Lenin contro l’economicismo

Proseguendo la nostra analisi attraverso Lenin delle diverse tendenze che i comunisti rivoluzionari debbono contrastare per ottenere l’egemonia sul blocco sociale antagonista


Lenin contro l’economicismo Credits: https://www.lacittafutura.it/unigramsci/lenin-2

Segue da Lenin critico dell'avventurismo

2) L’economicismo

L’attuale predominio ideologico della concertazione nei sindacati, ovvero la loro strategia neocorporativa, favorisce il risorgere dell’economicismo. In assenza di significativi scioperi di massa, per il timore di mettere in difficoltà il “governo amico” o la concessione di una nuova sedicente concertazione, la lotta di classe è condotta unilateralmente dal padronato. L’auspicabile ripresa degli scioperi ridesterebbe l’antagonismo economico fra sfruttati e sfruttatori, ma sarebbe agli occhi di Lenin insufficiente alla presa di coscienza della contrapposizione fra gli interessi del proletariato e l’intero “ordinamento politico e sociale contemporaneo” [1].

Per superare i pregiudizi corporativi dei lavoratori e dare unità alle loro lotte sporadiche unificando il fronte dei salariati è indispensabile un Partito “in grado di raggruppare, di educare, di organizzare l’avanguardia del proletariato e di tutte le masse lavoratrici” [2], dando alla lotta economica una sbocco politico. Perciò di contro all’economicismo e al tradeunionismo dei riformisti e oggi anche di diversi opportunisti di sinistra, Lenin rivendica che nel programma del partito, che allora si chiamava Partito socialdemocratico degli operai russi, non vi debbono essere solo rivendicazioni rivolte agli operai, ma anche rivendicazioni democratiche rivolte a tutto il popolo, dal momento che in Russia vi era ancora l’autocrazia zarista da abbattere.

A questo proposito, osserva Lenin: “solo gli ‘economisti’ di triste memoria potevano credere che le ‘parole d’ordine di un partito operaio’ vengono formulate esclusivamente per gli operai. No, queste parole d’ordine riguardano tutta la popolazione lavoratrice, tutto il popolo. Con la parte democratica del nostro programma (…) ci rivolgiamo specificamente a tutto il popolo e quindi, in questa parte, parliamo del popolo” [3]. Anzi, di contro agli economicisti e tradeunionisti Lenin sottolinea come le rivendicazioni di ordine sindacale non possono essere considerate prioritarie, in quanto solo una soluzione sul piano più elevato della politica, che concerne quindi la questione, aborrita dai riformisti, della conquista del potere, può consentirne una reale e duratura soluzione. Quindi, esattamente al contrario delle posizioni economiciste, Lenin ritiene che le rivendicazione tradeunioniste possano essere sollevate non tanto in quanto tali, ma piuttosto come mezzo per sollevare temi di carattere politico. Così, asserisce Lenin: “è assurdo rivendicare dalla monarchia zarista la ‘libertà sindacale’ senza spiegare alle masse l’inconciliabilità di tale libertà con lo zarismo e la necessità della repubblica per una tale libertà. La presentazione alla Duma dei progetti di legge sulla libertà sindacale, le interpellanze e i discorsi su simili temi, a noi socialdemocratici devono appunto servire come pretesto e materiale per l’agitazione in favore della repubblica. (..) Esaltare, in contrapposizione alla repubblica, la parola d’ordine della ‘libertà sindacale’ è una frase da intellettuale opportunista, staccato dalle masse” [4].

Perciò Lenin non si stanca di rivendicare, anche dopo la conquista del potere, il primato della politica dinanzi alle rivendicazioni di tipo economico o tradeunionista. In effetti, fa notare Lenin, la politica non è altro che “l’espressione concentrata dell’economia”, perciò ritiene assurde le critiche che gli rimproveravano la sua “impostazione ‘politica’, rimprovero assolutamente privo di senso e inammissibile in bocca a un marxista. La politica non può non avere il primato sull’economia”. Perciò Lenin è quanto mai categorico dinanzi a queste posizioni economiciste, al punto da concludere affermando: “ragionare diversamente significa dimenticare l’abbiccì del marxismo” [5]. Quindi Lenin contrasta le tendenze economiciste all’interno del partito comunista anche dopo la conquista del potere, che rivendicano una completa autonomia dei sindacati rispetto allo stesso partito rivoluzionario. D’altra parte, però, critica anche la posizione opposta di chi ne disconosce, dopo la conquista del potere, la funzione essenziale che i sindacati svolgono nella transizione al socialismo. Come osserva a tal proposito Lenin: dopo la conquista del potere “il partito deve ancor più, in forma nuova e non solo come in passato, educare i sindacati e dirigerli, senza però dimenticare, al tempo stesso, che essi sono e resteranno ancora per molto una necessaria ‘scuola di comunismo’ e una scuola preparatoria che addestra i proletari a realizzare la loro dittatura, una unione necessaria degli operai per il passaggio progressivo della gestione di tutta l’economia del paese nelle mani della classe operaia (e non di singole professioni) e, quindi, nelle mani di tutti i lavoratori” [6].

Per quanto attiene la questione delle riforme, Lenin ribadisce che, a differenza degli anarchici, i comunisti non disdegnano la lotta per le riforme, cioè per quei miglioramenti nella situazione dei lavoratori che lasciano il potere, come nel passato, nelle mani della classe dominante” [7]. Pur guidando le lotte per le riforme, i comunisti devono mostrare al proletariato che esse sono “catene dorate”, strumenti “per perpetuare la schiavitù salariata” [8], non ponendo in discussione il monopolio borghese dei mezzi di produzione. Dunque, secondo Lenin, il proletariato deve battersi per conquistare l’egemonia sul blocco sociale di cui è parte, per poi conquistare l’egemonia sulla maggioranza della società, almeno fra quella attivabile politicamente, per poter – conquistato il potere – sviluppare una società socialista fondata sul divieto di ogni forma di sfruttamento. Se dimentica o non conosce questo obiettivo e si lascia irretire dall’economicismo e dal tradeunionismo, al contrario il proletario rimane in una condizione analoga a quella dello schiavo che lotta al massimo per migliorare la propria condizione servile.

