Unione Popolare e le alleanze di classe

Occorre rilanciare con forza il tema dell’alleanza tra le forze politiche che intendono difendere i ceti sociali medio-bassi, senza perdere lo spirito di scissione e la necessaria critica all’opportunismo di sinistra e al riformismo di destra.


Unione Popolare e le alleanze di classe

Il nome scelto, magari non particolarmente felice, di Unione Popolare dovrebbe bastare da solo a impedire ogni deriva settaria e ogni prospettiva minoritaria. Anche il fatto di aver scelto come “capo politico” l’ex magistrato Luigi De Magistris dovrebbe essere una garanzia contro l’estremismo, opportunista, di sinistra e ogni forma di infantilismo. Per non parlare, poi, del colore viola e non rosso che campeggia nel simbolo di questa formazione politica dotata, peraltro, di un programma politico non particolarmente radicale e di certo non improntato principalmente su una visione del mondo leninista, ma nemmeno marxista, marxiana o gramsciana. Da questo punto di vista niente dovrebbe impedire a questa formazione politica di lavorare per costruire un grande polo unitario, il terzo polo, in grado di mettere quantomeno in difficoltà, a partire almeno dalle prossime elezioni regionali del Lazio di febbraio, le due destre, quella liberale facente capo a Pd, Calenda e Renzi, e quella più conservatrice e reazionaria capitanata da Fratelli d’Italia.

Ora, a esclusione degli elettori dei verdi, che non cederanno mai le poltrone garantite da un accordo con il Pd – del resto tale formazione in Italia e, più in generale, a livello internazionale non può e non intende essere considerata una forza di sinistra e, inoltre, fortunatamente nel nostro paese conta poco o nulla – tutti gli altri elettori progressisti non comprenderebbero per quale motivo non accettare la sfida di costruire una grande alleanza tra le forze di sinistra (che potrebbe essere il preludio al movimento costituente di un partito che finalmente rappresenti i subalterni) e il Movimento Cinque Stelle, cioè la principale forza politica che rappresenta i ceti medi e la piccola borghesia non schierata a destra. Tale “naturale” alleanza potrebbe essere davvero a portata di mano nelle prossime elezioni regionali del Lazio, dal momento che il Pd ha di fatto rotto in partenza ogni possibile alleanza con il Movimento Cinque Stelle sposando, ancora una volta, l’alleanza, in funzione di fatto subalterna, con gli ordoliberisti di Calenda e Renzi.

Invece, in Lombardia, la scelta di Calenda e Renzi di una candidata apertamente conservatrice e reazionaria ha reso possibile al Pd l’individuazione del loro unico dirigente presentabile in quella regione, un politico che ha assunto talvolta posizioni persino di sinistra e che potrebbe favorire un’alleanza con il M5S. Anche in questo caso, tuttavia, Unione Popolare dovrebbe portare avanti una campagna politico-elettorale volta a cercare di portare il M5S a rompere con il Pd e ad accettare un’alleanza con la sinistra, sebbene in tale contesto la natura qualunquista, che rivendica il proprio non essere né di destra né di sinistra, del partito guidato da Conte dovrebbe rendere decisamente più probabile l’alleanza con il Partito Democratico e Sinistra Italiana. D’altra parte, Unione Popolare, avendo tentato in ogni modo di spingere Sinistra Italiana e i pentastellati a rompere l’alleanza con la destra liberale “progressista” per allearsi con la sinistra, impedirebbe a Conte di ripetere l’Opa sul popolo della sinistra, portata avanti in occasione delle ultime elezioni nazionali, in cui ha potuto spacciarsi come la soluzione meno peggiore per l’elettore di sinistra che intendeva creare un’alternativa credibile alle due o tre destre liberiste in competizione fra di loro per stabilire chi fosse capace di interpretare nel modo migliore gli interessi della classe dominante grande-borghese.

