Unità di classe vs settarismo

La disfatta elettorale può divenire un’esperienza positiva se ci consentirà di superare il settarismo, rilanciando l’unità dei comunisti, il fronte antimperialista, l’unità delle opposizioni di sinistra al governo, i consigli e l’unità sindacale dal basso e dal conflitto sociale.


Unità di classe vs settarismo Credits: https://www.lacittafutura.it/dibattito/l-unita-dei-comunisti-e-la-ricostruzione-del-partito

Nonostante la crisi sempre più evidente della classe economica dominante e della classe politica dirigente del nostro paese, mai l’opposizione di sinistra è apparsa così debole. Ciò fa sì che più maturano le condizioni oggettive per un processo rivoluzionario, più appaiono carenti le forze soggettive. Alla base di questa carenza vi sono due significative problematiche oggettive: 1. la sconfitta del blocco sovietico nella guerra fredda e la sempre crescente automazione produttiva hanno favorito la delocalizzazione di diverse fabbriche al di fuori dei paesi a capitalismo avanzato e 2. la progressiva introduzione dell’organizzazione del lavoro toyotista, che ha portato con sé lo smembramento dei grandi impianti produttivi e la precarizzazione della forza-lavoro.

Tutto ciò ha comportato: 1. la drastica caduta del morale delle forze proletarie, dopo le storiche sconfitte subite a partire dalla fine del secolo breve, 2. La significativa diminuzione della classe operaia nei paesi a capitalismo avanzato, storicamente avanguardia in tali paesi dei ceti subalterni. 3. La precarizzazione del lavoro e lo smembramento dei grandi complessi produttivi, che hanno prodotto: 4. una significativa perdita della coscienza di classe del proletariato, decisamente aggravata dal sostanziale indebolimento delle avanguardie comuniste in grado di favorire la maturazione della coscienza sociale nelle masse.

Inoltre, 5. mentre le forze imperialiste e reazionarie nazionali e internazionali sono riuscite ad attutire e a tenere generalmente sotto controllo le tendenze ai contrasti interimperialisti e agli scontri all’interno del blocco sociale dominante conservatore-reazionario, 6. le forze comuniste, antimperialiste, anticapitaliste e sindacali hanno, in primo luogo nel nostro paese, perseguito una tragica tendenza alle scissioni e a far continuamente esplodere i conflitti interni al popolo. Certo la presenza di un sano spirito di scissione è anche un segnale positivo, che indica la vitalità dei movimenti comunisti, antimperialisti etc., dall’altra parte la devastante tendenza al settarismo è effetto, ma diviene al contempo causa delle fasi di crisi di un movimento politico, ideologico ed economico.

Al punto che sono generalmente le masse, i popoli comunista, antimperialista, sindacale a chiedere alle proprie avanguardie di mettere da parte particolarismi e settarismi per ricostruire movimenti unitari in grado di tener testa alle classi dominanti conservatrici e reazionarie. Tanto più che non può che essere evidente, anche al peggiore opportunista di sinistra, che solamente raggiungendo livelli di unità significativamente superiori alle classi dirigenti e dominanti da combattere si potranno ottenere risultati significativamente positivi nel conflitto sociale. È evidente che chi controlla gli apparati repressivi, egemonici, politici ed economici ha un enorme vantaggio, che può essere contrastato unicamente da forme di unità decisamente superiori da parte dei subalterni, che hanno l’unico vantaggio di essere un numero notevolmente superiore al blocco sociale dominante.

Non tenere conto di questa richiesta, che corrisponde a un’esigenza reale e profonda delle masse, significa nei fatti abdicare alla propria funzione di avanguardia e destinarsi a rimanere una setta, ovvero una caricatura del partito. Il ruolo delle avanguardie è proprio quello di comprendere, interpretare nel modo più razionale e dare una direzione consapevole ai bisogni profondi e reali delle masse. Anche perché non esistendo in politica – o, meglio, nel conflitto sociale – spazi vuoti, tutti gli spazi che non sei in grado di occupare sono inevitabilmente conquistati dal nemico di classe che, per altro, ha dalla sua buona parte degli strumenti di egemonia sulla società civile.

In tal modo alla domanda di unità, in assenza di risposte adeguate da parte della componente rivoluzionaria o radicale, rischiano di divenire egemoni anche nei nostri settori sociali di riferimento le sirene che stravolgono questa esigenza reale delle masse, in un’esigenza reale del nemico di classe, ovvero rovesciare il sacrosanto obiettivo di unità di classe, nell’obiettivo caro alle forze conservatrici dell’unità del sedicente centro-sinistra, che nei fatti significa la subalternità di settori socialisti e socialdemocratici ai liberal-democratici o liberali progressisti, termini che rischiano sempre più di apparire oggi come degli ossimori, date le contraddizioni sempre più lampanti fra progressismo e liberalismo e fra quest’ultimo e la democrazia moderna.

La prima unità da costruire è quella capace di coniugarsi dialetticamente con lo spirito di scissione, ossia l’unità dei comunisti, nel senso oggettivo e non soggettivo del termine, ovvero l’unità di coloro che dimostrano nei fatti di operare da comunisti e non si limitano a definirsi tali. Tale unità è strategicamente decisiva ed è prioritaria quantomeno dal punto di vista logico e, tendenzialmente, anche dal punto di vista cronologico. Se manca l’unità dei rivoluzionari non solo le unità degli antimperialisti, delle opposizione e l’unità sindacale perdono d’importanza, ma difficilmente riescono a realizzarsi. Per altro, come abbiamo potuto vedere chiaramente con le situazioni pre-rivoluzionarie che si sono venute a creare recentemente – dove meno ce lo si poteva aspettare, ovvero nel mondo arabo – la mancanza dell’unità delle avanguardie, ossia dei comunisti e la loro conseguente incapacità di egemonizzare i movimenti di massa, hanno finito per favorire, in più di un caso, addirittura il successo delle forze controrivoluzionarie.

