Dopo il referendum del 4 dicembre: quale ruolo per i comunisti?

Per il proporzionale nelle istituzioni e nei luoghi di lavoro, per abolire le controriforme su pensioni-lavoro-scuola, per costruire un programma e un blocco politico-sociale anticapitalista.


Dopo il referendum del 4 dicembre: quale ruolo per i comunisti? Credits: http://www.globalproject.info/

La vittoria del NO al referendum costituzionale del 4 dicembre ha aperto una fase nuova nella politica italiana, nonostante la riproposizione di un governo, quello Gentiloni, che riproduce l’egemonia renziana nel PD e vorrebbe mantenere il controllo nelle istituzioni, ma che ha il profilo di un esecutivo della disperazione.

La notizia più importante, sottolineata dalla stragrande maggioranza dei commentatori e dei politici, ma non del tutto compresa nelle sue conseguenze, è quella del ritorno al voto di circa 32 milioni di elettori: da un tasso di astensionismo crescente e che si stava avvicinando pericolosamente al cinquanta per cento, si è tornati improvvisamente a percentuali da “Prima Repubblica”, segno di un improvviso bisogno di manifestare il proprio dissenso non solamente con rifiuto del voto, ma con un partecipazione massiccia, espressione di un ritrovato bisogno di partecipazione alla vita politico-istituzionale.

Per quanto questa presenza sia stata alimentata dalla volontà di esprimere tutto il dissenso contro il Governo Renzi-Boschi (crollato per un atteggiamento di ottusa arroganza che gli ha impedito di comprendere lo scontento crescente nel Paese), non deve essere sottovalutato il merito su cui si è votato nel referendum: i 32 milioni di votanti, di cui oltre 19 milioni hanno votato NO alla distruzione della Costituzione, hanno votato per difendere la Costituzione antifascista, per mantenere lo spirito sociale e solidale che la Costituzione garantisce, nonostante le modifiche (anche gravi, come l’introduzione del pareggio di bilancio nell’articolo 81) che sono state apportate nel corso degli ultimi decenni.

Non possiamo che ripartire da questo voto prettamente politico, anzi, “costituente”: non deve essere elusa la valenza fortemente politica di questo voto che vale per chi ha votato per il SI, ma soprattutto per coloro che si sono espressi per il NO. Vale per entrambi i voti, ma la nostra attenzione è ovviamente concentrata su quello del NO: questo risultato vittorioso è frutto di una convergenza di molte aree politico-sociali, assai disomogenee tra loro e non assimilabili in vista di un’alleanza elettorale e/o per una prospettiva di governo, ma il senso principale è che è stato espresso un orientamento decisivo di difesa dell’assetto costituzionale ed istituzionale che sia pienamente consapevole o meno.

A raggiungere questo obiettivo non è stata una minoranza degli elettori (come sarebbe accaduto se il tasso di astensionismo si fosse mantenuto alto), ma la maggioranza degli aventi diritto al voto, cioè una maggioranza di italiani che si sono espressi per difendere la Costituzione e l’impianto programmatico che delinea e struttura.

La Costituzione, infatti, incardina un vero e proprio programma politico-sociale opposto a quello del fascismo, ma anche a quello del capitalismo nella sua forma selvaggia e feroce del liberismo sfrenato, offrendo una prospettiva ed un orientamento solidale all’elaborazione legislativa, troppe volte tradito in questi ultimi anni da leggi anticostituzionali: la Costituzione, con il suo impianto che impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli economici e sociali alla partecipazione, indica la strada maestra e la direzione verso cui le forze politiche e sociali devono muoversi. Il popolo italiano ha ribadito con fermezza che quell’impianto deve rimanere come cardine fondamentale della nostra società.

In questo scenario, i comunisti hanno un ruolo fondamentale che devono riconquistare: quello di dare alle masse popolari (che hanno massicciamente votato contro il governo delle banche e della massoneria e, soprattutto, contro la revisione reazionaria della Costituzione) la prospettiva della riappropriazione democratica delle sorti del Paese, contro la deriva regressiva e involutiva che le destre alimentano. In termini più espliciti, occorre lavorare affinché il voto politico, espresso dalle masse popolari in maniera rabbiosa per sfiduciare un governo amico delle banche, diventi coscienza di classe.

Per questo, l’insistenza sulla linea di costruire una “soggetto unitario e plurale della sinistra” non corrisponde più, semmai lo abbia potuto, alle richieste che provengono dalla società: la partecipazione al referendum ha rivelato un massiccio ritorno delle masse popolari al voto, a testimonianza di un ritrovato protagonismo contro il Governo Renzi e la sciagurata riforma Boschi, incarnazione dei poteri finanziari internazionali e massonici nazionali (concentrati nell’area aretino-fiorentina, cuore della loggia massonica P2 di Licio Gelli), che avrebbero voluto distruggere la Costituzione in nome di un’efficienza decisionista dell’esecutivo per favorire la definitiva transizione ad un sistema finalizzato all’estrazione del profitto (dalla speculazione finanziaria, alla devastazione del territorio, alle grandi opere, all’appropriazione dei servizi di pubblico interesse e dei beni universali da parte del padronato, senza alcun controllo sociale).

