L’ingombrante presenza della Solvay

La Solvay depreda quasi gratuitamente le risorse del territorio e inquina ma le istituzioni locali e regionali a guida Pd le stendono tappeti di velluto


L’ingombrante presenza della Solvay Credits: https://cdn.pixabay.com/photo/2017/09/19/13/29/bulgaria-2765283_960_720.jpg

Dal 1917 è insediata nel Comune di Rosignano Marittimo, occupando una vasta area costiera, la società multinazionale chimica Solvay, che ha dato il nome a Rosignano Solvay il paese sorto attorno allo stabilimento. In effetti per molti anni l’identità di un territorio, compresa perfino la tipologia degli edifici, è stata fortemente legata a questa presenza che ha fornito importanti possibilità occupazionali.

Tuttavia, con lo sviluppo delle tecnologie che hanno ridotto notevolmente l’apporto occupazionale, con le emergenze ambientali, tra cui quella idrica, ma non solo, e con la prospettiva non più remota dell’esaurimento delle risorse utilizzate, il bilancio costi/benefici di questa presenza si è andato invertendo. La sua attività fortemente inquinante ha prodotto l’effetto delle cosiddette spiagge bianche, dove in estate ignari turisti si crogiolano al sole e fanno il bagno in acque divenute, grazie agli elementi chimici scaricati, limpide che più limpide non si può.

Nel complesso il contributo all’economia e all’occupazione locale di questa industria è stimato inferiore al danno arrecato all’economia turistica e ad altri possibili usi alternativi delle enormi risorse utilizzate, fra cui quantitativi incredibili di acqua potabile, e una notevole porzione di territorio costiero oggi vincolato agli usi della Solvay.

Ma lo spreco di risorse e il danno ambientale non è limitato alla zona circostante lo stabilimento. L’acqua infatti viene prelevata in tutto il territorio della Val di Cecina, fino ai piedi di Volterra; il calcare, sventrando colline in prossimità di aree costiere più a Sud, nei pressi di San Vincenzo; il salgemma, necessario per la produzione di cloro e derivati, nell’Alta Val di Cecina.

I giacimenti di salgemma sono di natura evaporitica, prodotti nel miocene dall’alternarsi fra la sommersione nel mare di questa area e la successiva emersione, con la conseguente formazione di laghi salati che si prosciugavano lasciando lenti di sedimenti solidi di cloruro di sodio (il sale da cucina) e di solfato di calcio (cioè gesso, che poi è la componente dell’alabastro volterrano).

L’estrazione del salgemma avviene immettendo nel sottosuolo acqua che discioglie il materiale salino e pompando la salamoia così ottenuta in superficie, per essere lavorata. Il terreno investito da queste attività minerarie, risultando svuotato a una profondità variabile tra 80 e diverse centinaia di metri, crolla formando “camini di collasso” e risulta inutilizzabile per tantissimi decenni, perfino per gli usi agricoli.

I giacimenti di salgemma, fino alla fine del secolo scorso, non erano a disposizione esclusiva della Solvay, la quale era titolare delle concessioni poste nei dintorni della frazione di Ponteginori (Comune di Montecatini Val di Cecina) e per un territorio esteso di 1.757 ettari. Tra questi alcuni risultano ancora non sfruttati e posti a maggiore profondità.

Vicini all’abitato di Saline di Volterra, invece, insistevano concessioni di pertinenza dei Monopoli di Stato che nello stabilimento di Saline facevano evaporare la salamoia per produrre sale da cucina particolarmente puro e sale industriale. Il fabbisogno di salamoia della salina è stato nel tempo quasi sempre al di sotto delle 100 mila tonnellate all’anno. Poiché la massima saturazione del sale nell’acqua è di circa il 30%, il fabbisogno idrico di questa lavorazione ammontava a meno di 330 mila metri cubi di acqua che oltretutto, una volta dissalata e condensata sarebbe possibile reimmettere nei pozzi di coltivazione del sale.

Il processo di lavorazione della Solvay, invece, è assai diverso. La salamoia estratta viene infatti inviata tramite apposite condutture verso lo stabilimento chimico, a diverse decine di chilometri di distanza, per essere lavorata. Fino a pochi anni fa l’elettrolisi avveniva a mezzo di celle a mercurio e l’acqua di risulta veniva scaricata a mare inquinata da questo pericoloso minerale. Recentemente le celle a mercurio sono state sostituite con celle a membrana. Tuttavia l’acqua di risulta contiene ancora altri inquinanti e il 15 per cento di cloruro di sodio e viene scaricata in mare.

