Il capitalismo reale

I crescenti limiti della democrazia formale borghese, fondata sulla delega, rilanciano l’esigenza della democrazia diretta, imprescindibile per una reale sovranità popolare


Il capitalismo reale Credits: cedocsv.blogspot.it

Dal “Rapporto sulla qualità dello sviluppo in Italia” del 2017, realizzato da Tecnè e dalla Fondazione Di Vittorio “emerge la fotografia di un Paese in cui la ricchezza tende sempre di più a concentrarsi”, ha osservato la segretaria del maggiore sindacato italiano. Ciò che colpisce è che le diseguaglianze, i bassi salari, la progressiva proletarizzazione del ceto medio – che generano scarsa fiducia, anzi paura nel futuro – vengono presentate e percepite come una “scoperta”, quasi si trattasse di una novità di quest’anno. Quasi si trattasse di un’eccezione e non di una regola, propria del modo di capitalistico di produzione e per altro già evidenziata ai suoi albori, dal suo primo apologeta, Adam Smith, che in un noto paradosso notava come la ricchezza delle nazioni, prodotta dalla rivoluzione industriale, si sviluppava in modo proporzionale all’aumento della miseria in una parte crescente della popolazione.

Quest’ultima, che già Hegel definiva la plebe moderna, quale caratteristica strutturale e lato cattivo ineliminabile della società capitalista, nell’Italia odierna ha raggiunto quota otto milioni. Senza, ovviamente, contare i milioni di proletari che percepiscono, in cambio della vendita della loro capacità di lavoro, il minimo necessario per riprodursi come massa a disposizione del capitale per valorizzarsi.

Tale caratteristica della società borghese, occultata dagli organi di informazione main stream, non è denunciata nemmeno nei residuali organi di informazione di sinistra o dai principali esponenti della stessa Cgil, che al massimo cercano di scaricarne le responsabilità su Renzi, che ha ormai preso il posto di Berlusconi quale capro espiatorio di ogni male prodotto dalla crisi strutturale del modo di produzione capitalista. Nonostante ciò, persino il senso comune, nonostante la percezione della realtà sia così distorta dagli strumenti di egemonia della classe dominante, si dice certa che la situazione economica dell’Italia non migliorerà nel prossimo anno (69%), che la propria situazione personale non registrerà un miglioramento (89%), mentre aumenterà la disoccupazione (76%).

Abbiamo, dunque, la conferma del fatto che, in una società a capitalismo avanzato, una maggioranza crescente della popolazione vive male, persino dal punto di vista abitativo. Un’altra conferma trovano nel citato Rapporto le tesi marxiste secondo cui le idee dominanti sono le idee delle classi dominanti – soprattutto in assenza di un partito comunista in grado di portare avanti in modo efficace la lotta per l’egemonia a livello delle sovrastrutture. Così, ad esempio, la generale sfiducia per quanto concerne il mondo economico e politico, favorisce in molti degli intervistati la “riscoperta del senso dell’autorità identificata con le forze dell’ordine”. Dunque, dalla crisi della società capitalista, come mostrava già Marx, in assenza di una credibile alternativa di sistema, ad affermarsi sono le tendenze autoritarie e totalitarie dello Stato di polizia, caratteristiche del bonapartismo regressivo.

Si obietterà, però, che l’attuale modo di produzione garantisce, quantomeno, la democrazia, mentre i tentativi di superarlo hanno finito con il favorire l’affermarsi di tendenze totalitarie. Quindi, per quanto in crisi, il nostro resterebbe il migliore dei mondi possibili, tanto più che siamo nella civile Europa; da ciò se ne dedurrebbe la necessità di implementare, anche dal punto di vista politico, e perché no militare, l’Unione Europea.

Tralasciando il fatto che la civiltà europea ha prodotto e diffuso a livello internazionale fenomeni come il colonialismo, l’imperialismo, le guerre mondiali, il nazionalsocialismo ecc. e l’Italia in particolare il fascismo e il berlusconismo, occupiamoci un momento dello stato attuale della democrazia, a partire dal nostro paese.

Ora, sempre dal “Rapporto sulla qualità dello sviluppo in Italia” veniamo a sapere che l’italiano è sempre più portato alla delega della sovranità, che in linea teorica dovrebbe essere popolare, ed è sempre più restio alla pratica della solidarietà (che, come ricordava Brecht, è la più efficace arma di emancipazione) e dell’azione diretta. Così abbiamo un ulteriore calo della partecipazione alle manifestazioni politiche, tanto che appena il 4% ha partecipato lo scorso anno a un’iniziativa politica (meno 20% nell’arco di un solo anno) e solo l’1% ha svolto attività politica gratuita per un partito. Persino la partecipazione alla cosiddetta “politica in poltrona” è in calo, con appena un 18% che ha ascoltato un dibattito politico, né la situazione appare migliore dal punto di vista dell’impegno sociale e civile con appena il 2% di partecipanti a riunioni in associazioni ambientaliste e per i diritti civili.

Ora se gli intellettuali di sinistra avessero continuato a leggere Lenin, invece di sostituirlo con Foucault – come precedentemente avevano sostituito Nietzsche alla lettura di Gramsci – si renderebbero conto che tali dati dimostrano, ancora una volta, la pregnanza e l’attualità dell’analisi spietata che il rivoluzionario russo ci ha lasciato della democrazia borghese.

