Marx e i limiti dell’emancipazione politica

L’uomo portatore dei diritti dell’uomo non corrisponde al concetto di uomo quale essere sociale, ma è la persona meramente esistente nella società borghese, dominio di rapporti di produzione fondati sul diritto di proprietà, che dà sanzione giuridica alle profonde disuguaglianze su cui si fonda.


Marx e i limiti dell’emancipazione politica

Di contro alla concezione idealista della “sinistra” hegeliana e dei “sinceri” democratici, Karl Marx e Friedrich Engels mostrano che non è lo Stato a tenere uniti “gli atomi della società civile, ma il fatto che essi sono atomi solo nella rappresentazione, nel cielo della loro immaginazione, – il fatto che nella realtà sono esseri fortemente distinti dagli atomi, cioè non sono egoisti divini, ma uomini egoistici. Solo la superstizione politica [democratica e piccolo borghese] immagina ancora oggi che la vita civile debba di necessità essere tenuta unita dallo Stato, mentre, al contrario, nella realtà, lo Stato è tenuto unito dalla vita civile” [1]. Storicamente ciò diviene, infine, chiaro sin dalla Rivoluzione del 1830 (che pone fine alla Restaurazione precedentemente impostasi dal Congresso di Vienna [1815]), o meglio dal regime che, sfruttando l’occasione, si afferma al potere, in rappresentanza del blocco sociale egemonizzato dalla grande borghesia moderatamente liberale. In effetti, nel 1830, questo blocco sociale borghese “ha realizzato i suoi desideri del 1789 [anno di inizio della Rivoluzione francese], con la distinzione, tuttavia, che, ora, il suo illuminismo politico era finito; che essa, con lo Stato costituzionale rappresentativo, riteneva di raggiungere non più l’ideale dello Stato, non più la salvezza del mondo e fini generalmente umani, ma aveva invece riconosciuto questo stato come l’espressione ufficiale del suo potere esclusivo, come il riconoscimento politico del suo interesse particolare. La storia della Rivoluzione francese, che è iniziata nel 1789, non è ancora terminata con l’anno 1830, anno in cui ha riportato la vittoria uno dei suoi momenti, arricchito della coscienza del suo significato sociale[2]. Dunque, come vengono chiarendo Marx ed Engels, con l’emancipazione politica, la rivoluzione borghese [iniziata ufficialmente nel 1789 e che prende pienamente coscienza del suo significato di classe dopo il 1830] ha risolto la contraddizione fondamentale ingeneratasi nella società feudale [a partire dal Trecento, dall’autunno del medioevo] fra forze produttivela moderna società civile – e rapporti di proprietà [3] – lo stato feudale – nel suo fondamento reale: l’individuo. E questo non vale solo per l’Inghilterra, come aveva intuito Hegel, ma anche per gli ideali della rivoluzione francese sanciti nei diritti umani, come mostrano Marx ed Engels in polemica con l’idealismo della scuola hegeliana.

Perciò, persino, nel fuoco della rivoluzione, nella sua fase più radicale [quando i giacobini si allearono con i sanculotti], “in un momento in cui soltanto la più eroica abnegazione può salvare la nazione (…) in un momento in cui il sacrificio di tutti gli interessi della società civile deve essere posto all’ordine del giorno e l’egoismo deve essere punito come un delitto” [4] la Convenzione nazionale [la nuova assemblea costituente egemonizzata da radicali e sinceri democratici] ribadì la validità dei diritti dell’uomo della Dichiarazione del 1790. In effetti, i rappresentanti dei cittadini [francesi] ribadirono nel preambolo alla costituzione [democratica] del 1793 i diritti imprescrittibili dell’uomo della dichiarazione del 1790 [la prima dichiarazione liberale]. Ma i diritti dell’uomo in quanto tale non sono altro, come mostra già il giovane Marx, che “i diritti del membro della società civile, cioè dell’uomo egoista, dell’uomo separato dall’uomo e dalla comunità” [5], dalla propria stessa essenza di animale sociale. Sono i diritti d’un individuo che vede nella comunità un limite artificialmente imposto alla sua libertà originaria pre-sociale, necessaria unicamente alla comune difesa del proprio ambito egoista.

Del resto, l’uomo egoista, il bisogno pratico, il presupposto del nuovo assetto della società [civile moderna borghese] emancipatasi politicamente fu sancito già nella prima dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1790 e ribadito in quella sinceramente” democratica del 1793: “i droits de l’homme [i diritti dell’uomo] vengono, in quanto tali distinti dai droits du citoyen [diritti del cittadino]. Chi è l’homme [l’uomo] distinto dal citoyen [cittadino]? Nient’altro che il membro della società civile. Perché il membro della società civile viene chiamato «uomo», semplicemente uomo, perché i suoi diritti vengono chiamati diritti dell’uomo? Come spieghiamo questo fatto? A partire dal rapporto dello Stato politico con la società civile, a partire dall’essenza dell’emancipazione politica” [6]. In tal modo “la società feudale [dominante nel Medioevo] fu risolta nel suo fondamento, nell’uomo. Ma nell’uomo che realmente costituiva il suo fondamento, nell’uomo egoista. Quest’uomo… è ora la base, il presupposto dello Stato politico. Come tale è da esso riconosciuto nei diritti dell’uomo” [7] delle sopra ricordate Dichiarazioni.

