Linee strategiche e alleanze elettorali

Pubblichiamo un’interessante riflessione sulla ricostruzione dell’identità comunista e non genericamente di “sinistra”, ancor più necessaria durante il passaggio elettorale.


Linee strategiche e alleanze elettorali Credits: ifioridelmale.it

“ … si dichiara inconsistente il concetto stesso di "scopo finale" e si respinge categoricamente l’idea della dittatura del proletariato; si nega l’opposizione di principio tra liberalismo e socialismo; si nega la teoria della lotta di classe, che sarebbe inapplicabile in una società rigorosamente democratica, amministrata secondo la volontà della maggioranza, ecc.”
(Lenin, Che fare?)

Prima di unirci, e per unirci,
dobbiamo innanzitutto delimitarci (definirci) risolutamente e con precisione”
(Lenin, Dichiarazione della redazione dell'Iskra)


Da tempo, anche nel PRC, si insiste sulla necessità di un'unità elettorale con forze genericamente “di sinistra”. Ma, prima di stabilire le linee su cui un partito comunista possa, in precise situazioni, andare a un tavolo con forze non comuniste, è doveroso definire i punti fermi dell'identità comunista.

Alcuni compagni sembrano ritenere quasi “obbligatoria”, sempre e comunque, la partecipazione del PRC alle competizioni elettorali, indipendentemente da scelte contingenti e obiettivi di prospettiva delle forze con cui dovrebbe costituirsi l'eventuale unità elettorale. Ma, in determinate situazioni e in ragione dei fini prospettati dalle forze che pretendono all'egemonia in tali “cartelli” elettorali, il PRC, nel caso giudichi le proprie forze insufficienti a un'autonoma partecipazione elettorale, non dovrebbe partecipare a ogni costo al voto. Condizione essenziale, più e prima ancora della presenza parlamentare, quale “tribuna di agitazione”, è la definizione dell'identità comunista; in quest'ottica, senza escludere alleanze anticapitaliste, l'obiettivo propedeutico è quello di riunire le forze autenticamente comuniste. Senza rinunciare in linea di principio ad alleanze elettorali con forze genericamente antiliberiste, democratiche o “costituzionaliste”, non si deve però abdicare all'identità e agli obiettivi strategici dei comunisti, cosa che invece avverrebbe se, identificando il campo antiliberista con quello più autenticamente anticapitalista, si perdesse di vista l'obiettivo del rovesciamento del capitalismo e della lotta per il socialismo.

In sostanza: non diluirsi in un contenitore indeterminato o socialdemocratico, ma rilanciare invece l'identità comunista, presentandosi al voto con il simbolo PRC o, comunque, con il simbolo di falce e martello. Unità dei comunisti e unità della sinistra non devono identificarsi e, anzi, si devono distinguere nettamente gli obiettivi strategici dei primi e le finalità della seconda. I soli antirenzismo e collocazione alla sinistra del PD non possono assolutamente costituire la base di coalizioni elettorali.

Ciò è vero soprattutto in questo periodo, caratterizzato da una ripresa delle agitazioni operaie che, con l'aggravarsi della crisi, si faranno sempre più forti e di fronte a cui, purtroppo, si constata invece, da un lato, l'inconsistenza di forze organizzate in grado di unire i singoli, spesso slegati, episodi di resistenza operaia al diktat del capitale e, dall'altro, la carenza di legami delle organizzazioni comuniste con quelle agitazioni e con quei settori operai. Si riscontra un'enorme difficoltà, o un'incapacità, delle organizzazioni comuniste, a porsi quali referenti della propria classe di riferimento, ad adempiere al compito di agire nei confronti della classe affinché questa ricominci a porsi non solo come classe “in sé”, ma come classe “per sé”(Marx), dopo decenni di stordimento revisionistico, liberaldemocratico, reazionario, sulla scomparsa delle classi e la comunanza di “interessi nazionali”.

