Film e serie da non perdere del 2021

Terzultima classifica del 2021, con i film e le serie che si sono distinti e che, perciò, non bisogna mancare di vedere.


Film e serie da non perdere del 2021 Credits: https://vdnews.tv/article/one-night-in-miami-racconto-notte-irripetibile-lotta-razzismo

American Son di Kenny Leon, drammatico, Usa 2019, voto: 8; ennesimo bello e importante film di denuncia della spaventosa oppressione degli afroamericani negli Stati Uniti, paese in cui i linciaggi da “libere” iniziative della “società civile” sono divenuti una pratica istituzionalizzata e realizzata – grazie al monopolio della violenza legalizzata – dagli apparati repressivi dello Stato, ossia in primo luogo dalla polizia. Il film indaga in profondità questa spaventosa istituzione statunitense, uno dei paesi più razzisti e dove è più diffuso il fascismo quotidiano a livello internazionale. Nel film emergono anche, in modo significativo, attraverso dei personaggi realistici e tipici le contraddizioni sociali degli Stati Uniti d’America. Peccato che American Son sia troppo teatrale e non si giovi, nel modo migliore e dovuto, dello specifico filmico.

PresaDiretta – Julian Assange: processo al giornalismo, voto: 8; per principio non guardiamo mai la televisione, principale mezzo di distrazione di massa e di indottrinamento dell’ideologia dominante e, di conseguenza, non recensiamo programmi televisivi. L’eccezione che conferma la regola è questa ottima e preziosa puntata del programma Presa diretta in cui si denunciano, oltre al caso Assange, le guerre imperialiste, il servilismo del nostro Stato nei confronti degli Usa, il gravissimo attacco persino ad alcuni capisaldi del liberalismo come la libertà di stampa. Il coraggioso e molto accurato documentario su Assange non rappresenta, però, una reale cesura con l’ideologia dominante. Per sottolineare ciò, a scanso di equivoci, si premette subito che i tragici eventi di cui si tratterà sono avvenuti nel “civilissimo” Regno unito e non, “come ci si potrebbe aspettare, nella dittatura bielorussa”. Ora al di là del fatto che il governo bielorusso è decisamente più legittimato a governare – persino dal punto di vista liberal-democratico – dei governi di tutti i paesi imperialisti, il Regno unito non solo è una delle più aggressive potenze neocolonialiste, ma è la patria, oltre che del liberismo, dello stesso neoliberismo. In tal modo, si finisce per delegittimare da subito l’efficacissima denuncia della puntata, facendo apparire i tragici eventi doviziosamente documentati come l’eccezione che confermerebbe la regola, per cui i paesi imperialisti sarebbero da considerare, paradossalmente, i campioni internazionali della democrazia e dei diritti umani.

The Boys è una serie televisiva statunitense ideata da Eric Kripke per Amazon, basata sull'omonimo fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson. La prima stagione di 8 episodi è andata in onda nel 2019: voto 8-. Al solito l’episodio pilota promette molto bene: sembra finalmente di non assistere più alla ormai un po’ scontata autocritica tutta interna al mondo dei supereroi, ossia una sorta di rivoluzione passiva mediante cui, con alcune concessioni dall’alto, si rilancia tale prodotto fra i più venduti dell’industria culturale. Al contrario, nel primo episodio, vi è una profonda critica di come i supereroi sono gestiti da una multinazionale che mira unicamente a fare profitti. I supereroi partecipano dei profitti della multinazionale e dietro le apparenze di eroi senza macchia e senza paura, ultra moralisti e bigotti religiosi, danno completo sfogo da veri superuomini alla loro lurida volontà di potenza. Anche il Patriota – l’unico che fra i supereroi criminali si sforza di salvaguardare quanto meno le apparenze – si rivela uno spietato assassino.

Resta, però, il dubbio sull’alternativa, in grado di contrastare la multinazionale e i supereroi, dal momento che ricorda, al solito, la sporca dozzina, vale a dire uomini pronti a tutto, capaci delle peggiori nefandezze per far fronte al nuovo impero del male. Si riaffaccia, così, la solita soluzione fascistoide ai mali della società capitalista, per cui l’alternativa alla multinazionale sarebbero collaboratori privati della stessa Cia, talmente scorretti, da dover agire in proprio. Così le sacrosante denunce della corruzione delle multinazionali della lotta al crimine, divengono funzionali a restituire credibilità a una alternativa fascistoide e apertamente brutale. Alle grandi imprese corrotte e attente al politically correct si contrappone il mito della sana piccola impresa che non le manda a dire e non rispetta – spudoratamente – nessuna regola, pur di tenere il passo della concorrenza.

