Il centenario dell’internazionale comunista

La travolgente crisi che ha attanagliato il movimento comunista richiede una conoscenza scientifica e critica di questa storia, al fine di ricomporre la classe antagonista al capitale e diventare partito.


Il centenario dell’internazionale comunista

Nel mese di marzo di quest'anno (2019), ha avuto luogo il centenario della fondazione dell'Internazionale comunista, conosciuta anche come la Terza Internazionale. Questa fu fondata dopo il crollo della Seconda Internazionale o Internazionale Socialista nell'agosto del 1914, quando la maggior parte dei partiti collegati a questa organizzazione decisero di sostenere la politica bellica dei loro governi, evidenziando una capitolazione politica ideologica fronte al nazionalismo borghese.

Dall'inizio del 1915, Lenin difese la necessità della fondazione di una nuova organizzazione internazionale che affrontasse la politica della guerra imperialista con la proposta della rivoluzione socialista internazionale, vessillo lasciato cadere dall'Internazionale socialista. Fu solo nel 1919, tuttavia, che Lenin ottenne abbastanza sostegno politico per questo obiettivo. In effetti, la vittoria dei bolscevichi in Russia e la diffusione della situazione rivoluzionaria in altri paesi europei (e persino nelle colonie) fu un fattore decisivo per il successo dell'iniziativa, anche se i partiti fondatori provenivano tutti da paesi emersi dalla disintegrazione dell’Impero russo e dall'Europa centro-orientale.

Al momento della sua fondazione si può dire che la rivoluzione socialista internazionale era al suo apice, con il potere dei consigli operai al potere in Russia e Ungheria, e con una continua effervescenza in Germania e in Italia. Quando le forze reazionarie russe, insieme alle truppe imperialiste alleate, erano già in ritirata, nel luglio del 1920, si tenne il II congresso dell'Internazionale Comunista (IC). Questo congresso definì le questioni organizzative dell'Internazionale che sarebbero dovute essere assunte anche da ciascun partito aderente, ma inoltre è servito come un forte stimolo per la fondazione di partiti comunisti in varie parti del mondo.

La sconfitta della rivoluzione socialista internazionale può essere identificata già nel marzo 1921. L'economia politica impiantata nella Russia sovietica isolata internazionalmente - che divenne nota come NEP - mirava a iniziare la transizione socialista da un livello molto basso di sviluppo delle forze produttive, che esigeva una solida alleanza con i contadini e quindi una forma particolare di capitalismo monopolistico di Stato. Il complemento corrispondente di questa politica era la formula del fronte unico, che significava la lotta per l'unità della classe operaia, divisa per la guerra, per la rivoluzione e per la fondazione dell'IC, e l'unità della classe operaia con i contadini.

La formula politica del fronte unico era sempre in discussione sul suo significato, se avrebbe dovuto includere o meno le direzioni dei partiti riformisti oppure unicamente le loro basi. Era evidente come le particolarità nazionali riguardassero la comprensione da parte dei comunisti di questo problema e facevano emergere le differenze. Le diverse letture del fronte unico prevalsero in momenti diversi fino alla metà del 1929, quando il gruppo formato attorno a Stalin nell'Unione Sovietica assunse la direzione dello Stato e anche dell'Internazionale comunista.

Da allora, ci fu un grande cambiamento politico sia nell'Unione Sovietica che nell'IC. La lettura del gruppo di Stalin fu che la lotta di classe stesse aggravandosi sia nell'Unione Sovietica che nei principali paesi imperialisti. Sebbene ciò non fosse falso, la realtà era che la correlazione delle forze era molto sfavorevole al movimento operaio rivoluzionario. Nell'Unione Sovietica, la politica di industrializzazione accelerata e collettivizzazione della terra creò gravi sconvolgimenti economici e sociali che furono decisivi per il futuro della transizione socialista. Nei paesi imperialisti, sebbene l'espressione “fronte unico” non sia stata abbandonata, fu data maggiore importanza alla politica chiamata “classe contro classe”, cioè di confronto aperto contro la borghesia. Poiché fu chiaro che la socialdemocrazia ostacolava la pratica di questo orientamento politico, questi partiti erano visti come il nemico principale in quella fase della lotta.

La gravissima crisi capitalista del 1929-1933 non contribuì ad organizzare o aumentare la consapevolezza della classe operaia per la lotta ma avvenne esattamente il contrario. Il risultato fu piuttosto il rafforzamento ovunque di movimenti simili al fascismo, che culminò nella creazione del regime nazista in Germania. Questo periodo mostra una serie di sconfitte per l'IC, e in paesi decisivi come erano la Germania e la Cina.