Una delle condizioni per invertire questa tendenza passa per la definizione precisa degli obiettivi, del programma e del ruolo del partito comunista, che ne distingua nettamente i caratteri da ogni generica proclamazione di buone intenzioni, tutte interne alla logica del capitale. E' quindi essenziale definire chiaramente il fine dell'azione dei comunisti, la società socialista, da cui far discendere le scelte nel lavoro di massa quotidiano sulle questioni poste all'ordine del giorno dal capitale e più sentite dalle masse popolari.

In ogni eventuale alleanza elettorale, il nodo centrale deve essere quello dell'anticapitalismo: se l'obiettivo finale dei comunisti è quello del socialismo, le scelte contingenti devono basarsi su precisi contenuti di classe che, tradotti sul piano internazionale e per trovare possibilità di sbocco, devono essere quelli del no all'Europa dei monopoli e del capitale finanziario, no all'euro e, sul piano più generale – con momenti convergenti anche con forze pacifiste – no alla NATO, no alle basi militari USA e NATO sul nostro territorio, per l'uscita dell'Italia dall'Alleanza atlantica e la fine delle avventure di guerra che coinvolgono il nostro paese. Contro generici rimandi a un “universalismo” di matrice cattolica, contro una “globalizzazione” che non specifichi in nulla i caratteri dell'imperialismo, di quali siano oggi i suoi centri e di cosa significhi esserne ingabbiati, occorre rilanciare l'uscita dell'Italia da un'organizzazione agli ordini dell'imperialismo USA e rifiutare il blocco imperialista europeo, con il costruendo esercito europeo, espressione della rapacità dei suoi monopoli, contrapposti a quelli americani. Contro chi, esaltando i risultati di partiti comunisti stranieri sembra volerne fare una bandiera, è imprescindibile ribadire la condanna dell'eurocomunismo - coi suoi corollari su “ombrello difensivo della NATO” e “fine della spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre” - che a suo tempo ha accelerato la degenerazione socialdemocratica del PCI.

E' altresì da escludere categoricamente ogni ipotesi di alleanza di governo con partiti borghesi: finché il potere è nelle mani della borghesia, ogni scelta che ne scaturisse, non potrebbe che rivestire un'impronta antipopolare. Le analisi, le scelte contingenti e i programmi dei comunisti debbono partire dalla realtà della contrapposizione di classe tra interessi del capitale e interessi delle masse per denunciare le responsabilità di classe della situazione in cui versano le masse popolari e far crescere in loro la consapevolezza dei costi del capitalismo. E' doveroso smascherare la pochezza di chi oggi si riempie la bocca con la retorica di una “sinistra” sempre più ambigua ed è necessario riappropriarsi delle categorie di capitalismo, imperialismo, lotta di classe tra sfruttatori e sfruttati, lotta per l'abbattimento della società capitalista, dittatura del proletariato, socialismo.

A questo scopo, non ci si può accontentare di un tipo di organizzazione composto da un corpo militante che diviene tale solo in occasione di “eventi” politici o scadenze elettorali. Quello che oggi manca è l'elemento “soggettivo”, è il Partito della e per la classe operaia. Ciò è tanto più evidente, allorché ci si accontenta di “evidenziare le giuste domande da farci nei prossimi mesi, non le risposte”, quasi a doversi intendere che i comunisti non devono aver presente il fine per cui lottano, ma solo le scelte contingenti. Ciò è tanto più evidente, allorché ci si limita ad affermare che “vediamo nella Costituzione il programma politico alla base del nostro agire”, come a doversi intendere che il nostro agire è limitato a quanto stabilito dalla Costituzione. La difesa della Carta fondamentale della Repubblica è alla base del nostro agire; ma i comunisti devono andare oltre. La nostra Costituzione, come la maggior parte delle Costituzioni borghesi, ribadisce i confini dell'ordine borghese, coi suoi “capisaldi fondamentali” della proprietà privata sugli strumenti di produzione e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, mentre i comunisti debbono distinguersi quali combattenti di un ordine superiore, socialista.