Il secondo episodio, come di consueto, mostra l’altra faccia di queste serie americane, ossia l’essere merci dell’industria culturale, efficaci strumenti di distrazione di massa e di egemonia della classe dominante. Certo la serie rimane una significativa critica dei supereroi-superuomini, della grande multinazionale che li sfrutta per i propri profitti e degli stessi membri del Congresso facilmente ricattabili. Resta, d’altra parte, il pessimo processo di formazione del protagonista che – da essere un subalterno pronto a subire più o meno tutto – per spirito di vendetta personale e volontà di potenza, si trasforma rapidamente in un criminale, pronto a entrare a far parte del famigerato gruppo dei boys.

Nel terzo episodio convince la caratterizzazione estremamente negativa del supereroe più fascistoide, Il Patriota, che svela il vero volto oscuro di Capitan America. Mentre decisamente inquietante è l’involuzione del protagonista bonaccione in un esponente a tutti gli effetti della sporca dozzina. Colpisce inoltre la rappresentazione delle masse prive di coscienza di classe, ridotte a facili pedine d’azione delle operazioni più sporche delle multinazionali, che le egemonizzano. Stupisce, invece, la totale assenza di un qualsiasi personaggio positivo, espediente per normalizzare il fascismo quotidiano.

Nel quarto episodio assistiamo a un altro modello esemplare di mistificazione della realità, da parte di Patriota che – dopo esser intervenuto su direttiva del general manager, per far passare l’inserimento dei supereroi nell’esercito – nasconde il fatto di essere stato la causa efficiente di un disastro aereo, dando a credere che i passeggeri si sarebbero salvati se i supereroi fossero stati liberi di agire all’interno delle forze armate. Emerge anche quanto sia pericoloso quest’ultimo progetto, in quanto darebbe agli Stati Uniti un potenziale micidiale e incontrollabile che potrebbe provocare, per esempio, una strage di cinesi. Resta il problema, non minimamente preso in considerazione, che ad affrontare i supereroi sono un gruppo egualmente disposto a tutto, guidato da un losco individuo soprannominato “il macellaio”, che agiscono sovvenzionati segretamente dalla Cia, per puri motivi di vendetta personale. Dunque i “buoni” sono in realtà – al di là della mistificazione ideologica dell’industria culturale di fatto speculari ai cattivi che combattono. Lasciando lo spettatore dotato anche di un briciolo di autonomia di pensiero nell’impossibile scelta fra peste e colera, dal momento che la possibilità stessa di un’alternativa reale non pare contemplata.

Il quinto episodio segna un netto salto di qualità della serie, soprattutto per la critica davvero radicale ai fondamentalisti religiosi cristiani, base di massa del trumpismo. Vediamo, innanzitutto, la profonda ipocrisia dei vertici che, con la scusa di attività caritatevoli, coprono i traffici più sporchi. Inoltre, pur essendo omosessuali decisamente pervertiti, sostengono che tutti i rapporti non finalizzati alla riproduzione sarebbero peccaminosi. Naturalmente, in tale ambiente ultrareazionario, ha grandissimo successo il più cinico, spietato e fascistoide superuomo-supereroe: Il patriota. Quest’ultimo arriva a non pronunciare il discorso bipartisan della multinazionale da cui dipende, per declamarne un altro decisamente più reazionario che unisce l’aggressività a livello internazionale dell’amministrazione Bush Junior con le posizioni di destra radicale del trumpismo. Mentre si scopre che i supereroi sono in realtà dei super-dopati dalla nascita, vediamo finalmente una maturazione in senso progressista della protagonista femminile, che si congeda dal mondo fondamentalista in cui è cresciuta, comprendendone tutta l’ipocrisia, e lo denuncia pubblicamente. A dimostrazione che anche chi ricopre i ruoli più nefasti all’interno della società imperialista ha ancora una sua libertà che, in alcuni casi, per quanto rari, può essere utilizzata a fin di bene.

Nel sesto episodio riemergono i consueti assurdi paradossi del cinema e forse, più in generale, della cultura, statunitense, ovvero una totale incoscienza di classe che porta a non essere in grado nemmeno di distinguere le forze del progresso da quelle della reazione. Per cui insieme a un’ottima denuncia della società dello spettacolo e di come la grande impresa rafforzi persino le organizzazione terroriste, per assumere il controllo dell’apparato militare, vediamo che chi mira a contrastare tali tendenze coltiva come massima ambizione l’essere internalizzato nella Cia.