Dunque l’uomo portatore dei diritti dell’uomo non corrisponde al concetto di uomo quale essere sociale, ma è la persona meramente esistente nella società borghese, dominio di rapporti di produzione fondati sul diritto di proprietà, che dà sanzione giuridica alle profonde disuguaglianze su cui si fonda. Il soggetto di detti diritti non ha, dunque, nulla di naturale, come nulla di naturale hanno i diritti di cui è decretato portatore.

Del resto, come chiarisce il giovane Marx, “la differenza delle doti naturali tra gli individui non è tanto la causa quanto l’effetto della divisione del lavoro” [8]. Quindi, quantomeno dal punto di vista concettuale, Marx sin dal 1844 sembra dare quasi per scontata la critica al presunto naturalismo astorico su cui si fondano i diritti umani e più in generale il giusnaturalismo liberale e borghese. Anzi, proprio su questa questione fondamentale, Marx ed Engels sottolineano il loro aver superato dialetticamente la posizione di Feuerbach, il quale “non vede come il mondo sensibile che lo circonda sia non una cosa data immediatamente dall’eternità, sempre eguale a se stessa, bensì il prodotto dell’industria e delle condizioni sociali; e precisamente nel senso che è un prodotto storico, il risultato dell’attività di tutta una serie di generazioni, ciascuna delle quali si è appoggiata sulle spalle della precedente, ne ha ulteriormente perfezionato l’industria e le relazioni e ne ha modificato l’ordinamento sociale in base ai mutati bisogni” [9]. Anzi il giovane Marx si fa beffe, ne La questione ebraica, del provincialismo giovane hegeliano che si vanta d’aver scoperto qualcosa che francesi e inglesi avevano smascherato da oltre un secolo. Del resto, come osserva l’anno successivo, in implicita polemica con i giovani hegeliani, ma anche con Feuerbach, “l’universalità dell’uomo appare praticamente proprio in quella universalità, che fa della intera natura il corpo inorganico dell’uomo, sia perché essa 1) è un mezzo immediato di sussistenza, sia perché 2) è la materia, l’oggetto e lo strumento della sua attività vitale” [10].

A parere di Marx, l’individuo per natura indipendente e portatore di diritti non è altro che un’invenzione priva di fantasia della borghesia rivoluzionaria mirante a naturalizzare e, così, eternizzare il prodotto della dissoluzione del mondo feudale, in cui il singolo era ridotto a “un elemento accessorio di un determinato e circoscritto conglomerato umano” [11]. È l’homo homini lupus, l’individualista utilitarista di Bentham, alienato dal prodotto e dalla sua stessa attività sociale.

I giacobini si erano illusi di poter modellare lo Stato politico sul modello antico, reprimendo nel terrore le “manifestazioni vitalidella società civile che erano stati “costretti a riconoscere e sanzionare nei diritti dell’uomo[12]. La prassi rivoluzionaria, che aveva posto più volte in discussione i rapporti di proprietà sulla base dell’esigenze generali dello Stato, si rivela così un’eccezione nei confronti della teoria espressa nel dettato costituzionale e nella definizione dei diritti umani.

L’universalismo sancito dai diritti del cittadino è fittizio, proprio di un’universalitàquella della comunità statale – intellettualistica, fondata sulla contrapposizione a una universalità ancora più contraddittoria: quella della comunità civile, sfera della particolarità, che può essere identificata solo in quanto differente.

Note:

[1] Marx, Karl e Engels, Friedrich, La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di Zanardo, A., Editori riuniti, Roma 1967, p. 158.

[2] Ivi, p. 162.

[3] Occorre sempre tenere bene a mente questo concetto fondamentale per comprendere lo sviluppo storico delle società classiste: “a un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale.” Marx, Karl, Per la critica dell'economia politica [1859], Editori Riuniti, Roma 19693, p. 5.

[4] Bauer, Bruno, Marx, Karl, La questione ebraica [1843], tr. it. di Tomba, M., Manifestolibri, Roma 2004, p. 195.

[5] Ivi, p. 193.

[6] Ivi, pp. 192-93.

[7] Ivi, p. 198.

[8] Marx, K., Manoscritti economico filosofici del 1844 a cura di Bobbio, Norberto, Giulio Einaudi editore, Torino 1968, p. 144.

[9] Marx, K., Engels, F., L’ideologia tedesca, tr. it di Codino, F., Editori Riuniti, Roma 1967, p. 16.

[10] Marx, K., Manoscritti, op. cit., p. 77.

[11] Id., Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica [1857-58], tr. it. di Grillo, E., Nuova Italia, Firenze 1968, p. 4.

[12] Marx, K., Engels, F., La sacra …, op. cit., p. 160. Per maggiore chiarezza riportiamo per intero il ragionamento di Marx ed Engels “Robespierre, Saint-Just ed il loro partito sono caduti perché hanno scambiato la comunità antica, realisticamente democratica, che poggiava sul fondamento della schiavitù reale, con lo Stato moderno rappresentativo, spiritualisticamente democratico, che poggia sulla schiavitù emancipata, sulla società civile. Che colossale illusione essere costretti a riconoscere e sanzionare nei diritti dell’uomo la società civile moderna, la società dell’industria, della concorrenza generale, degli interessi privati perseguenti liberamente i loro fini, dell’anarchia, dell’individualità naturale e spirituale alienata a se stessa, e volere poi nello stesso tempo annullare nei singolo individui le manifestazioni vitali di questa società, e volere modellare la testa politica di questa società nel mondo antico!” Ibidem.

17/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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