Dunque, sostiene Lenin: “il proletario che non riconosce l’idea dell’egemonia della propria classe o che rinnega quest’idea è uno schiavo che non capisce la sua situazione di schiavo; nel migliore dei casi è uno schiavo che lotta per migliorare la sua situazione di schiavo, ma non per abbattere la schiavitù” [9]. Perciò Lenin combatte aspramente le posizioni economiciste che mirano, ancora a oggi, a costruire un partito di classe e non un partito che, mediante l’egemonia su un blocco sociale antagonista al dominante, potrà conquistare il potere. Quindi, secondo Lenin “dire: ‘non egemonia, ma partito di classe’, significa passare dalla parte della borghesia, dalla parte del liberale il quale dice allo schiavo della nostra epoca, all’operaio salariato: lotta per migliorare la tua situazione di schiavo, ma considera come nociva l’idea dell’abbattimento della schiavitù!” [10].

Del resto gli economicisti che parlano di partito di classe sono generalmente degli intellettuali piccolo-borghesi, con cui i rivoluzionari debbono costantemente battersi per avere l’egemonia. Per dirla con Lenin: “proprio nella lotta di tendenze in seno al marxismo si manifesta l’ala piccolo-borghese e intellettuale della socialdemocrazia, cominciando dall’‘economismo’” [11]. Al contrario dei comunisti, i riformisti economicisti si sforzano di indurre i lavoratori ad appagarsi delle riforme, denunciate da Lenin come “elemosine” distribuite dalla classe dominante per isolare l’ala rivoluzionaria. I tradeunionisti tendono così a convincere i proletari a non approfondire la lotta di classe, dopo aver ottenuto delle riforme, per non mettere a repentaglio i diritti acquisiti. La loro egemonia, depotenziando il conflitto di classe, rende più agevole lo sforzo della borghesia per “ridurre a nulla, con diversi sotterfugi, le riforme” [12], servendosene per dividere i lavoratori, corrompendone economicamente alcuni settori.

Dunque i comunisti, pur essendo in prima fila “nell’utilizzazione pratica delle riforme e nella lotta per le riforme” [13], considerano tale politica non scindibile dalla battaglia “la più energica” contro i riformisti, i quali limitano ad esse “le aspirazioni e l’attività della classe operaia” [14]. Solo preservando la propria autonomia e ampliando l’orizzonte della lotta, il movimento dei lavoratori sarà in grado di consolidare le riforme, facendone la base di più ampie conquiste. La lotta per le riforme ha senso per un comunista solo quale strumento per far sorgere nei lavoratori la consapevolezza della necessità di battersi contro l’intero sistema capitalistico, all’interno del quale esse non possono essere né profonde, né durature. Al contrario, allora come oggi i riformisti sono per fare proprio delle prospettive economiciste la base per l’unità internazionale dei lavori, anzi oggi tali posizioni sono sostenute in primo luogo dai massimalisti e, a differenza dei tempi di Lenin, sono auspicate per i soli salariati dell’Unione (imperialistica) europea. “Il capo dei kautskiani russi, Axelrod – denuncia Lenin – vede ‘il centro di gravità del problema dell’internazionalizzazione del lavoro pratico quotidiano’; per esempio, ‘la legislazione sulla protezione del lavoro e la legislazione delle assicurazioni sociali devono diventare l’oggetto di azioni internazionali, l’oggetto dell’organizzazione internazionale degli operai’” [15].

Note:

[1] V. I. Lenin, Che fare? [febbraio 1902], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 29.
[2] Id., Prima stesura del progetto di risoluzione del X congresso del PCR sulla deviazione sindacalistica e anarchica nel nostro partito, in op. cit., p. 547.
[3] Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’economismo imperialistico [agosto-ottobre 1916], in op. cit., p. 272.
[4] Id., Sula diplomazia di Trotski e su una piattaforma unitaria dei partitisti [dicembre 1911], in op. cit., p. 162.
[5] Id., Ancora sui sindacati, la situazione attuale e gli errori di Trotski e di Bukharin [25 gennaio 1921], in op. cit., p. 502
[6] Id., L’estremismo malattia infantile del comunismo [aprile-maggio 1920], in op. cit., p. 436. A questo proposito Lenin ribadisce il grande rilievo della tesi del Partito su questo controverso, ma essenziale punto: “‘la partecipazione dei sindacati alla gestione dell’economia e l’iniziazione di larghe masse a quest’opera costituisce, nello stesso tempo, il mezzo principale di lotta contro la burocratizzazione dell’apparato economico del potere sovietico e permette di effettuare un reale controllo popolare sui risultati della produzione’” Id., Ancora sui sindacati…, op. cit., p. 522.
[7] Id., Marxismo e riformismo [Settembre 1913], in op. cit., p. 174.
[8] Ibidem.
[9] Id., Il riformismo nella socialdemocrazia russa [settembre 1911], in op. cit., pp. 149-50.
[10] Ivi, p. 150.
[11] Id., Come si viola l’unità gridando che si cerca l’unità [maggio 1914], in op. cit., p. 225.
[12] Marxismo e…, op. cit., p. 175.
[13] Ivi, p. 176.
[14] Ivi, p. 174.
[15] Id., L’opportunismo e il crollo della II Internazionale [gennaio 1916], in op. cit., p. 253.

28/09/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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