Il risultato del referendum ha consegnato un’opposizione decisiva a questo orientamento politico-sociale: si tratta di dare uno sbocco avanzato a questa energia accumulata. Per i comunisti, non si tratta solamente di avanzare proposte antiliberista, di stampo assistenzialista o neokeynesiano, ma di prospettare un rovesciamento del sistema capitalistico, origine della crisi, per offrire una soluzione che non si limiti a rattoppare le falle del sistema, ma lo trasformi radicalmente.

È per questo che occorre tornare a parlare di nazionalizzazione dei settori strategici (e non solo di salvataggio statale delle banche, per poi restituirle ai privati che le hanno trascinate sull’orlo del baratro), di programmazione e pianificazione economico-produttiva, di riforma progressiva del prelievo fiscale (e conseguente lotta alla evasione con la requisizione dei beni e delle proprietà degli evasori): per questo occorrerà elaborare un programma minimo da ampliare e articolare.

In questo senso, occorre definire lo scenario della fase che si è aperta con questo voto, e conseguentemente aprire le battaglie politiche coerenti per offrire prospettive di reale cambiamento invocato dalle masse popolari.

In questo senso, occorre precisare alcune premesse:

  1. il nostro Paese è un’articolazione del capitalismo imperialista globalizzato euro-atlantico;
  2. le istituzioni repubblicane sono delineate dalla Costituzione come democrazia parlamentare, il cui impianto è incardinato sull’obiettivo di far progredire l’uguaglianza tra cittadini, impegnando le istituzioni repubblicane (innanzitutto parlamento e governi) ad operare per rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono la partecipazione alla vita politica;
  3. la condizione di una reale partecipazione dei cittadini consiste nel promuovere e creare le condizioni di espressione dei cittadini attraverso l’accesso alle istituzioni e la loro espressione tramite il voto (dunque in netta controtendenza a quella per cui si è abolito il voto dei rappresentanti provinciali e che avrebbe voluto abolire anche l’elezione dei senatori).

Se questo scenario delineato è corrispondente alla realtà della Costituzione, e dunque alla volontà espressa dagli elettori di mantenerne lo spirito e la lettera, ciò significa che i comunisti devono individuare l’obiettivo politico da elaborare per l’attuale fase.

Per restituire rappresentanza politica e sociale alle masse popolari, a lavoratrici e lavoratori, ai precari e ai pensionati, in modo da riaprire la speranza nel futuro per le giovani generazioni e una prospettiva di serenità e assistenza dignitosa per gli anziani, occorre aprire nei prossimi mesi una mobilitazione politico-sociale articolata, che si muova su tre linee principali:

  1. costruire una campagna politica con l’obiettivo di leggi elettorali fondate sul proporzionale puro sia nelle elezioni politiche che in quelle regionali e amministrative (con il ripristino del voto per l’elezione dei consigli provinciali), senza soglie di sbarramento o premi di maggioranza. Per una campagna di questo tipo occorre investire i Comitati del NO, ma deve essere una campagna promossa prioritariamente dal PRC;
  2. lanciare una proposta per una nuova legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro, anch’essa fondata sul principio del proporzionale puro e senza quote riservate ai sindacati concertativi, contro qualsiasi forma di favore sindacale a vantaggio di privilegiati della “aristocrazia operaia” e/o di “ceto burocratico” oltre i diritti sindacali sanciti dalla Legge 300/70 (Statuto dei Lavoratori);
  3. sviluppare una campagna per una integrale (o comunque sostanziale) abolizione delle leggi Fornero, Poletti, Giannini in materia di pensioni, lavoro, scuola: per ripristinare i limiti dell’età pensionabile precedenti alla riforma della Fornero e per stanziare i fondi necessari a risolvere il problema dei cosiddetti “esodati”; per abolire i voucher e il contratto a tutele crescenti, per ripristinare integralmente l’articolo 18 contro i licenziamenti senza giusta causa; per abolire l’obbligo di alternanza scuola-lavoro che legalizza lo sfruttamento minorile e descolarizza le giovani generazioni, per eliminare la gerarchizzazione e la meritocrazia clientelare nelle scuole e nella Pubblica Amministrazione, per ridare centralità al diritto allo studio e al diritto all’istruzione per tutte/i le/i cittadine/i.

Occorre dunque lanciare una proposta al PRC e a tutte le forze disponibili per restituire sostanza politica e centralità ai comunisti e per costruire il blocco sociale e politico che abbia una prospettiva non solamente antiliberista, ma fondamentalmente anticapitalista.

24/12/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Giovanni Bruno

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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