zone controllate da Assad.
Erdogan non fu comunque ancora quietato e fece nel 2019 una nuova offensiva turca (“Muro dell’Eufrate”) che portò alla perdita di altri territori curdi e altra pulizia etnica in danno dei curdi. Ancora una volta gli USA abbandonarono i loro alleati curdi a se stessi.
La caduta di Assad e la rapida avanzata di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), guidata da Ahmed al-Sharaa (Al-Jolani), cambiarono lo scenario. Dal novembre 2024 fino al dicembre 2024 le forze siriane di Assad si liquefecero, probabilmente per accordi segreti pilotati da generali siriani sul libro paga americano. I curdi in questo caso non fecero nulla per difendere Assad , malgrado lui lo avesse chiesto. I Russi si ritirarono da alcune basi che avevano in quello che ancora veniva chiamato il Rojava e si fortificarono nelle basi nella zona di latakia ed il 10 marzo 2025, a Damasco, i leader SDF (Mazloum Abdi) e Al-Jolani firmarono un accordo per integrare le SDF nel nuovo governo siriano, in una federazione decentralizzata. Tuttavia, il nuovo presidente dichiarò che “non ci saranno milizie armate al di fuori dell’esercito”, avviando lo smantellamento dell’autonomia militare curda.
Rimane il fatto che attualmente secondo alcune stime le forze curde ammontano a 60.000 miliziani armati con armi leggere e cannoni da 105 mm. Quanto siano efficienti queste forze non è dato saperlo ma certo è che neanche i principali avversari dei curdi - ossia i turchi - stanno passando un momento felice per le loro forze sul campo Siriano.
Siamo ad un empasse di cui poco si vede lo sviluppo futuro. Oggi il sogno democratico del Rojava sembra tramontato: la DAANES ha annunciato l’inizio del processo di integrazione politico-militare nel nuovo assetto siriano. Le prerogative democratiche del Rojava sono state quasi del tutto cancellate. Nessuno Stato occidentale sembra preoccuparsene. Ai curdi non resta che augurarsi di scegliere meglio i propri alleati. Oggi Israele, che non aveva previsto la caduta di Assad, ha una presenza militare sul campo e rapporti amichevoli con i curdi. Nonostante controllino ancora circa il 30% del territorio siriano e dispongano di circa 60.000 combattenti. Resta valida la riflessione di Engels sui “popoli senza storia”, destinati a estinguersi se privi di uno Stato. Riusciranno i curdi ad averne uno? Nessuno può rispondere con certezza.
Sitografia:
- Arab Center Washington DC (“Kurdish Dilemmas in Syria”, 2020): analisi della posizione politica curda all'inizio della guerra Arab Center Washington DC+1Wikipedia+1.
- FDD: “Are Kurds under threat amid civil war resurgence in Syria?” (dicembre 2024): ruolo dei Curdi contro ISIS FDD.
- Council on Foreign Relations: overview sulla guerra e ruolo curdo Financial Times+1eprints.whiterose.ac.uk+1.
- Human Rights Watch: “Syria: The Silenced Kurds”: documentazione sui diritti della minoranza curda Human Rights Watch.