Nel settimo episodio la serie comincia a divenire più complessa. Presumibilmente si sarà dimostrato necessario preparare la strada a una nuova stagione. Il cattivo assoluto, il Patriota, non sembra l’autore dello stupro della moglie del “macellaio” e non pare proprio essere il responsabile della sua morte. Indagando, quest’ultimo viene a sapere che la propria cattiveria è legata al modo nazista in cui è stato fatto crescere. Tanto più che il medico che lo ha allevato in laboratorio sembra proprio uno degli scienziati nazisti arruolati dagli Stati Uniti in funzione antisovietica. Peraltro il macellaio, in teoria il capo dei buoni, si comporta in modo irrazionalmente brutale ed emerge anche come la sua fissazione personale contro il Patriota abbia impedito la collaborazione con la Cia. Quest’ultima non vuole eliminare i supereroi, ma semplicemente intende evitare che la multinazionale che li gestisce si inserisca nell’esercito. D’altra parte, avendo la multinazionale creato supereroi anche fra i terroristi, pure i piani della Cia rischiano di sfumare.

La prima stagione si chiude a regola d’arte rimettendo, almeno in parte, in questione i punti fissi e criticabili della prima serie. Innanzitutto viene meno l’opzione di una Cia buona e di una multinazionale cattiva, in quanto sono in realtà essenzialmente due facce della stessa medaglia; vi è fra loro concorrenza, ma sono fratelli nemici, ossia pronti a far blocco contro il comune antagonista: in primo luogo il terrorismo internazionale. Così l’unico punto fermo e indubitabile resta la difesa assolutamente bipartisan della politica di grande potenza statunitense, mentre persino i ruoli del buono e del cattivo si dialettizzano, acquistano sfumature, divengono più complessi. Allo stesso modo viene finalmente colto il lato oscuro della vendetta, che sembrava giustificare tutto.

One Night in Miami di Regina King, drammatico, biografico, Usa 2020, voto: 7,5; gran bel film sulla lotta per l’emancipazione degli afroamericani. Particolarmente di rilievo è la figura di Malcom X finalmente presentato in tutta la sua profonda umanità e non come lo ha costantemente dipinto l’ideologia dominante, ovvero come un violento. Come emerge chiaramente nel film è proprio il leader progressista afroamericano a essere oggetto di violenza, sino all’assassinio, il che non può che legittimare il suo tentativo di proteggere sé e la propria famiglia. Importante anche la sottolineatura dell’importanza degli afroamericani che hanno avuto successo nello sport o nella musica, in quanto si possono fare voce della lotta per l’emancipazione dei loro fratelli. Significativa, inoltre, la denuncia dello spaventoso razzismo imperante nella società statunitense. Il limite principale del film è che rimane un po’ troppo condizionato dall’opera teatrale da cui è tratto.

1938 – Diversi di Giorgio Treves, documentario, Italia 2018, voto: 7,5; documentario molto efficace di denuncia del fascismo, del razzismo e, in particolare, delle leggi razziali. Finalmente è stato realizzato e distribuito un documentario non revisionista e rovescista che denuncia in modo adeguato tutta la barbarie del razzismo fascista. Il documentario ha il merito di far emergere il profondo razzismo di Indro Montanelli e il fatto che le leggi razziali non furono affatto un pegno da pagare per l’alleanza dell’Italia con Hitler. Unici limiti di 1938 - Diversi sono l’insistere sul fatto che l’emancipazione degli ebrei nel 1848 sarebbe stata merito dei Savoia e il goffo tentativo di salvare la chiesa cattolica dalle proprie responsabilità storiche nella persecuzione degli ebrei.

La ragazza di Stillwater di Tom McCarthy, drammatico, Usa 2021, distribuito da Universal Pictures, voto: 7,5; film profondo e intenso che ci presenta dei personaggi tipici statunitensi e francesi a confronto, senza scadere nei soliti luoghi comuni. Significativa la presentazione autocritica dei rappresentanti degli Usa, di cui emergono chiaramente i limiti culturali, l’individualismo esasperato e l’illusione di risolvere questioni complesse con il mero uso della violenza. Significativo anche il percorso di formazione del protagonista che passa dall’ingenua visione del mondo manichea, a comprendere come le questioni sono sempre più complesse e sfaccettate di come appaiono.

SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano, serie televisiva documentaristica realizzata da Netflix, voto: 7,5; il documentario cerca di essere il più possibile equilibrato e dialettico e, cosa ancora più importante, si sforza di inserire la questione di San Patrignano in un quadro generale di più ampio respiro, visto che è sempre il tutto a dare senso alla parte. Emerge così che con la crisi dei movimenti sociali e l’inizio del riflusso spariscono improvvisamente le sgangherate macchine degli hippy che spacciavano marjuana importata dall’Olanda, sostituiti da strani personaggi con l’alfetta e i capelli corti che – con la scusa di offrire l’erba scomparsa dal mercato – cominciano a distribuire gratuitamente l’eroina ai potenziali consumatori. Così l’eroina presto si diffonde, lanciata dall’industria culturale – che esalta i divi del rock che ne fanno uso – e dallo Stato che non fa assolutamente nulla per arrestarne lo spaccio, né si preoccupa di curarne le vittime. Queste ultime finiscono per gravare completamente sulle famiglie e la società che, esasperate, finiscono con l’accettare la loro reclusione gratuita nelle comunità stile San Patrignano. Qui un carismatico pseudo santone sfrutta il lavoro gratuito dei reclusi, criticando aspramente i mezzi di trattamento scientifici messi a disposizione dalle strutture pubbliche, carenti e spesso poco interessate ad assumersi il carico e le responsabilità dei tossicodipendenti.