I comunisti debbono andare oltre l'orizzonte caritatevole del “dare voce ai più deboli e a chi vuole un Paese diverso”, che non rappresenta altro che una diversa tinteggiatura di slogan cristiani, per cui il ricco debba aiutare il povero a sentirsi meno povero. I comunisti non possono limitarsi a definire l'Italia un “Paese terribilmente ingiusto”, “amorale”, oppure a dire che “va contro l'interesse generale” il fatto che “i ricchi siano sempre più ricchi e i poveri più poveri”. I comunisti ribadiscono che l'ordine capitalistico, per sua intrinseca natura – e non perché sia amorale – accumula ricchezza a un polo della società ed estrema povertà a un altro(Marx) e chiamano quindi al rovesciamento di tale ordine economico e sociale e non semplicemente alla sua “purificazione” morale.

Se è vero che la “sinistra” ha soltanto “un obiettivo da raggiungere: costruire se stessa, rispondere all’emergenza di democrazia”, i comunisti dovrebbero sì porsi l'obiettivo di difendere la democrazia, ma sapendo di dover andare oltre la democrazia borghese, che è “schiavitù per l'operaio”, verso la democrazia socialista. Da oltre cento anni non i comunisti, ma gli opportunisti parlano di “democrazia” in generale, come valore “universale” e astorico, senza specificare “democrazia per chi, per quale classe”, senza distinguere tra le diverse forme che la democrazia ha assunto nel corso della storia umana e senza porre l'obiettivo di giungere alla democrazia per gli sfruttati, che presuppone l'assenza di democrazia per gli sfruttatori.

I comunisti si differenziano dalla socialdemocrazia perché hanno come strategia il cambiamento della società, la distruzione della macchina statale borghese (sia essa in forma di "democrazia" parlamentare o di dittatura fascista, golpista, militare, ecc.) per costruirne una nuova, basata sulla socializzazione dei mezzi di produzione, sotto il controllo dei lavoratori. Per la socialdemocrazia, la "democrazia" ha un valore trascendente le classi; essa ritiene che la mera vittoria elettorale sia sufficiente a cambiare la società, conservando però l'apparato statale esistente, strutturato sugli interessi della borghesia. Per i comunisti, che guardano alla democrazia come a una “tappa” nella lotta per la trasformazione sociale e come forma politica in cui più agevolmente si esplica la lotta tra lavoro e capitale la "democrazia" ha carattere storico e connotato di classe: la "democrazia" borghese moderna è sostanziale per il capitale, ma è formale per i lavoratori. Fino alla completa eliminazione delle classi, la dittatura del proletariato è la forma più alta di democrazia: democrazia per chi lavora (maggioranza), dittatura per i resti delle classi sfruttatrici (minoranza).

Molti compagni, fuori e dentro il PRC, non si ritrovano in queste linee generali; il loro attaccamento al comunismo è confuso. E' compito del partito condurre con questi compagni un'analisi storica e del presente: in un periodo caratterizzato dalla perdita di tante battaglie, questo compito è essenziale, come lo è quello di evitare la tendenza a creare piccoli partiti di "duri e puri".

