Totalitarismo e neoliberismo (videolezione)

Proseguiamo con la pubblicazione delle videolezioni del corso La distruzione della ragione: per la critica delle ideologie filosofiche moderne e contemporanee conservatrici e reazionarie tenuto dal prof. Renato Caputo per l’Università popolare A. Gramsci.


Segue da: Il secondo Heidegger (videolezione) uscito sullo scorso numero de “La Città Futura”.

Inoltre la crisi, restringendo i margini politici, costringe la classe dominante a un governo sempre più apertamente dittatoriale e totalitario, generalmente sul modello del cesarismo, poi bonapartismo regressivo. In tale fase anche l’ideologia e di conseguenza la visione politica e filosofica borghese dominante tende a divenire totalitaria.

Tale tendenza, che subisce una decisa battuta d’arresto dopo la sconfitta, a opera in primo luogo dei comunisti, della reazione nazi-fascista, intenzionata a rilanciare su scale internazionale un regime sostanzialmente schiavistico, la reazione borghese contro la diffusione a livello internazionale dell’ideologia proletaria si riorganizza ben presto in funzione della guerra fredda. I principali intellettuali borghesi al servizio della classe dominante, di cui si sentono o aspirano a fare parte, come Popper, Von Hayek e Hannah Arendt partono al contrattacco tendendo a identificare nella pseudocategoria di totalitarismo il nazismo e il comunismo, aprendo così la strada al revisionismo storico che tende a giustificare il primo come reazione necessaria all’aggressività del secondo. In tal modo, queste tendenze anti-emancipatorie mirano a far sì che la democrazia – quale visione del mondo della piccola-borghesia, che aveva accettato di fare fronte comune con il proletariato dinanzi all’aperta reazione nazi-fascista – divenisse una componente subordinata del blocco sociale dominante egemonizzato dal liberalismo. Così, se per un certo tempo la forza e l’avanzamento delle forze progressiste e rivoluzionarie – anche per il grande movimento antimperialista guidato dai paesi socialisti e paesi ex-coloniali – aveva fatto sì che il socialismo riuscisse a egemonizzare la democrazia e, quest’ultima, in quanto socialdemocrazia a influenzare il liberalismo fino a mutarlo nella liberaldemocrazia, con la sostanziale conclusione di questo grande movimento di emancipazione nel corso degli anni settanta, sono le forze che si battono per la dis-emancipazione del genere umano a riprendere progressivamente l’egemonia sulla società civile.

In tal modo le forze democratiche riprendono l’egemonia sulle forze socialiste e la maggioranza dei partiti comunisti tendono a divenire socialdemocrazie. Queste ultime, a loro volta, sono sempre più egemonizzate dal pensiero liberale, tanto che finiscono spesso per fare il lavoro sporco per quest’ultimo, garantendogli con politiche neo-corporative la pace sociale. Infine, lo stesso liberalismo tende sempre di più a tornare, con il neoliberismo, alle origini rompendo ogni precedente compromesso prima con la socialdemocrazia e, poi con la stessa democrazia. Infine, negli anni più recenti, sempre più spesso le forze liberali subiscono l’egemonia delle forze reazionarie, che si sono nel frattempo riorganizzate anche dal punto di vista ideologico.

In tal modo, riconquistando crescenti spazi all’interno dell’ideologia dominante, le concezioni reazionarie tendono a divenire egemoni fra quelli intellettuali e, di conseguenza, fra quelle forze politiche e sociali nei confronti delle quali il marxismo ha progressivamente perso la sua capacità di egemonia. Così, negli ultimi decenni, sempre più intellettuali di “sinistra” hanno abbandonato il marxismo e si sono progressivamente avvicinati agli intellettuali reazionari di maggior spessore. In tal modo, la visione del mondo del nemico di classe ha finito a poco a poco per conquistarsi spazi crescenti di egemonia nello stesso “popolo di sinistra”. Per questo ci pare decisivo ripartire facendo piazza pulita nel nostro stesso campo delle ideologie reazionarie che vi si sono infiltrate. Da questo punto di vista ci gioveremo del grande lavoro svolto in questo senso da Domenico Losurdo, a cui il nostro corso non a caso è dedicato.

Per leggere l’intera presentazione del corso: vai al link: La distruzione della ragione.

Le origini del totalitarismo

L’opera di Arendt Le origini del totalitarismo si propone di analizzare le cause e il funzionamento dei regimi totalitari. Si tratta di un testo importante dal punto di vista storico-politico perché analizza la storia europea dalla fine dell’ottocento fino alla seconda guerra mondiale e dal punto di vista filosofico-politico perché elabora il concetto di totalitarismo, anche se lo fa essenzialmente in riferimento al nazismo e allo stalinismo, mentre il fascismo non è preso in considerazione.