Sanpa riesce a non essere noioso, cosa decisamente complicata per una serie documentaria. D’altra parte rischia di essere un po’ troppo schiacciato sull’opinione pubblica che tendeva a esaltare il privato che pretende di sostituirsi allo Stato, usando metodi autoritari, paternalisti e pretendendo di porsi al di sopra della legge. In effetti fra gli intervistati abbiamo molti personaggi del clan di Muccioli, sui congiunti o giornalisti apologeti, con la parziale eccezione del cronista dell’“Unità” dell’epoca e del sindaco del Pci del piccolo comune in cui era sorta la comunità. In effetti, spaventa vedere un’opinione pubblica (già negli anni ottanta) anestetizzata da molti dei pregiudizi tipici degli attuali elettori di Trump o Bolsonaro. Allo stesso modo non può non stupire il constatare come, già allora, i grandi mezzi di comunicazione erano schierati, unilateralmente, sulle posizioni della destra populista. Colpisce, inoltre, come un personaggio senza nessuna qualifica professionale e con un passato da truffatore da quattro soldi sia potuto divenire una figura centrale a livello nazionale, a ulteriore dimostrazione di quanto possano essere stati terribili gli anni ottanta. Infine, non può che stupire quanto bisogno di socialità vi sia in una società individualista, egoista e asociale come la liberale, tanto da rilanciare forme decisamente premoderne e reazionarie di comunitarismo.

Fortunatamente, con il terzo episodio, dopo aver descritto l’ascesa di Muccioli fino a divenire l’italiano più stimato dall’opinione pubblica, comincia a poco a poco a emergere il lato oscuro di San Patrignano che – sino a quel momento – poteva intuire solo lo spettatore già provvisto di un giudizio critico autonomo in materia. In altri termini, fino a metà del terzo episodio il documentario ha un andamento piuttosto naturalistico, che non lascia emergere le contraddizioni e che può essere utile solo per chi ha già una salda convinzione critica sull’argomento, mentre per il pubblico medio finisce per riproporre, grosso modo, la visione in fin dei conti apologetica costruita dall’industria dello spettacolo. Significativa la svolta che si produce nella serie, anche perché gli aspetti estremamente negativi del personaggio e del sistema di oppressione che aveva costruito emergono proprio quando l’enorme successo gli dà alla testa e lo porta a comportamenti sempre più deprecabili da superuomo nietzschiano. Veniamo così a sapere che nella comunità vi è un uso sistematico e sproporzionato della violenza, vi è una rigida separazione dei sessi, un sistema di controllo fondato sulla delazione e la sistematica umiliazione di qualsiasi voce critica. Peraltro vi è un sistema di censura e di coercizione spaventoso, coperto dalla società capitalista che vuole rinchiudere in questo vero e proprio campo d’internamento i tossicodipendenti, per non averli più sotto gli occhi. Senza contare che i malcapitati sono sempre più sfruttati, sulla base del principio scritto non a caso sulle porte dei campi di concentramento: il lavoro rende liberi.