Quindi, circa la metà del sale estratto e tutta l’acqua potabile prelevata nel territorio della Val di Cecina diventano un rifiuto. Un quantitativo enorme, se si pensa che il ritmo di estrazione per la produzione chimica della Solvay è crescente e oggi ammonta a circa 25 volte quello della Salina: circa 7-8 milioni di metri cubi all’anno. Tenuto conto di altre esigenze industriali, la Solvay dichiarava di consumarne 13 milioni e gli ambientalisti addirittura parlavano di oltre 24 milioni in considerazione della portata delle tubature di scarico. Per farsi un’idea di questo spreco, si consideri che i prelievi per uso civile della Val di Cecina ammontano a soli 1,6 milioni di mc.

Per questo motivo le amministrazioni della Val di Cecina, prevalentemente guidate dal Pci, dagli anni ‘60 agli anni 80, hanno sempre richiesto allo Stato di rivedere i rapporti con la Solvay, affinché fossero maggiormente tutelate le risorse naturali e ambientali. Negli anni 90 invece, liquidato il Pci, questa attenzione è venuta meno e anzi le amministrazioni sono andate incontro alle crescenti richieste della Solvay.

Il 26 Luglio 1995, vi fu un incontro fra il sottosegretario alle Finanze, i parlamentari eletti in Val di Cecina (Pds), i rappresentanti di tutte le Amministrazioni locali interessate (i sindaci di Volterra, Montecatini, Pomarance e Castelnuovo, il presidente della Provincia di Pisa, un rappresentante della Regione Toscana, tutti del Pds), i rappresentanti della Salina di Stato e della Solvay e i sindacati dei lavoratori. Con il parere contrario dei sindacati, che da allora non furono più invitati alle trattative, venne accolta un’ipotesi di accordo di collaborazione industriale fra le due aziende.

Il giorno 13 Ottobre del 1995, fra gli stessi soggetti, ad esclusione dei sindacati, venne dato l’assenso formale al progetto di collaborazione industriale tra Amministrazione dei Monopoli di Stato e la Solvay che prevedeva la cessione di tutti i titoli minerari di ricerca e sfruttamento dei giacimenti di salgemma alla multinazionale belga e l'intensificazione dello sfruttamento fino a 2.150.000 tonnellate annue. Solvay ottenne così anche l’uso di quelli pubblici della Salina di Stato per ulteriori 1.742 ettari di territorio in cui i giacimenti sono più superficiali, e quindi più soggetti a subsidenze, e più vicini all’abitato, con i conseguenti rischi per gli edifici e le infrastrutture, ma in cui l’estrazione risulta economicamente più conveniente.

L’incontro tra rappresentanti delle istituzioni, dei Monopoli e di Solvay avvenne all’insaputa dei cittadini, anzi ne venne ripetutamente negata l’esistenza finché il relativo verbale non venne scovato da un giornalista. Così, il 24 aprile 1996 venne firmato il regolare contratto tra i Monopoli di Stato e la Solvay che, oltre a fornire alla multinazionale l’esclusiva dell’estrazione di sale le garantiva il prelievo di ingenti quantità d’acqua dal fiume Cecina a costi irrisori (pochi centesimi di vecchie lire al metro cubo). In cambio Solvay si impegnava a pagare allo Stato una somma già dovuta, cioè tasse arretrate per circa 75 miliardi di lire che però erano oggetto di un contenzioso, risolto a favore dello Stato fino al Consiglio di Stato. Inoltre la Solvay si impegnava a fornire (a pagamento) alla allora Salina di Stato la salamoia necessaria per la sua attività e a smaltire i reflui della produzione di sale. Nessun impegno venne preso a favore del territorio dal punto di vista occupazionale o ambientale.

La reazione della popolazione a questo passaggio di mano delle concessioni dal pubblico al privato e la prospettiva di vedere moltiplicato per 25 il ritmo di estrazione nei pressi dell’abitato di Saline, fu molto forte, anche perché la principale ricchezza dell’industria locale, le concessioni, sarebbe andata in fumo e la risorsa si sarebbe rapidamente esaurita.

Il verdetto di una Commissione istituita dal Comune di Volterra a seguito delle pressioni popolari fu impietoso: l’accordo aveva un impatto complessivamente negativo sul territorio e sulle rispettive attività economiche.