La resistenza antifascista cominciò a prendere forma all'inizio del 1934, in Austria e in Francia, luoghi in cui l'ascesa al potere di Hitler era sentita con forza. Il fronte unico della classe lavoratrice si configurò quasi spontaneamente ed esercitò una pressione inevitabile sui leader sindacali e di partito per arrivare a un accordo di azione congiunta contro la minaccia fascista. La mobilitazione degli intellettuali crebbe molto e contribuì anche alla convergenza degli antifascisti.

L'IC e i partiti che la componevano furono quindi sollecitati a cambiare linea politica, ma le difficoltà non erano di scarsa importanza. Sarebbe stato necessario che l'Unione Sovietica frenasse la politica attuata dal 1929, senza che il gruppo guidato da Stalin fosse però minacciato dall'opposizione. I partiti comunisti, d'altro canto, avrebbero dovuto superare la difficoltà di un nuovo riavvicinamento con i socialdemocratici, le cui relazioni si trovavano avvelenate da molti anni di conflitto.

La convergenza è avvenuta per uno spostamento a sinistra di alcuni partiti riformisti e dell’IC, Togliatti e Dimitrov riuscirono a svolgere un ruolo molto importante seguendo la direzione proposta da Thorez, del PCF. L'offensiva fascista e reazionaria costrinse comunisti e socialdemocratici a riunirsi attraverso accordi di azione comune. Sempre in Francia, l'accordo non solo si approfondì ma includeva la piccola borghesia democratica rappresentata dal partito radicale, in modo tale da dar vita al fronte popolare, che era un'estensione del fronte unico degli anni ‘20.

La politica del fronte popolare fu approvata solo nel luglio 1935, quando finalmente si tenne il VII congresso dell'IC. Il Fronte popolare in Francia arrivò al governo con il sostegno esterno dei comunisti e la partecipazione di socialisti e radicali. Anche in Spagna il Fronte popolare vinse le elezioni, ma la reazione cattolica e fascista scatenò la guerra civile. Alla fine dei conti la politica del fronte popolare fu sconfitta e dovette subire un variazione nel 1937: il fronte popolare divenne un fronte nazionale.

Con l'annessione dell'Austria alla Germania e l'attacco giapponese alla Cina, nel 1937 ci si rese conto che era in gioco la questione della sopravvivenza delle nazioni, dei piccoli popoli (come li chiamava Lenin). La questione centrale divenne quindi la sopravvivenza degli Stati nazionali, l'indipendenza degli Stati. Così, l'alleanza si estese alla borghesia allorché si impegnasse nella difesa nazionale. La politica del fronte nazionale fu applicata dai comunisti fino al 1947, quando l'IC ormai non esisteva più.

Se per il periodo 1929-1933 la valutazione storica della politica dell'IC è quasi di consenso negativo, la politica del fronte popolare alimenta fino ad oggi una grande polemica. Molti interpretano che la politica del fronte popolare fosse già inizialmente una proposta di alleanza con la borghesia. Questo è vero solo per i paesi sotto il dominio imperialista in cui la borghesia avrebbe potuto collocarsi con i lavoratori e parte della piccola borghesia nella lotta per l'indipendenza nazionale. Inoltre era una politica difensiva, di resistenza al fascismo internazionale.

In questa situazione una democrazia borghese era migliore, senza dubbio, di una dittatura fascista, sebbene entrambe le forme politiche esprimessero il dominio del capitale e della borghesia. Giusto o sbagliato, sia in Francia che in Spagna, i comunisti divennero difensori della democrazia borghese, ma questo non significa esattamente un'alleanza con la borghesia, ma la comprensione che la democrazia è il campo più propizio per il proletariato per condurre la lotta di classe.

Questo periodo offriva la possibilità di nuove formulazioni teoriche (oltre che polemiche) come la democrazia progressiva (Togliatti), la democrazia popolare (Dimitrov, Lukacs), la nuova democrazia (Mao). Ciò che i critici non riescono a vedere è che queste categorie si riferiscono a una fase di disputa per l'egemonia ed ad una fase iniziale della transizione socialista, qualcosa di analogo al periodo NEP in Unione Sovietica.

La politica del fronte nazionale in vigore dal 1937 coincide di fatto con la disintegrazione dell'IC, che fu formalmente sciolta nel maggio 1943, nel quadro dell'accordo tra Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia nella lotta contro le forze del fascismo.

Anche con l'IC dissolta, il movimento comunista ha continuato a esistere con forza in varie parti del mondo, con divisioni importanti, ma ottenendo fondamentali vittorie in difesa della classe operaia e dei popoli dominati dall'imperialismo. La travolgente crisi che ha attanagliato il movimento comunista dalla fine degli anni '80 richiede una conoscenza scientifica e critica di questa storia, al fine di ricomporre la classe antagonista al capitale in modo da diventare partito.

Versione in portoghese disponibile a questo link

Traduzione in italiano di Francesco Paolo Caputo

07/07/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Marcos Del Roio

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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