Più il documentario va avanti e maggiormente vi è uno sviluppo dialettico, in quanto Muccioli più acquista potere e maggiormente tende a gestire la comunità come un sostanziale campo d’internamento. Così, per quanto fosse popolarissimo, con enormi agganci politici, istituzionali e con la vergognosa copertura massmediatica delle sue malefatte, queste ultime finiscono per superare il limite della decenza, costringendo la magistratura a intervenire. Così, a poco a poco, anche gli ex tossici del “cerchio magico” di Muccioli iniziano a non coprirne più – sistematicamente – le malefatte, iniziano ad apparire i distinguo e, anzi, qualcuno finisce con il rifarsi sul padre padrone per le ingiustizie subite, vuotando il sacco. Al solito gli unici che, nel modo più svergognato continuano a difenderlo a spada tratta, sono quegli imprenditori che da sempre lo hanno sostenuto e un certo numero di fedelissimi “giornalisti”. Mentre finalmente i giovani reclusi sfruttano la prima occasione valida per abbandonare la comunità, invece di ammassarsi ai suoi cancelli con la preghiera di essere accolti. Particolarmente spaventosa è la gestione dell’Aids. Tutti i membri della comunità vengono sottoposti a controlli senza essere avvisati di cosa si trattasse e Muccioli, dopo essersi reso conto che due terzi degli internati nella comunità erano sieropositivi, non solo nasconde l’allarmante dato, ma impiega anni prima di rivelare, nel modo più cinico, la tragica verità ai diretti interessati, senza curarsi di quanto possano aver – in modo del tutto inconsapevole – nel frattempo diffuso il virus. Senza contare che Muccioli sfrutta la sua comunità per testare anche i più ciarlatani esperimenti per guarire i malati di Aids. Resta, infine, particolarmente misterioso come possa essersi diffusa in un modo così ampio l’Aids in una comunità dove era proibito qualsiasi contatto fra i due sessi e si usavano i metodi più coercitivi per impedire ai giovani reclusi di uscire e fare ancora uso di sostanze stupefacenti a rischio. Peraltro si accenna appena a delitti a sfondo sessuale e omosessuale, senza mai affrontare direttamente tale tematica. Infine emerge che proprio Muccioli è stato il principale artefice della legge che criminalizzava chi faceva uso di sostanze stupefacenti – anche leggere come la cannabis – con il risultato di riempire le carceri di tossici, ai quali era offerta l’opportunità di scontare la pena in comunità come quella di San Patrignano. Si trattava di comunità nelle quali, sostanzialmente, tutto era permesso a chi le dirigeva, come in un sistema totalitario in miniatura, in quanto lo stesso Stato si lavava le mani del problema e lo occultava, scaricandone i costi, che naturalmente ricadevano sui reclusi in comunità in cui erano sempre più sfruttati. Nel frattempo i finanziamenti a Muccioli raggiungevano cifre strepitose, che il losco figuro utilizzava per comprare i più cari cavalli o cani d’Europa, naturalmente evadendo le tasse ed esportando all’estero, senza dichiararle, ingenti quantità di denaro.

Nell’ultimo episodio emerge come la gestione di Muccioli era divenuta talmente insopportabile che non solo molti reclusi si convincono a denunciare le sevizie subite, ma diversi esponenti del suo stesso “cerchio magico” lo accusano. Tuttavia, è tale la capacità di mobilitazione popolare del populismo di destra, fomentata dai mezzi dei comunicazione di massa, che alla fine i giudici si vedono costretti a far cadere l’accusa di omicidio e a lasciare in piedi soltanto quella di aver concorso all’occultamento di esso, per cui Muccioli è condannato a una pena detentiva ridotta, che non sconta in carcere, ma agli arresti domiciliari. Stessa sorte tocca al macellaio della squadra punitiva, che sebbene venga riconosciuto colpevole di omicidio ha la possibilità di scontare la pena ai domiciliari. A questo punto la stessa condanna di Muccioli è occultata dai mezzi di comunicazione di massa che insistono, quasi esclusivamente, sull’assoluzione dall’accusa di omicidio. Tanto più che, nel frattempo, con il primo governo Berlusconi Moratti diviene presidente della Rai. In tal modo, senza nemmeno bisogno di pressioni dirette, la maggioranza dei giornalisti si adeguano al nuovo clima, continuando a realizzare servizi tesi all’apologia di San Patrignano. Così, sebbene molto probabilmente, Muccioli si sia ammalato di Aids – anche a causa della sua plausibile omosessualità nascosta – tutto ciò viene completamente occultato, per non infangare una figura divenuta vessillo delle legge e dell’ordine. Muccioli sparisce dalla scena, senza giustificare la sua assenza nemmeno al cerchio magico. Così anche i suoi più stretti collaboratori sono convocati solo dopo la sua morte e si impedisce durante la cerimonia funebre ogni foto o ripresa della salma. Riemergono così i sospetti che ci sia qualche cosa che non torni nel numero enormemente elevato di reclusi nella comunità colpiti dall’Aids, tanto è vero che tale scoperta è stata per anni occultata anche ai più stretti collaboratori. D’altra parte è talmente potente “l’eroe di carta” costruito dall’ideologia dominante che gli stessi autori del documentario sono decisamente portati ad autocensurarsi, tanto che l’impressione che si ha alla fine è che sia stato soltanto appena sollevato il coperchio che cela le nefandezze della comunità, da cui esce un tanfo talmente intollerabile, da spingere a richiuderlo al più presto, piuttosto che scoperchiarlo. D’altra parte i rapporti di forza attuali fra le classi rendono sempre più difficile realizzare documentari di denuncia come questo, in grado di mettere radicalmente in questione l’ideologia dominante e la sua narrazione accomodante della storia.

