La diversità comunista

La vicenda della fasciomafia romana dimostra – una volta di più – la diversità dei comunisti che a quel letamaio si sono sempre opposti coerentemente, e spesso da soli.


La diversità comunista

La vicenda della fasciomafia romana dimostra – una volta di più – la diversità dei comunisti che a quel letamaio si sono sempre opposti coerentemente, e spesso da soli. No, signori complici di Alemanno, le forze politiche non sono tutte eguali! I comunisti sono stati e sono diversi. Ma questo è anche il momento delle domande: c’entra qualcosa con la devastazione dell’etica pubblica che mette in pericolo la democrazia la distruzione dei Partiti popolari come luogo di organizzazione autonoma delle classi e di partecipazione popolare? E cosa resta di un Partito, dopo che gli si è tolto ogni riferimento di classe, ogni respiro ideale anti-capitalistico, ogni appartenenza alla storia del movimento operaio, e perfino la fedeltà all’antifascismo e alla Costituzione? Vorremmo discuterne con i compagni del PD.

Lo scandalo fasciomafia a Roma segna un salto di qualità, nell’orrore, che sarebbe sbagliato sottovalutare.
Non si tratta affatto di “infiltrazioni” mafiose, si tratta invece di un vero e proprio sistema di potere, consolidato, ramificato, pervasivo, che rinvia direttamente a luoghi centrali della politica italiana (tale è il Sindaco della Capitale d’Italia, al tempo un ex ministro della Repubblica). Non si tratta più solo della spartizione consociativa fra centrosinistra e centrodestra, si tratta dell’egemonia materiale esercitata da neofascisti conclamati, organicamente intrecciati con la più micidiale criminalità organizzata le cui connessioni con i poteri occulti dello Stato sono sempre più evidenti.
E con questo grumo ripugnante di fascismo e criminalità, anche settori del PD - secondo quanto emerge dall’inchiesta, peraltro ancora in corso - hanno stabilito per anni patti ed alleanze di spartizione.
Invece i comunisti (e, a quanto sembra, solo loro) con questo sistema di potere, con questo letamaio, non c’entrano, se non come opposizione, ostinata quanto isolata e inascoltata. Ancora una volta i fatti dimostrano la diversità comunista.


Il Dossier-Alemanno che “Liberaroma” (al tempo organo della Federazione della Sinistra di Roma) propose, e che può essere letto QUI, sta a testimoniare questo nostro sforzo tenace di opposizione. E la pronta querela di Paolo Ferrero al tentativo di coinvolgere Rifondazione (vedi articolo su LCF) è – da questo punto di vista – un segnale molto importante. Noi aspettiamo che anche altri querelino, noi speriamo che anche altri siano nelle condizioni di poter querelare.

È infatti evidente il tentativo di gestione di questo scandalo messo in atto dalla destra già sostenitrice e complice di Alemanno: dire che tutti rubavano equivale a dire che nessuno ha rubato. Titolare in prima pagina (come fa il quotidiano romano di destra “Il Tempo”) “Magna magna” serve in realtà a nascondere chi è che “magnava” e con quali complicità; e parlare di uno scandalo “rosso-nero” (come ha fatto una trasmissione televisiva la sera di giovedì 4) serve, una volta di più, a occultare la differenza fra il nero e il rosso, fra i potenti che governavano rubando e il popolo della sinistra derubato, che si è sempre opposto e si oppone. Questo è dunque anche il momento di porsi delle domande. Anzitutto al nostro interno: sarebbe stato meglio per i comunisti essere coinvolti nella gestione di questo potere? Avere magari qualche consigliere in più, o qualche assessore, accettando per questo il coinvolgimento in un tale sistema? Non è stato invece fondamentale, per noi e (oso dire) per la democrazia italiana, lo sforzo ostinato dei comunisti di affermare e costruire un punto di vista diverso, di opposizione di classe, anche se per questo sforzo abbiamo dovuto pagare (complici le leggi elettorali truffa) il prezzo altissimo della nostra esclusione dalle assemblee elettive? E una serie di domande va oggi posta, crediamo, ai compagni del PD e di SEL.

C’è, oppure no, un nesso fra queste vicende e la scelta di distruggere (o auto-distruggere) i Partiti, intesi come luogo di autonomia organizzata delle masse, di elaborazione politico-culturale, di tramite indispensabile per la partecipazione popolare e il controllo dal basso?
C’entrano qualcosa, oppure no, con queste vicende la mediatizzazione berlusconiana (e oggi renziana) della politica, l’idea di affidare tutto il potere al sindaco-capo, la mortificazione costante della partecipazione popolare e – ormai – delle stesse assemblee elettive?
E cosa resta di un Partito, dopo che gli si è tolto ogni riferimento di classe, ogni respiro ideale di alternatività al capitalismo, ogni senso di appartenenza alla grande storia del movimento operaio, ogni autonomia culturale e ogni valore, e perfino la fedeltà all’antifascismo e alla Costituzione?


Cosa resta, se non una nicciana “volontà di potenza”, che si dimostra capace di tutto? Vorremmo che compagni/e, anche di orientamento diverso dal nostro, usassero “La Città Futura” per discutere questi problemi.

05/12/2014 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Raul Mordenti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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