Come già il termine stesso denuncia, nella sua natura contraddittoria, si tratta di un vero e proprio ossimoro dal momento che democrazia significa potere (krazia) delle masse popolari (demos), mentre ad avere e gestire il potere attualmente è, sempre più, la sola borghesia. Le masse popolari ne sono sostanzialmente escluse, non solo per quanto concerne la democrazia reale, quella diretta – dal momento che meno dell’1% svolge attività politica nelle forze della sinistra – ma anche dal punto di vista della democrazia formale, delegata, vista la scarsità di rappresentanti diretti o indiretti delle masse popolari nelle due Camere, per non parlare degli apparati direttivi dello Stato.

Certo, tutto ciò non ci esime dal riflettere sugli evidenti errori che sono stati compiuti nella costruzione di una società alternativa al capitalismo proprio dal punto di vista dello sviluppo della democrazia. Anzi, presumibilmente, si tratta del principale tallone di Achille che ha portato diversi paesi, che avevano intrapreso la transizione al socialismo, a implodere. Pensiamo, ad esempio, alla sostanziale assenza di manifestazione di massa nel momento in cui la borghesia stava riconquistando il potere nei paesi dell’est Europa.

Tali indubitabili carenze nella formazione di una democrazia superiore, quella socialista fondata sulla partecipazione diretta delle masse popolari mediante le strutture consiliari, rende ancora oggi - quando la crisi strutturale del modo di produzione capitalista è sotto gli occhi di tutti - poco appetibile l’alternativa socialista, per altro l’unica realmente progressista. Il fatto che in Cina il governo comunista sia stato difeso dall’esercito, dinanzi al principale tentativo compiuto per rovesciarlo – di fronte alla quasi completa passività delle masse popolari – costituisce un ulteriore dimostrazione di tali gravi carenze nello sviluppo della democrazia quale potere popolare. Da tale punto di vista il corso successivo seguito in Cina non pare riproporre l’esigenza di rilanciare la partecipazione dal basso dando nuovo impulso alle strutture consiliari e, proprio per questo, il modello cinese appare poco appetibile al proletario occidentale.

Ma dobbiamo necessariamente tornare a noi, se non vogliamo apparire ridicoli come il bue che dà del cornuto all’asino. Per motivi di spazio, mi limito a un paio di casi emblematici. Come è noto l’assessore Berdini, dopo aver denunciato che la sindaca di Roma è strutturalmente incapace di governare e si è circondata di una vera e propria corte dei miracoli, è stato costretto a rassegnare le dimissioni. Allarmante è stata la reazione dell’opinione pubblica di sinistra, che ha pregato in tutti i modi la Raggi di mantenere al suo posto Berdini. Il ché è evidentemente assurdo, in quanto le stesse dichiarazioni di Berdini appaiono la migliore dimostrazione che la sua funzione da assessore è stata essenzialmente quella di fare da foglia di fico, nascondendo la totale incapacità dell’attuale giunta di realizzare una forma di democrazia maggiormente avanzata e di migliorare le condizioni di vita dei cittadini, in particolare delle masse popolari che l’avevano votata.

Dunque, invece di sfruttare l’ennesima occasione per denunciare il populismo qualunquista, di un movimento che ha impedito alle forze realmente di sinistra di tesaurizzare la crisi di credibilità della democrazia borghese fra le masse popolari, si è inopinatamente fatto di tutto per spingerle a delegare la propria sovranità a una sindaca incapace di governare e attorniata da una corte dei miracoli.

Mentre la sinistra mainstream era tutta presa a difendere il ruolo di foglia di fico svolto – certo inconsapevolmente – da Berdini, il Consiglio dei ministri approvava il “Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa”, delegando al governo “la revisione del modello operativo delle Forze armate”. Come ha giustamente denunciato Manlio Dinucci, praticamente l’unica voce a denunciare questo pesantissimo attacco a quanto resta della democrazia borghese, “alle Forze armate vengono assegnate quattro missioni, che stravolgono completamente la Costituzione”. Quest’ultima rischia così di diventare a sua volta la foglia di fico che nasconde, dietro una facciata “democratica”, il potere sempre più dittatoriale della borghesia, secondo il modo di esprimersi di quel protagonista della Rivoluzione d’ottobre, che il senso comune di sinistra tende oggi a considerare “un cane morto” di cui vergognarsi, da cancellare al più presto dall’album di famiglia.

Fra le tante nefandezze limitiamoci a sottolineare la “quarta missione” che dà come principale compito alla Forze armate, sul piano della politica interna, la “salvaguardia delle libere istituzioni”, con “compiti specifici in casi di straordinaria necessità ed urgenza”. Il che significa, in ultima istanza, la possibilità di una gestione militare di una crisi politica in cui sia messa in discussione l’ossimorica democrazia borghese. Si dà così, nei fatti, ai vertici delle forze armate la possibilità di dichiarare lo Stato d’emergenza dinanzi al rischio che sia messo in questione l’ordine costituito. Ma come da tempo è noto, a proposito della presunta sovranità popolare, “sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”.

18/02/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: cedocsv.blogspot.it

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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