I comunisti, pur differenziandosi per la loro prospettiva politica, hanno il dovere e la necessità di unirsi, per obiettivi concreti, con tutte le forze o i singoli che perseguono uno o più obiettivi comuni: lotta per la pace, antifascismo, antirazzismo, rivendicazioni sindacali, difesa della Costituzione, dell'ambiente, ecc. Tra le lotte comuni con altri soggetti, comitati o singoli, c'è anche quella per superare gli ostacoli frapposti dalla borghesia per estromettere dal parlamento i comunisti e ogni altro soggetto antagonista al sistema. Ciò, senza dimenticare che il parlamento rappresenta però una tribuna che dà accesso ai mezzi di comunicazione di massa e come tale va sfruttato, ma sempre nell'ottica dell'obiettivo strategico del socialismo. E' dunque chiaro come eventuali alleanze elettorali per superare sbarramenti e altre trappole e la lotta per una legge proporzionale che riporti la giusta rappresentanza del paese in parlamento, debbano fondarsi su presupposti precisi: visibilità del partito, opposizione al sistema capitalista e al dominio imperialista (NATO), lotta alla oligarchia finanziaria internazionale, indipendenza nazionale, contro BCE, euro, Europa dei monopoli e del capitale finanziario, per l'annullamento dei trattati e dei loro effetti; con il rifiuto di ogni cogestione dello stato borghese e per il ritorno a un protagonismo dello Stato in economia per far fronte alla crisi, anche con la pubblicizzazione delle aziende di rilevanza strategica e la nazionalizzazione delle banche salvate coi soldi pubblici.

Il PRC non dovrebbe scordare a quali risultati abbiano portato precedenti esperimenti di alleanze (Rivoluzione Civile), finalizzate alle scadenze elettorali, ma incapaci di entrare in sintonia con ampi settori popolari, sia per vaghezza di contenuti, sia per mancanza di adeguate relazioni sociali. Occorre evitare di riprodurre esperienze negative e fallimentari e lavorare invece alla ricomposizione di un blocco sociale, perno dei conflitti di classe, senza riproporre la logica perdente del "soggetto unitario della sinistra".

Invece di consolarsi con la constatazione sui mutamenti - certo innegabili, ma tutti da analizzare in ogni situazione concreta – della struttura sociale italiana, è necessario interrogarsi sul perché si sia perso pressoché ogni legame con la classe di riferimento. La parcellizzazione e la delocalizzazione del lavoro hanno certamente mutato i termini di contatto con le masse lavoratrici, attraverso cui un partito comunista possa e debba porsi all'avanguardia della classe rivoluzionaria; ma ciò non esime dall'indagine, dal confronto su e con quale elemento sociale i comunisti oggi debbano lavorare in prima istanza, nella lotta contro il capitale, per non rischiare di perdersi nei falsi miti movimentisti delle “moltitudini”. Per ricostruire il partito, occorre lavorare partendo dall'analisi delle condizioni sociali date, anche nelle singole situazioni locali, e su quelle lavorare: eventuali alleanze elettorali non dovrebbero essere altro che la conclusione di un lavoro sociale condotto dai comunisti tra le masse. Lavorare tra le masse, o quantomeno cercare di entrare in contatto diretto e non occasionale con la classe di riferimento, non significa cercare apparentamenti culturali; significa lavorare minuziosamente, da comunisti, nelle situazioni conflittuali in cui il ruolo dei comunisti è fondamentale, fuori da ogni schema di artificiosa coalizione. Non aiutano in questo senso intese elettoralistiche con soggetti che, oggettivamente, finiscono per fare da sponda al PD, o si risolvono nel fornire una qualche credibilità a chi, solo a fini parlamentari, sostiene di porsene alla “sinistra”.

Si deve condannare apertamente la linea dei sindacati confederali, CGIL in testa, nella convinzione della impossibilità di una riconnotazione classista del principale sindacato italiano. E' tempo di lavorare alla costruzione di un sindacato di classe che, contrapposto all'aperto collaborazionismo di cgilcisluil, torni a rappresentare davvero gli interessi dei lavoratori e se ne metta alla testa, rigettando ogni compromesso filo-padronale.

In sostanza, è dunque essenziale l’autonomia politica dei comunisti, che presupponga il fine della società socialista e, nell'azione quotidiana, esca dagli stretti ambiti consentiti dalle compatibilità del capitale avendo come obiettivo quello espresso nel nostro nome: la Rifondazione di un autentico partito comunista.

18/11/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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