Nel Lazio ci sarebbe al contrario una possibilità reale, dal momento che la stessa Sinistra Italiana ha di fatto rotto con il Pd e punta a una alleanza con il Movimento Cinque Stelle, mentre una pattuglia di pontieri, da De Pretis a Fassina ai grassiani, ha già organizzato una convention sui programmi proprio con i Cinque Stelle, praticando quel confronto sui programmi a ragione richiesto da Conte e rifiutato dal partito sedicente democratico, per blindare l’alleanza destinata a una certa sconfitta con l’ultraliberista Calenda. A questo punto il Movimento Cinque Stelle difficilmente, una volta trovata un’intesa di massima sui programmi, potrà sottrarsi a questa alleanza, anche perché sino a ora si è alleato con chiunque meno che con la sinistra. A questo punto Unione Popolare dovrebbe necessariamente prendere parte a questo confronto programmatico per creare un’alleanza elettorale in grado di rappresentare gli interessi delle classi medio-basse quantomeno nel Lazio. Anche nel caso non fosse formalmente invitata, Unione Popolare, in quanto aspira a essere la più autorevole rappresentante della sinistra radicale, dovrebbe forzare la possibile conventio ad exclundendum e imporre la propria presenza nel dibattito. Tanto più che la questione oggi dirimente in Italia e ineludibile per ogni autentico progressista dovrebbe essere quella di rendere di nuovo credibile e appetibile agli occhi delle masse popolari le forze della sinistra. Naturalmente, nel caso malaugurato che la sinistra continuasse a presentarsi divisa e su posizioni contrapposte – incomprensibili in questa tragica situazione ai più – non potrà che ridursi ancora una volta a fare mera opera di testimonianza

Certo, si potrebbe obiettare, i Cinque Stelle hanno governato sino a ora con il Pd nella regione Lazio, portando avanti, di fatto, politiche neoliberiste, che hanno prodotto, fra l’altro, la chiusura di molti ospedali. È evidente che la sinistra deve necessariamente rompere con questo tipo di politiche. Discorso analogo si potrebbe fare con Sinistra Italiana che si è continuamente prestata a coprire a sinistra le politiche ordoliberiste del Pd sia a livello nazionale che a livello locale, pur di avere qualche poltrona nelle istituzioni. D’altra parte, ostinarsi a interpretare il ruolo infausto del grillo parlante non può certo risolvere il problema sempre più urgente della scarsa credibilità della sinistra fra i ceti sociali subalterni, una scarsa credibilità che deriva innanzitutto dall’aver dato nei decenni passati manforte ai governi antipopolari del “centrosinistra”. Sino a quando una volta che con Veltroni il sedicente centrosinistra ha rotto unilateralmente l’alleanza, dopo il necessario fallimento della sinistra arcobaleno, quest’ultima si è divisa fra chi ha svolto l’infausto ruolo di foglia di fico, atta a coprire il sempre più evidente spostarsi a destra delle coalizioni guidate dal Pd, e chi ha intrapreso un’altrettanto funesta deriva settaria, che ha portato sempre più a frammentare, rendendola impotente, la sinistra radicale

Peraltro, la politica portata avanti dal Partito Democratico a livello nazionale e ora anche a livello della regione Lazio, cioè rompere la indispensabile alleanza con il M5S per inseguire gli ultraliberisti di Calenda e Renzi, regala, dopo la guida del paese, anche la direzione del Lazio a una destra conservatrice e reazionaria. Senza contare che, in tal modo, la futura “opposizione”, come in parte già sta emergendo in modo sempre più chiaro a livello nazionale, sarà incapace di mettere seriamente in difficoltà da sinistra il governo della destra. 

In questa situazione, se Unione Popolare si ripresentasse da sola, senza aver nemmeno pubblicamente provato a cercare di costruire un’alleanza più ampia, ricostruendo l’indispensabile asse fra lavoratori salariati, ceti medi e piccola borghesia “democratica”, rischia seriamente di non prendere nemmeno quella piccola percentuale di voti residui che ha prodotto il già molto mediocre risultato a livello nazionale. Anche perché diventerà ancora più difficile convincere quella parte residuale del popolo di sinistra, alle elezioni nazionali schifato dall’opportunismo di Sinistra Italiana e dal qualunquismo di Conte, a votare un’altra volta per una forza destinata a non incidere, nel momento in cui, rompendo con il Pd e Calenda, Movimento 5 Stelle e SI sembrano sul punto di costruire un’alleanza alternativa che non potrà che apparire di sinistra, catturando la comprensibile necessità di esprimere un voto utile. Senza contare che il voto locale è meno ideologico del voto nazionale e più legato al voto di scambio. Quindi, non si può non tener conto dell’esigenza per chi vota di poter esprimere un voto utile e in grado di incidere, piuttosto che esprimerne ancora una volta uno di mera testimonianza verso delle forze che rischiano di apparire sempre più fuori dalla realtà. Anche perché questo micidiale mix di pseudoriformismo e settarismo fine a se stesso stanno convincendo sempre più i subalterni della inutilità del recarsi, in tali condizioni, alle urne.