The 40-Year-Old Version di Radha Blank, commedia, Usa 2020, film multi premiato, miglior regia al Sundance, distribuito da Netflix, voto: 7,5; film inizialmente decisamente criptico per chi non comprende le dinamiche e le problematiche o meglio le tragedie degli afroamericani persino in una città multiculturale e liberal come New York. Poi emerge con chiarezza come siano costretti a svendere la loro professionalità – per avere un minimo di successo – ai bianchi liberal, che ne sfruttano la tragedia per coprire con una foglia di fico la tragica realtà delle condizioni di vita degli afro discendenti persino a New York. Molto significativa la lotta della protagonista per poter offrire una rappresentazione realista delle condizioni di vita degli afro americani newyorkesi, di contro al politically correct che pretenderebbe imporgli l’industria culturale radical-chic.

Madres paralelas di Pedro Almodóvar, drammatico, Spagna 2021, distribuito da Warner Bros Italia, voto: 7,5; uno dei migliori film del grande regista spagnolo, notevole dal punto di vista formale, con un plot melodrammatico in grado di assicurare un significativo godimento estetico e uno sfondo sostanziale sulla lotta per ritrovare e onorare le salme dei rivoluzionari spagnoli trucidati dai fascisti durante la guerra di Spagna. Il limite principale è che i due piani del film – il coinvolgente melodramma e la vicenda storico-politica – sono connessi in modo troppo poco significativo. Tanto che i personaggi restano dei tipi molto astratti di coloro che si battano per salvaguardare la memoria storica, in una lotta che continua ancora ai nostri giorni in Spagna.

La scelta di Anne – L'événement di Audrey Diwan, drammatico, Francia 2021, voto: 7,5; film intenso e decisamente realista di denuncia dell’oppressione della donna in connessione al divieto di aborto, che rischia di condannare la donna alla schiavitù domestica. Finalmente al festival di Venezia viene premiato un film con un contenuto sostanziale dal punto di vista politico e sociale. In particolare emerge il vero e proprio calvario a cui si deve sottoporre la donna nei paesi e nelle epoche storiche in cui l’aborto era ancora clandestino.

Strappare lungo i bordi serie tv di Zerocalcare in sei episodi, distribuita da Netflix, voto: 7,5; Zerocalcare ha l’indubbio merito di far conoscere al grande pubblico un mondo destinato altrimenti a rimanere marginale, come quello dei centri sociali e della sinistra antagonista. Da qui il polverone alzato contro la serie da parte delle classi dominanti che, al solito, temono che in tal modo si possano mettere in discussione i loro sempre più assurdi, irrazionali e ingiusti privilegi. Gli episodi hanno un ottimo ritmo, sono a tratti davvero esilaranti, colgono in modo realistico aspetti della vita apparentemente accidentali, assicurando un non trascurabile godimento estetico allo spettatore. Dall’altra parte non gli lasciano poi così tanto su cui riflettere e questo contribuisce a spiegare il grande e inatteso successo della serie. Certo, evidentemente, per uscire dal ghetto devi scendere a compromessi, ma resta sempre la questione sino a che punto il gioco possa valere la candela. D’altra parte, vi è anche il dato di fatto non trascurabile che i settori della sinistra antagonista che, in qualche modo, Zerocalcare rappresenta appaiono decisamente radicali nelle forme, ma hanno contenuti fondamentalmente riformisti. Si tratta di un’attitudine, peraltro, tipica della sinistra piccolo borghese, perlomeno dai tempi dei mazziniani. Da questo punto di vista, non avendo di per sé poi così tanto di sostanziale da comunicare, i compromessi che ha necessariamente dovuto subire l’autore finiscono con l’apparire, tutto sommato, accettabili.

La serie prosegue oscillando fra il rischio di scadere un po’ nel volgare, nel minimal qualunquismo e l’affrontare, in modo fenomenico, problemi e drammi sociali reali e sostanziali come quello del precariato. Ma anche in questo ultimo caso senza una prospettiva, nemmeno utopistica, di superamento dialettico, se non la miserrima angusta ambizione del piccolo borghese.

Il penultimo episodio tende a svanire come un intermezzo comico, come un divertissement, prima della grande tragedia finale. Con quest’ultima la serie raggiunge il suo apice e sfiora la grande tragedia contemporanea della precarietà. Problematica sociale che resta, in definitiva, lo sfondo tragico dell’intera serie, che affronta la questione fino al gran finale nei toni di una commedia che riesce a essere nello stesso tempo sofisticata e vernacolare.