Il totalitarismo come ideologia di Stato

Apparse in piena guerra fredda, tali tesi trovano il favore del dipartimento di Stato americano e sono in seguito rielaborate da un importante esponente di tale dipartimento: Brzezinski, sino a divenire l’ideologia dominante nel campo occidentale nella guerra fredda e nella sua attuale appendice. In effetti in questa strumentalizzazione in chiave politica del concetto di totalitarismo, il colonialismo, l’imperialismo e spesso persino i fascismi scompaiono, per concentrarsi sull’identificazione nel totalitarismo di nazismo e non solo stalinismo, ma comunismo tout court

Arendt prende le distanze dall’uso ideologico del totalitarismo

Occorre dire che, per quanto liberale e certamente anticomunista, la Arendt non ha mai approvato tali semplificazioni, a suo avviso, infatti, l’incubatrice del nazismo andava ricercata nell’imperialismo e nel razzismo delle conquiste coloniali. Del resto gli stessi campi di concentramento apparvero per la prima volta nella guerra anglo-boera all’inizio del secolo in Sudafrica, in India e per quanto riguarda l’Italia in seguito all’occupazione della Libia, ovvero in tutti e tre i casi in epoca liberale. Dunque, al contrario delle successive semplificazioni ideologiche, Arendt ha delineato lo sviluppo del totalitarismo dal colonialismo, all’imperialismo, ai fascismi, fino al nazismo e allo stalinismo, che ha distinto dal comunismo, anche sovietico, in riferimento per esempio alla destalinizzazione di Kruscev.

Analogie fra nazismo e stalinismo secondo la Arendt

Considerato l’enorme successo che la teoria del totalitarismo, nella sua versione ideologica, ha avuto nel mondo occidentale, conviene analizzarla nello specifico. L’identificazione fra nazismo e stalinismo, già tracciata dalla Arendt, si fonda essenzialmente su tre elementi: 1) si tratta di regimi che tendono al dominio totale sulle persone e al dominio globale a livello planetario; 2) detti regimi esercitano il proprio dominio mediante l’ideologia e il terrore (che colpisce gli oppositori, ma anche gli innocenti); 3) si tratta di regimi a partito unico (Arendt non cita il potere personale assoluto del capo).

Le cause del totalitarismo

Il male radicale che si realizza nell’universo concentrazionario si fonderebbe secondo Arendt sul motto “tutto è possibile” ponendosi al di là della misura umana e, dunque, di ogni criterio o giudizio morale. Qui riecheggiano le tradizionali critiche liberali all’astrattezza della rivoluzione che rompe con la tradizione. Inoltre definire il totalitarismo o anche il nazismo male radicale, assoluto, mistero, follia ecc. significa in qualche modo rinunciare a una comprensione razionale delle cause che lo hanno prodotto. A parere di Arendt, i regimi totalitari sono una conseguenza tragica della società di massa, dove gli uomini sono resi atomi, sradicati da qualsiasi relazione interumana e privati dello stesso spazio pubblico in cui hanno senso l’azione e il discorso, e dell’imperialismo con tutto il suo tragico corredo di antisemitismo e razzismo (in realtà questo vale per il nazismo, non per lo stalinismo).

Il funzionamento dei regimi totalitari

I regimi totalitari si basano su un perverso intreccio di ideologia (razzista il nazismo, classista lo stalinismo) e terrore verso gli oppositori esercitato attraverso la polizia segreta, i campi di concentramento e la dittatura del partito unico controllato dal capo supremo, questi modelli tendono alla distruzione della vita politica democratica e della vita privata). 

I limiti del concetto di totalitarismo

Per quanto suggestive alcune analogie evidenziate dalla Arendt tra nazismo e stalinismo, nella sua opera fornisce una documentazione ricca sulla Germania nazista, ma scarna sull’Urss staliniana. L’archetipo del concetto di totalitarismo è, in effetti, la Germania hitleriana cui Arendt tenta di assimilare l’Urss. In tal modo le tesi della Arendt corrono il rischio di perder di vista le specificità dei fenomeni storici analizzati e anche di relativizzare le pesantissime responsabilità storiche del nazismo. Favorendo il rovescismo storico di un Nolte che, sulla scia del suo maestro Schmidt, ha fatto del totalitarismo comunista il responsabile del sorgere del totalitarismo nazista, in quanto reazione fisiologica alle barbarie del primo.

Differenze fra il nazismo e lo stalinismo

Per esempio il dominio globale è proprio della Germania mentre l’Urss sotto Stalin è costantemente aggredita e minacciata. Anche dal punto di vista ideologico siamo molto distanti, anzi agli antipodi. L’ideologia nazista è reazionaria e tradizionalista, quella dell’Urss è rivoluzionaria ed erede dell’illuminismo e della rivoluzione francese. Irrazionalista, razzista e antisemita il nazismo, razionalista, egualitario e internazionalista lo stalinismo e il comunismo. Antidemocratico il primo, assertore di una democrazia reale, di contro alla formale borghese il secondo.

15/01/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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