Alla luce di questo verdetto, il Partito della Rifondazione Comunista uscì dalla Giunta del Comune di Volterra, mentre le forze di centrosinistra in maggioranza si schierarono in favore dell’accordo industriale. Alle successive elezioni amministrative Rifondazione Comunista risultò il primo partito a Saline di Volterra e conquistò circa il 20% dei consensi a livello comunale.

Per ovviare a questo intoppo la Provincia istituì un’altra commissione fatta di tecnici pagati anche dalla Solvay. Il costo delle indagini, in gran parte effettuate dalla Solvay direttamente o sotto il suo controllo, fu di 100 milioni di lire. A questa commissione fu affidato il compito di indagare solo una parte dei problemi sollevati dalla commissione comunale e l’esito fu ovviamente opposto a quello della prima. Alle istituzioni bastò la riconsiderazione di una parte dei problemi sollevati per dare il via libera all’attuazione dell’accordo.

Un aspetto particolarmente critico di questa intesa era il prelievo idrico. Il calcolo del bilancio idrico del fiume segnalava una misteriosa perdita di circa 40 milioni di metri cubi di acqua all’anno, il territorio nei periodi estivi patisce quasi ogni anno la carenza idrica per usi idropotabili e agricoli e il fiume Cecina per molti mesi dell’anno va in secca non permettendo il minimo scorrimento vitale, con la conseguenza moria della fauna ittica.

È proprio questo secondo aspetto che è stato oggetto di contenziosi legali che hanno sospeso per molti anni l’attuazione dell’accordo. La Regione in sede di Valutazione di Impatto Ambientale, è stata costretta a richiedere alla Solvay provvedimenti per fare fronte a questa carenza. Ma i vari progetti proposti dalla Solvay non avevano i requisiti per essere accolti o perché non risolvevano il problema o per l’impatto estremamente negativo sul territorio o perché non erano fattibili, tant’è vero che, nonostante la Regione abbia ripetutamente chiuso uno o entrambi gli occhi su questo aspetto, il TAR e il Consiglio di Stato hanno per due volte bocciato le delibere regionali di autorizzazione allo sfruttamento dei giacimenti. E per due volte la Regione ha raggirato le sentenze del Tar con prescrizioni chiaramente inidonee, fino a prendere i comitati e le associazioni che si erano opposte all’accordo per sfinimento e per mancanza di fondi necessari ad aprire nuovi contenziosi. Così, da pochi anni l’accordo è operante, nonostante nessun provvedimento per rimediare alla carenza idrica sia stato attuato se non il parziale finanziamento di un acquedotto pubblico sull’affluente del Cecina Trossa.

Anche la provincia di Pisa, cui competevano le concessioni del prelievo idrico, ha chiuso entrambi gli occhi e ha permesso tale prelievo perfino nei periodi di carenza idrica per uso civile, invertendo le priorità stabilite dalla legge per simili circostanze.

La soluzione vera starebbe nell’uso del sale marino, che è a due passi dallo stabilimento della Solvay e nell’uso dell’acqua marina desalinizzata e depurata. Una soluzione, certamente costosa per l’azienda, e che non le viene imposta dato che tutte le istituzioni sono prostrate ai piedi del padrone.

Questa vicenda, oggetto di una vertenza territoriale fortemente partecipata, fatta poi sgonfiare nella delusione generale, è emblematica. Il capitale, oggi nella sua veste transnazionale, subordina alla sua autovalorizzazione ogni aspetto della vita: ambiente, diritti e benessere comune, inclusi quelli delle future generazioni. Anche i rapporti fra istituzioni pubbliche e capitale debbono essere assoggettati a questa pulsione. Il patrimonio pubblico deve essere espropriato da parte dei privati, per estendere gli spazi del “mercato”. Conseguentemente anche la Salina di Stato, nel frattempo, è stata ceduta a privati. I diritti dei lavoratori devono essere tagliati. Dietro la fiction delle elezioni, il ceto politico che a turno ci governa viene selezionato per mantenere incontrastato il dominio del capitale, una volta proponendo un liberismo mascherato da saggezza politica (“lo vuole l’Europa”, oppure “è necessario per garantire l’occupazione”), un’altra trovando diversivi per indirizzare il malessere popolare contro falsi obiettivi, magari contro chi è maggiormente sfruttato. Ma la sostanza è che il potere reale non sta nelle mani dei cittadini, e neppure in quelle delle marionette che si agitano nei media in cerca del consenso, assicurando contemporaneamente chi detiene davvero il potere: il capitale. E se i comunisti sostengono che la lotta di classe esiste ancora, vengono tacciati da dinosauri fuori dalla Storia.

28/07/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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