Crip Camp - Disabilità rivoluzionarie di Nicole Newnham e Jim LeBrecht, documentario, Usa 2020, voto: 7+; bel documentario che dimostra come una lotta per l’emancipazione di una parte particolarmente discriminata della società abbia ottenuto degli eccezionali successi sviluppandosi all’interno di un movimento generale di rovesciamento dell’ordine costituito definito, un po’ impropriamente, movimento del sessantotto. Anche questa decisiva lotta per l’emancipazione, della più grande minoranza discriminata degli Stati Uniti, è stata una grande lotta per il riconoscimento dell’eguaglianza e della compiuta umanità dei diversamente abili. Una lotta per l’emancipazione che nasce attraverso un rivoluzionario campo estivo per diversamente abili organizzato da sessantottini, in cui si forma il nucleo che darà vita al grande movimento per l’emancipazione dei diversamente abili. Un movimento che ha avuto, nei suoi momenti di lotta più significativi, il pieno sostegno degli altri movimenti, a partire da quello rivoluzionario delle Pantere nere, capaci di riconoscersi in pieno con chiunque si batta per l’emancipazione del genere umano. Naturalmente le conquiste del movimento hanno dovuto resistere e poi contrattaccare dinanzi all’insorgere delle forze della demancipazione neoliberista, giunte al potere con Ronald Reagan.

Notizie dal mondo di Paul Greengrass, drammatico, Usa 2020, voto: 7+; ritorna il western di sinistra, che rivista in senso progressista il topos tradizionale reazionario. Vi è una ripresa della classica vicenda già narrata da John Ford in Sentieri selvaggi e negli anni settanta in Soldato blue, di una bambina rapita e allevata dai nativi. Ritorna la tematica del difficile confronto con l’altro. Il film ha anche un significativo sfondo storico, si svolge dopo la guerra di secessione e sostanzialmente si rovescia anche il classico topos del glorioso combattente confederale. Nel film si denuncia giustamente la guerra, l’occupazione dei nordisti, ma al contempo il profondo razzismo di molti abitanti del sud. Significativi anche gli accenni al genocidio dei nativi. I principali limiti di Notizie dal mondo sono che non si va fino in fondo nel denunciare i motivi della secessione della Confederazione, né si mostra come la violenza dei nativi fosse una violenza seconda, ovvero una forma di resistenza al genocidio che stavano subendo. Prevale l’ideologia contemporanea dell’apologia delle vittime, per cui la guerra è cattiva, ma si finisce così per mettere sullo stesso piano – in quanto entrambi violenti verso i civili – gli autori del genocidio e chi ha tentato vanamente di resistervi, chi si è battuto per l’emancipazione degli schiavi e chi ha combattuto per impedirla.

The morning show è una serie televisiva statunitense, di dieci episodi, prodotta per il servizio streaming Apple TV+ e distribuita dal novembre 2019, voto: 7+; come di consueto la serie parte in quinta con l’episodio pilota ponendo al centro, in modo realistico, il mondo dei mezzi di comunicazione intrecciando inoltre altre tematiche sostanziali come la violenza sessuale sulle donne e, molto più marginalmente, la discriminazione degli afroamericani. Se la serie, come avviene spesso, è molto realistica nell’inquadrare i tipi psicologici che occupano luoghi di potere – nel caso specifico i grandi mezzi di evasione di massa – è molto più carente e reticente nell’offrire uno sguardo e a una rappresentazione realistica di come i mass-media stravolgono la realtà e istupidiscono i subalterni.

Il secondo e, soprattutto, il terzo episodio rappresentano una decisa caduta di stile. Le questioni sostanziali restano molto sullo sfondo, mentre tende sempre più a prevalere il confronto scontro fra le due protagoniste, per realizzare il quale la serie perde in interesse, in realismo e, persino, in verosimiglianza.

Il quarto episodio rilancia la serie in quanto – per una sequenza di casi fortuiti – una giornalista senza peli sulla lingua, interessata a conoscere la realtà, a dire la verità e a poter dire la propria finisce per presentare lo spettacolo televisivo più visto la mattina. Questo modo di vedere il mondo apparentemente normale, tanto che la giornalista rifiuta qualsiasi etichetta politica, ha una forza dirompente e rivoluzionaria in uno show televisivo di grande successo, dove ciò che conta sono gli introiti pubblicitari, per cui si ritiene che per mantenere il proprio grande pubblico bisogna imbonirselo anestetizzandolo e per mantenere i propri inserzionisti non bisogna neanche accennare a nulla che metta in discussione il senso comune e l’ideologia dominante. Così, pur non essendo in grado di mettere in discussione l’ideologia dominante, la coraggiosa giornalista fa emergere tutta l’ipocrisia del perbenismo puritano che, per esempio, nonostante il movimento me too, aveva fatto sì che nel canale televisivo non fosse mal visto il potente conduttore predatore sessuale ma, piuttosto, le sue inermi vittime.

Il quinto episodio si attesta su un buon livello, ma senza acuti. La questione presumibilmente più significativa è la riflessione critica sul fenomeno del mee too di cui si analizzano in maniera abbastanza dialettica la grande importanza che ha avuto per l’emancipazione della donna, ma anche i rischi di una sua – sempre possibile – strumentalizzazione.

