La vicenda di Silvia Romano tra fondamentalismo occidentale e islamofobia

Il ruolo dell’uso ideologico e strumentale dei termini nella vicenda della ragazza liberata dalla sua prigionia in Somalia


La vicenda di Silvia Romano tra fondamentalismo occidentale e islamofobia Credits: forzazzurri.net

Tutte le parole del linguaggio umano possono essere curvate e rimodellate nel loro significato, ovvero tutte le parole possono essere adeguate alla propria ideologia.

Per lungo tempo ad esempio, soprattutto negli Stati Uniti, il termine “democrazia” è stato evocato per difendere quelli che allora venivano definiti “sacrosanti diritti di proprietà”, da ogni spinta minacciosa, tacciata come dispotica, che premeva per l'abolizione dell'istituto della schiavitù. Per paradossale che possa sembrare oggi, essere democratici significava a quel tempo difendere il “diritto” dei proprietari di schiavi e continuare a perpetrare la schiavitù su base razziale. Impedire questo “naturale svolgimento delle cose”, veniva ritenuto, invece, un atteggiamento dittatoriale.

È evidente che il significato della parola “democrazia” subiva l'influenza dei rapporti sociali e politici del tempo, quando la schiavitù nera fruttava enormi profitti all'Occidente bianco. Non sorprende quindi che ancora ai giorni nostri assistiamo quotidianamente ad un uso ideologico e strumentale dei termini. E non sorprende che tra ciò che oggi viene evocato per giustificare il razzismo e la xenofobia dilaganti vi sia anche la parola “cristianesimo”.

Accusare Silvia Romano, come hanno fatto Libero e i suoi epigoni, di avere tradito l'Italia per essersi convertita all'islamismo, significa assumere un atteggiamento doppiamente fondamentalista.

In primo luogo perché si suppone, e forse inconsciamente si desidera, che l'Occidente e l'Italia abbiano una propria religione di Stato, ciò che sarebbe contrario alla laicità, alla tolleranza e alla libertà di culto, su cui invece i nostri sistemi sociali, quantomeno giuridicamente, risultano fondati.

In secondo luogo perché, dopo averla, diciamo, “essenzializzata”, ossia ridotta ad un'essenza fissa e immutabile, si procede ad identificare la nostra identità con la religione cristiana; quando l'identità occidentale e l'identità italiana sono in realtà impregnate, oltre che di cultura cristiana, anche proprio di cultura islamica.

Assistiamo pertanto all'evocazione del cristianesimo non già per promuovere quello che secondo Hegel costituiva la sua più preziosa novità concettuale, ossia il valore dell'individuo nella sua universalità, ma per promuovere, al contrario, il fondamentalismo occidentale e l'islamofobia.

Per fortuna la componente maggioritaria della Chiesa cattolica, quella attualmente più legata alla figura di Papa Bergoglio, non presta il fianco a questi usi ideologici del cristianesimo e proprio in questi giorni degli ottimi editoriali di Marco Tarquinio su Avvenire hanno denunciato lo sciame di pregiudizi (l'intreccio di razzismo e misoginia), che si annida dietro gli attacchi a Silvia Romano.

È anche per questa ragione che il Papa diventa spesso un bersaglio delle destre. Perché cerca di assegnare alla parola “cristianesimo” un significato di fratellanza universale, facendo franare il terreno sotto i piedi a quanti vorrebbero fare ricorso a questo termine per dare man forte ai propri sentimenti di odio etnico, di disprezzo per il nero o per il musulmano. A dispetto di costoro, per il Papa “cristianesimo” non significa “fondamentalismo occidentale”, e neppure “islamofobia”.

Come la disputa sulla regolarizzazione dei lavoratori migranti, così anche questa vicenda di Silvia Romano traccia il solco tra destra e sinistra, tra concezione universale e concezione parziale di uomo. Verranno infatti impiegate tutte le argomentazioni possibili e si farà ricorso ai più fantasiosi giri di parole per delegittimare la sua salvezza, ma dietro ogni discorso si nasconde il vero motivo che lo anima: il disgusto di avere pagato dei soldi per salvare quanto dalla mentalità medievale che ancora serpeggia nelle nostre società viene considerato il male peggiore: una donna, non ricca né vip, e che per di più aiutava persone con la pelle nera.

31/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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