D’altra parte, è evidente che pur mirando a costruire un’alleanza ampia, è altrettanto essenziale che le forze della sinistra radicale possano differenziarsi e sfidare nella lotta per l’egemonia, in primo luogo in relazione a chi rappresenti realmente gli interessi delle classi subalterne, le forze qualunquiste piccolo borghesi e la sinistra revisionista e riformista. La spinta unitaria deve sempre sapersi collegare dialetticamente con lo spirito di scissione. È, dunque, indispensabile che le forze della sinistra radicale e comunista siano in grado di fare il più possibile massa critica, per poter sfidare e provare a vincere nella lotta per l’egemonia – per chi sia meglio in grado di rappresentare gli interessi dei ceti sociali medio-bassi – tanto Sinistra italiana, quanto i Cinque Stelle. Perciò, seguendo l’insegnamento di Lenin, si dovrà cercare l’alleanza con riformisti, opportunisti, revisionisti ecc. solo a patto di mantenere la possibilità di denunciare di fronte alle masse popolari e ai subalterni come tali proposte con i rispettivi dirigenti non potranno che peggiorare ulteriormente le già misere condizioni di vita degli sfruttati.

A tale scopo bisogna sempre portare avanti una battaglia serrata su un doppio fronte; innanzitutto contro il massimalismo, per cui si è a parole rivoluzionari, senza fare nulla in tal senso nella prassi, se non portare avanti pratiche settarie tipiche dell’opportunismo di sinistra. Al contempo bisogna contrastare l’opportunismo di destra, il riformismo che, non credendo più nell’alternativa reale della transizione al socialismo, si illude vanamente di poter rendere accettabile una società imperialista in una crisi strutturale sempre più irreversibile.

Peraltro, se si continua ad allearsi con dirigenti piccolo-borghesi lasciandogli l’egemonia su tutte le questioni identitarie, per imporre soltanto la logica minoritaria di rifiutare a priori l’indispensabile tattica delle alleanze di classe, diviene difficile criticare la posizione altrettanto inefficace degli identitari di sinistra i quali sostengono che, dal momento in cui si resterà comunque ininfluenti, tanto vale farlo mantenendo i propri simboli, la propria bandiera, il proprio nome.

Altra questione di fondo per far sì che Unione Popolare non sia l’ennesima fallimentare lista elettorale arcobaleno è andare nella direzione della costruzione di un movimento costituente di un partito unico che rappresenti le classi subalterne, da troppi anni prive di rappresentanza e che si allei, vincendo l’inevitabile lotta per l’egemonia, con le forze che rappresentano la piccola borghesia e i ceti medi sinceramente democratici. Come la storia non ha fatto che dimostrarci negli ultimi anni, un mero cartello elettorale rischia di non riuscire a raggiungere un risultato nemmeno equivalente alle diverse deboli “forze politiche” che è stato in grado di mettere insieme. Nelle elezioni si misura la capacità dei partiti di conquistarsi credibilità nella propria classe di riferimento e, per la sinistra, la capacità di costruire un blocco sociale alternativo a quello dominante. Tale credibilità e tale blocco sociale alternativo deve essere necessariamente costruito e posto in grado di conquistarsi sul campo la credibilità prima e non in funzione della campagna elettorale. Altrimenti tutte le alchimie elettoralistiche non potranno che dare risultati deludenti, che porteranno un numero sempre maggiore di subalterni a disertare le urne, lasciando così involontariamente spazio alla restaurazione oligarchica.

Da questo punto di vista deve essere necessariamente abbandonata la prospettiva dell’“intergruppi”, in cui si sommano una serie di debolezze e di difetti che hanno reso le forze che lo compongono sempre meno credibili. A tale scopo è essenziale che il processo di costruzione non sia portato avanti continuamente dall’alto e in modo elitario da parte di un personale politico sempre meno in grado di essere reale avanguardia riconosciuta dai ceti subalterni.

10/12/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

L'Autore

Renato Caputo

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: