L’Europa democratica che non ci sarà

Una risposta alle proposte di Antetomaso e Adami.


L’Europa democratica che non ci sarà Credits: https://www.flickr.com/photos/peter_from_wellington/

Pietro Adami e Cesare Antetomaso dei Giuristi Democratici hanno inviato a La Città Futura un intervento intitolato “Europa e Sinistra” in cui difendono una posizione europeista per la sinistra, criticando invece coloro che imputano la sconfitta a sinistra nelle ultime elezioni politiche (anche) alla mancanza di critica da sinistra all’Unione Europea.

Mi permetto di riassumere brevemente le argomentazioni di Antetomaso e Adami, con cui la redazione della nostra rivista è radicalmente in disaccordo:

  1. La sinistra è stata sconfitta per l’incapacità di proporre un società diversa, democratica e con diritti esigibili;
  2. Il processo di integrazione europea è paragonabile alla formazione degli stati-nazione europei, sarebbe quindi anti storico porsi in contrasto con esso;
  3. La sinistra dovrebbe quindi puntare alla “cittadinanza sociale europea”, ovvero una democrazia parlamentare europea, secondo il principio una testa un voto, in cui una serie di diritti inalienabili (lavoro, casa, salute) siano diretta responsabilità del nuovo stato europeo. La proposta si basa sul modello di trattato T-Dem elaborato da Piketty e altri.

Queste argomentazioni sono peraltro molto vicine a quelle di Varaoufakis e del suo movimento DiEM25, che recentemente trovato come interlocutore italiano il sindaco di Napoli, De Magistris.

L’Unione Europea è un processo irreversibile?

Il primo punto di disaccordo è la lettura del processo di integrazione europea. Secondo Adami e Antetomaso, una volta creato il mercato comune è inevitabile che si arrivi alla creazione dello stato comune. L’unico esempio storico in cui un’unione monetaria ha fatto da apripista alla costruzione di uno stato-nazione, sembra essere quello dell’unificazione tedesca. A meno che, però, non si auspichi una qualche versione moderna delle guerra bismarckiane, il paragone appare azzardato.

Rimane un problema di fondo: non è affatto detto che l’Unione Europea prosegua nell’integrazione.

Due testi penso che dovrebbero essere alla base della discussione sull’UE nella sinistra:

Senza pretendere di fare giustizia alle argomentazioni degli specialisti, provo a riassumere: la Germania ha attuato una politica ‘mercantilistica’ che ha reso instabile ed esposto agli attacchi l’integrazione monetaria. La Banca Centrale Europea non ha gli strumenti per combattere questa instabilità sul piano strutturale perché, essendo costruita sui pregiudizi monetaristi, assume come unico metodo per governare l’inflazione la leva monetaria, escludendo così il ‘governo’ di salari e profitti e quindi la possibilità di attuare una convergenza tra i vari paesi europei in una crescita ‘coordinata’ dei salari e della produttività del lavoro. D’altra parte, la BCE è venuta meno ai propri compiti di sorveglianza sulla Germania, essendo quest’ultima colpevole di aver tenuto la propria inflazione (e quindi i salari) più bassa dell’obiettivo comune europeo, proprio per attuare la sua politica mercantilista.

Brancaccio, all’inizio della crisi, ha proposto un progetto di “standard retributivo europeo” per far convergere i salari dei paesi europei in maniera concertata. La proposta è caduta nel vuoto. Se, per assurdo, la Germania cominciasse domani una politica unilaterale di aumento dei salari, l’equilibrio sarebbe ancora lontano di decenni. Nel frattempo l’Unione sarebbe esposta a tutte le crisi, e l’equilibrio raggiunto sarebbe un equilibrio di impoverimento dei paesi periferici.

Sarebbe consolante pensare che il mercantilismo tedesco sia solo un’ossessione personale dell’ex ministro delle finanze Schauble. Sfortunatamente, ci sono interessi di classe molto più profondi. In particolare, e amaramente per noi, ci sono interessi della classe lavoratrice tedesca nella politica mercantilistica. A livello intuitivo, i lavoratori tedeschi sanno che la piena occupazione in Germania (anche se si tratta di una “piena occupazione” fatta di mini-jobs) viene al costo della disoccupazione di massa nei paesi periferici. A livello più ragionato, lo sanno anche i vertici della sinistra tedesca e le burocrazie sindacali.

Se ci fosse la democrazia europea…

Le proposte di democratizzazione europea sono molto precise nell’indicare i meccanismi elettorali del possibile stato europeo, le indicazioni si fanno molto più vaghe quando si tratta di come far si che “il disoccupato greco diventi un problema europeo e non della Grecia”.

La proposta di Antetomaso e Adami sarebbe l’adozione di un trattato con la maggioranza semplice dei paesi membri. Invece che l’unanimità dei 19 paesi membri, basterebbero “solo” 10 adesioni. È già difficile ipotizzare che nel prossimo futuro ci siano dieci governi europei disposti a intraprendere una riforma progressista dell’Unione. Anche se fosse possibile, rimarrebbe la necessità dell’unanimità per modificare il resto dei trattati europei che costituiscono la gabbia europea. La proposta sembra quindi zoppa, ci sarebbe da una parte un parlamento con piena capacità legislativa… ma sarebbe comunque sottoposto a tutti i limiti a cui sono sottoposti i parlamenti nazionali.

Quindi?

L’inevitabilità dell’integrazione europea non ha basi su precedenti storici ed è esposta alle contraddizioni insite nella sua creazione sotto la guida tedesca. Al centro dell’Europa siede una coalizione, politica e sociale, che ha convenienza a mantenere queste contraddizioni. Le stesse proposte di democratizzazione, sembrano ideate per spezzare questa coalizione politica e sociale creando una sovrastruttura che la smantelli dall’alto.

Non c’è dubbio che ogni ordine politico favorevole ai lavoratori avrà bisogno di forme di collaborazione internazionale, come abbiamo visto in America Latina. Che questa collaborazione possa nascere da una democratizzazione della gabbia europea mi appare improbabile e, anzi, mi appare come una strada sbagliata che fa perdere tempo a chi non ha tempo. Alle prossime elezioni europee avanza una proposta, quella della Dichiarazione di Lisbona, firmata anche da Potere al Popolo. Un percorso fatto di mobilitazioni comuni sia al livello europeo sia al livello nazionale, con la difesa della sovranità dei popoli. Come conclude la Dichiarazione di Lisbona: ne abbiamo abbastanza di attendere. Anche di attendere l’Europa democratica che non ci sarà mai.

21/04/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Paolo Rizzi

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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