Non stiamo tutti sulla stessa barca

La disuguaglianza dei redditi aumenta sia durante le fasi di crescita economica sia durante le fasi di crisi. Nella maggior parte dei paesi la forbice tra ricchi e poveri è la più alta da 30 anni a questa parte. La causa? Le riforme del mercato del lavoro.


Non stiamo tutti sulla stessa barca

La disuguaglianza dei redditi aumenta sia durante le fasi di crescita economica sia durante le fasi di crisi. Nella maggior parte dei paesi la forbice tra ricchi e poveri è la più alta da 30 anni a questa parte. La causa? Le riforme del mercato del lavoro.

di Alessandro Bartoloni

Ad affermarlo è l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) nella sua ultima pubblicazione sul tema della disuguaglianza [1]. Una delle massime istituzioni del moderno capitalismo costretta ad evidenziare, sebbene con il linguaggio e le categorie borghesi (non a caso il testo si intitola “siamo tutti sulla stessa barca”), che il sistema tende inesorabilmente alla crescente concentrazione del reddito e che la causa principale può essere rintracciata nelle contro-riforme del mercato del lavoro, nella crescente precarietà e nei bassi salari. L’ennesima conferma che siamo dentro un sistema oramai al collasso, che non riesce a garantire neanche la redistribuzione dei redditi neppure all’interno dei principali paesi imperialisti. Negli Usa, ad esempio, l’Ocse ci dice che nel 1985 il decimo di popolazione più ricco guadagnava un reddito medio undici volte maggiore del reddito medio del dieci per cento più povero. Nel 2013 questo il rapporto è salito a diciannove volte. In Italia siamo passati da un rapporto di 7:1 a 11:1.

Certo, l’Ocse non può andare oltre e svelarci il motivo di tutto ciò. Deve tacere la necessaria e crescente polarizzazione di classe che fa scendere il monte salari in tutto il mondo. Per il 99 per cento della popolazione Usa, ad esempio, la diminuzione è di 15 punti rispetto al 1980. Un trasferimento dal lavoro al capitale pari a 1.800 miliardi dollari che riporta la fetta di valore che spetta ai salariati al livello del 1920. Questo produce una tendenza alla concentrazione della ricchezza ancora più spaventosa di quella del solo reddito, soprattutto a livello mondiale. A partire dai dati di Credit Suisse, Oxfam ha calcolato che la ricchezza si concentra inesorabilmente sempre di più ogni anno. Tanto che oggi siamo arrivati che l’uno per cento della popolazione mondiale (circa 70 milioni di individui) è più ricca di tutto il resto dell’umanità messa insieme, con 80 persone che si accaparrano l’equivalente di ciò che hanno i 3,5 miliardi più poveri (la metà della popolazione del globo) [2].

Ma se il motivo alla base di tutto ciò rimane occultato, i fatti continuano ad avere la testa dura. Tanto che pure l’Ocse è costretto a riconoscere che “l’aumento dei lavori atipici può creare opportunità di occupazione, ma contribuisce anche ad aumentare la disuguaglianza. Molti lavoratori atipici, infatti, stanno peggio sotto molti punti di vista, dalla qualità del lavoro ai guadagni, dalla sicurezza alla formazione. In particolare, quelli poco qualificati e precari sono costretti a convivere con salari bassi e instabili. Le famiglie fortemente dipendenti da redditi derivati da lavori atipici, poi, presentano tassi di povertà molto più elevati (in media del 22 per cento) ed è l'aumento del numero di queste famiglie che ha contribuito ad innalzare la disuguaglianza nei paesi Ocse”.

Per tanto, “la variazione dei guadagni e delle condizioni di contrattazione sul mercato del lavoro sono le cause dirette più importanti della crescente disparità di reddito. Ciò riguarda in particolare i cambiamenti nella distribuzione dei salari, la cui forbice si è allargata nella maggior parte dei paesi Ocse negli ultimi 25 anni. Ma questo è anche legato ai cambiamenti dei modelli occupazionali, delle condizioni di lavoro e delle strutture del mercato del lavoro. Ad esempio, livelli crescenti di lavoro atipico, (occasionale, part-time, a tempo determinato), aiutano a spiegare l’enigma della crescita della disuguaglianza nonostante l’occupazione sia cresciuta rispetto ai livelli pre-crisi. Dal 1980, infatti, i mercati del lavoro nei paesi Ocse sono stati oggetto di importanti cambiamenti strutturali: si è proceduto a deregolamentare i mercati in quei paesi dove la protezione dei lavoratori era relativamente elevata mentre nei paesi con bassa protezione la situazione non è cambiata”. Inoltre, “quasi tutta la perdita di occupazione negli impieghi mediamente qualificati e relativamente standardizzati ha colpito chi aveva un contratto di lavoro standard. Di contro, la maggiore occupazione che si registra nei lavori poco o molto qualificati è caratterizzata dal massiccio uso di contratti atipici”.

Questo è il contesto all’interno del quale si inserisce la riforma della scuola di Renzi, tassello mancante per adeguare la preparazione della grande massa della futura popolazione lavoratrice alla prospettiva di un impiego precario e dequalificato. Tutto ciò si scontra però con l’esigenza di mantenere sotto controllo le grandi masse lavoratrici che inevitabilmente si oppongono a questa deriva. Da qui la stretta securitaria dentro e fuori i luoghi di lavoro, che in Italia si concretizza nel jobs act, nella riforma elettorale e costituzionale, nella gestione dei migranti [3]. In Italia, Renzi la sua parte la sta facendo benissimo. I comunisti, invece, ancora assenti.

 

[1] Il testo pubblicato a fine maggio si intitola "In it together. Why less inequality benefits all" reperibile online sul sito internet dell’organizzazione.
[2] I dati di Credit Suisse sono pubblicati nel “Global Wealth Databook 2014”, le elaborazioni Oxfam nel testo dal titolo “Wealth: Having it all and wanting more”. Entrambi i testi sono reperibili online sui siti internet delle due organizzazioni.
[3] Si vedano a tal proposito i documenti programmatici per l’affondamento delle imbarcazioni da trasporto dei migranti rilasciati dalla rete Wikileaks: “EU defence chiefs' approved plan for military intervention against "refugee boats" in Libya and the Mediterranean” e “EU Politico-Military Group advice on the military intervention against "refugee boats" in Libya and the Southern Central Mediterranean”, entrambi del 12 maggio 2015.

28/06/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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