A tale scopo è necessaria un’unità non solo dal punto di vista del programma minimo, ma anche da quello del programma massimo, oltre che alla necessità di sperimentare l’effetualità di questi momenti di unificazione nella prassi. Il che significa che non si può trattare di un percorso breve e che può prodursi con forzature soggettiviste. Né, al contrario, bisogna cadere nell’errore opposto di rinviare tale prospettiva sine die, rimanendo prigionieri della tenebra di un eterno presente che non ci porta a operare per l’unità dei comunisti, perché non ce ne sarebbero le condizioni. Come se tale unità potesse avere luogo per opera dello spirito santo e non con il massimo impegno in questo senso da parte dei comunisti, che sono consapevoli di non poter essere realmente tali al di fuori del partito.

Da questo punto di vista va anche detto chiaramente che tutte quelle sette, ovvero caricature del partito, che inconsapevoli della loro realtà si sentono già nei fatti l’avanguardia o il partito in nuce – magari perché operano come se lo fossero – debbono essere considerate più parte del problema che della soluzione. Di cui sono, al contrario, certamente parte quelle formazioni che, consapevoli dei proprio limiti oggettivi, sono sempre pronte a operare in funzione della ricostruzione di forme di unità sempre più vaste, in cui sciogliersi in vista della ricostruzione del partito.

In secondo luogo, i comunisti debbono operare in funzione dell’unità delle forze oggettivamente antimperialiste, ovvero non gli opportunisti che sostengono nei fatti sostengono il proprio imperialismo, considerando il più pericoloso, reazionario, aggressivo o addirittura l’unico vero imperialismo quello più in contrasto con il proprio. Tale formulazione, ossia le forze oggettivamente antimperialiste in quanto si oppongono in primo luogo al proprio imperialismo – per quanto straccione possa apparire – è essenziale, in quanto se si puntasse, al contrario, alla costituzione di un fronte anticapitalista o anche antimperialista in senso astratto, non si potrebbe evitare l’infiltrazione di posizioni social-imperialiste, dette volgarmente rosso-brune, che contrastano gli imperialismi stranieri per meglio supportare il proprio, o sono anticapitaliste in senso reazionario, al punto da considerare loro massimo punto di riferimento l’attuale sovrano assoluto della teocrazia ultra-patriarcale vaticana.

L’unità delle forze sinceramente antimperialiste deve inoltre condividere un programma minimo. D’altra parte essendo, per quanto possano unirsi, le forze sinceramente antimperialiste oggi in Italia una infima minoranza, è evidente che per portare avanti la lotta di classe sul piano politico, in opposizione al governo in carica del nostro Stato imperialista, vi sarà bisogno di una forma di unità più vasta che, per evitare inutili confusioni, sarebbe meglio non definire anticapitalista, per i problemi sopra ricordati, né antiliberista, in quanto posizioni keynesiane possono ben essere presenti all’interno di un governo di uno Stato imperialista. Perciò bisognerebbe mirare alla costruzione di un fronte ampio di tutte le forze di opposizione di sinistra rispetto alle posizioni del governo in carica. In tal caso è evidente che centrale diviene la condivisione di quello che per i comunisti è il programma minimo, mentre per i sinceri democratici il programma massimo.

Infine dal momento che non è sufficiente rovesciare un governo, ma occorre rovesciare lo Stato imperialista, è necessario costruire una forma di unità diversa, che porti avanti la lotta di classe organizzandosi direttamente al livello delle strutture produttive e che costituisce la cellula della futura società socialista, ovvero i consigli (in russo soviet) in primo luogo dei proletari, in secondo luogo della forza lavoro in formazione, in terzo luogo delle masse popolari dei quartieri proletari (consigli di zona). Queste strutture consiliari, a partire da quelle costruite sui luoghi di lavoro, per le competenze di cui dispongono e la forma organizzativa basata sulla democrazia diretta proletaria – la più vicina a quella della futura società socialista – sono della massima importanza e deve rimanere un compito prioritario per i comunisti e, in secondo luogo, per gli antimperialisti ridargli vita. Anche qui non ci si può limitare a rinviare tale obiettivo sine die limitandoci a considerare la semplice arretratezza attuale. Anche perché se non vi è dietro il lavoro delle avanguardie difficilmente i consigli si organizzeranno autonomamente.

Infine, dal momento che nello scontro finale, nella guerra di movimento in campo aperto, decisive restano le avanguardie – nella misura in cui riescono a portare dalla propria parte la maggioranza delle masse che si riescono ad attivare politicamente – è altrettanto necessario fare un lavoro meno gratificante per un comunista all’interno dei sindacati maggiormente rappresentativi. Ricordando come su questo punto non vi fossero dubbi né per Lenin, né per la Terza Internazionale, dove ogni membro era correttamente tenuto a operare nei sindacati di massa, fossero anche di carattere reazionario.

A tale scopo, non solo perché è il modo più diretto per cercare di esercitare l’egemonia sulle masse proletarie e dei lavoratori ed è essenziale nella fase di accumulazione delle forze, bisogna avere di mira la ricomposizione del mondo sindacale – che l’imperialismo fa di tutto per frazionare e rendere, nei fatti, impotente – in un unico grande sindacato. Parola d’ordine non solo dei sinceri comunisti, in quanto tali rivoluzionari, ma anche dei sinceri antimperialisti, per quanto per certi aspetti anarcoidi come i wobblies, ovvero gli Industrial Workers of the World (IWW) che, non a caso, avevano come principale parola d’ordine la realizzazione di one big union.

Segue nel prossimo numero.

14/07/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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