Il sesto episodio sottolinea ancora una volta l’eroismo, anche dal punto di vista umano, di chi – in una società che è, dal punto di vista razionale, un mondo rovesciato – si limita a fare coscienziosamente il proprio mestiere. Cosa che in un ambiente tanto corrotto richiede un alto tasso di eroismo e incoscienza. D’altra parte il mondo dei grandi mezzi di distrazione di massa è così corrotto, da strumentalizzare ai propri sporchi fini anche le poche azioni svolte in conformità al proprio ruolo e, generalmente, radicalmente criticate in quanto non conformi alla funzione anestetizzante che si vuole dare ai mass media.

Il settimo episodio porta all’apoteosi il livello di corruzione e la spietatezza della società civile dove impera l’homo homini lupus. A questo punto la serie si presenta come una ripresa e una versione contemporanea de Le relazioni pericolose. Ancora una volta gli autori statunitensi sono dei veri maestri nello smascherare tutta l’ipocrisia della loro società puritana, ma, dall’altra parte, non essendoci come di consueto una prospettiva, un solo personaggio alternativo, l’impressione è che lo spietato realismo sia funzionale ad affermare il classico acronimo TINA, ossia il mantra neoliberista per cui non ci sarebbero alternative; per cui questa sarebbe – necessariamente – la natura umana, troppo umana per cui si finisce con il naturalizzare (sulle orme di Spencer e Nietzsche) il darwinismo sociale.

L’ottavo episodio è interessante, perché indaga la così detta seconda generazione degli inquisiti sull’onda del me too, non più accusati di stupro, ma di molestie sessuali. In particolare si vede come un brillante uomo di potere si porti a letto le donne del suo entourage e quando una di loro prova a lamentarsi con il proprietario dell’azienda, viene promossa per chiudere lì il caso. L’approfondimento è senza dubbio utile e interessante non solo per il seguito della serie, ma per l’importanza della questione in sé. D’altra parte, dedicare un intero episodio a questo lungo e prevedibile flash back rischia di apparire un voler diluire il brodo per farlo durare di più, scelta non proprio convincente.

Con gli ultimi due episodi – dopo aver portato fino alle estreme conseguenze la terribile conflittualità individualista vigente nella società capitalista, dove domina incontrastato il principio mors tua vita mea – si arriva, infine, a una catarsi. La questione del me too e della libertà di informazione, al centro della serie, trovano un’adeguata conclusione, con l’attacco portato ai vertici della grande azienda. Il che dimostra che anche in una situazione molto difficile i dipendenti possono ribellarsi agli ordini del padronato e denunciarne le attitudini sostanzialmente criminali. Peccato che, al solito, la possibile prospettiva resta opera dell’azione di individui e le masse popolari, le solo che possono garantire cambiamenti strutturali, restano sostanzialmente passive.

Effetto notte di François Truffaut, commedia, Francia 1973, distribuito da Cineteca di Bologna dal 25 ottobre 2021, miglior film straniero agli Oscar 1974 e diversi altri premi, voto 7+. Film certamente godibile dal punto di vista estetico, ben realizzato e indubbiamente gradevole. Effetto notte mostra, in modo essenzialmente naturalistico, come viene realizzato un film. Al di là del regista gli altri lavoratori non sono presi molto sul serio, a cominciare dagli attori che appaiono capricciosi, egocentrici e inaffidabili. Truffaut non riesce ad andare al di là delle sue problematiche soggettive, non sembra in grado di porsi seriamente dal punto di vista degli altri. Il regista, inoltre, si disinteressa continuamente delle problematiche storiche, politiche e sociali e, di conseguenza, il film non lascia sufficientemente da riflettere allo spettatore.

Crudelia di Craig Gillespi, commedia, distribuito da Walt Disney, Usa 2021, voto: 7+; film ber rifinito e certamente godibile, rivisita la storia della famosa Carica dei 101, da un punto di vista spiazzante, ovverosia dal punto di vista del personaggio che nel celebre cartone animato incarna il male radicale. Crudelia rovescia, in tal modo, il significato di un classico prodotto dell’industria dello spettacolo mostrandolo da un punto di vista straniante, nella prospettiva del negativo. Nella contrapposizione e nel rovesciamento dei contrari si presenta anche un significativo squarcio di lotta di classe, anche se essenzialmente incentrata su due grandi antagonisti. Notevole è, in ultimo, anche la colonna sonora del film.

25/02/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://vdnews.tv/article/one-night-in-miami-racconto-notte-irripetibile-lotta-razzismo

Condividi

L'Autore

Renato Caputo

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: