Il decreto lavoro sancisce il fallimento delle politiche pubbliche del lavoro

Il decreto Lavoro rappresenta un'ulteriore contrazione del ruolo pubblico nelle politiche attive del lavoro. Insieme allo stravolgimento del reddito di cittadinanza lascia ampi margini alla gestione privatistica della forza-lavoro.


Il decreto lavoro sancisce il fallimento delle politiche pubbliche del lavoro

Il decreto Lavoro interviene anche in materia di politiche attive e lo fa rafforzando il settore privato a discapito del pubblico non solo esautorando l’Anpal [1] ma ridimensionando anche il programma Gol (Garanzia Occupabilità Lavoratori) e gli stessi centri per l’impiego nel nome della cooperazione pubblico-privato che farà la fortuna delle società di formazione.

Cosa è il Gol? Leggiamo testualmente dal sito ministeriale.

“ll programma Gol è un’azione di riforma prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza dell’Italia (Missione 5, Componente 1) per riqualificare i servizi di politica attiva del lavoro. Dispone di risorse pari a 4,4 miliardi di euro. Entro il 2025 coinvolgerà 3 milioni di beneficiari, di cui 800.000 in attività formative, 300.000 delle quali relative alle competenze digitali. Gol è attuato dalle Regioni e Province autonome sulla base dei Piani regionali (Par) approvati da Anpal. La sua attuazione è connessa al Piano di potenziamento dei centri per l’impiego e al Piano nazionale nuove competenze”. Il decreto lavoro non affronta le questioni dirimenti come la carenza strutturale delle politiche attive in materia di lavoro o le misure a sostegno della povertà, come per altro aveva previsto la Legge di Bilancio 2023. Gli interventi sono solo finalizzati alla riduzione della spesa pubblica nell'alveo delle compatibilità comunitarie a conferma che le politiche del Governo Meloni sono all'insegna delle privatizzazioni e della contrazione del welfare che necessiterebbe invece di una rivisitazione all'insegna del potenziamento dei servizi. Lo stravolgimento del reddito di cittadinanza è la prova lampante del carattere ferocemente classista delle politiche della destra. Alquanto fumoso resta il percorso di accompagnamento al lavoro, “supporto per la formazione e il lavoro” (art. 12), dei poveri disoccupati abili al lavoro ai quali è riconosciuto un sussidio di 350 euro mensili per 12 mesi. Si poteva fare di meglio e di più, per esempio, andando a rafforzare le politiche attive realizzate dal servizio pubblico, mentre invece si sceglie di depotenziare ulteriormente i centri per l'impiego entrati in crisi irreversibile, con la Riforma Del Rio e lo smantellamento delle vecchie Province che aveva messo d'accordo sinistra e destra parlamentare.

Si decreta il fallimento definitivo dell’Anpal, nata per volontà del Governo Renzi nel 2015, ma soprattutto non si ricostruisce un sistema nazionale finalizzato alla formazione e all'inserimento nel mercato del lavoro con politiche attive che necessiterebbero anche di lavori socialmente utili veri e propri, dignitosamente retribuiti e finalizzati a opere sociali, di conservazione e mantenimento dei territori, dei beni comuni e ambientali. In teoria l' Anpal avrebbe dovuto controllare e finalizzare la formazione professionale attraverso i centri per l’impiego per assicurare prestazioni e opportunità su tutto il territorio nazionale ma questi intenti non sono mai stati realizzati per volontà politica. Il collocamento pubblico permetteva fino a 20 anni fa l'inserimento, soprattutto a tempo determinato, di tanti disoccupati. Poi sono arrivati gli appalti al ribasso e gli affidamenti di servizi a cooperative che hanno sancito anche perdita contrattuale ed economica e destinato alla privatizzazione interi servizi (perché la gestione esternalizzata in appalto è di fatto una privatizzazione mascherata). Renzi e company sostennero che l'affossamento della Riforma delle politiche attive in materia di lavoro era stata determinata dalla sconfitta referendaria sulle riforme costituzionali in quanto si era prodotta una confusione riguardo al rapporto tra Stato e Regioni in materia di politiche attive sul lavoro, ma in realtà l'opera di smantellamento era iniziata ben prima.

Non è certo responsabilità dei cittadini avere arrestato un'opera di stravolgimento della Costituzione. Le politiche attive del lavoro dovrebbero essere pensate, realizzate e indirizzate dal pubblico, cosa che non accade da troppi anni. La loro gestione privatistica comporta ripercussioni negative sull'occupazione e sui processi formativi indispensabili per creare posti di lavoro.

L'Anpal ha avuto piuttosto un ruolo nevralgico grazie al reddito di cittadinanza che invece il Governo Meloni ha distrutto. E lo diciamo avendo denunciato il flop dell'operazione navigator che avrebbe dovuto servire a trovare un impiego per i percettori del Rdc. Quel fallimento era frutto di una idea errata. Lo Stato non poteva inserire nel mondo del lavoro figure poco formate e scolarizzate visto che c'erano già le cooperative e gli appalti a garantire quella tipologia di servizi mal pagati e mal contrattualizzati.

È quindi il sistema delle privatizzazioni e degli appalti la fonte del problema, un sistema che alla fine accontenta tutti e tutte abbassando il potere di acquisto e di contrattazione. Gli ultimi anni hanno sancito il fallimento non solo dell’Anpal in qualità di agenzia indipendente per conto del ministero del Lavoro. A fallire sono stati gli indirizzi pubblici in materia di lavoro, formazione e orientamento professionale. È crollato il progetto del Governo Renzi ma è naufragato soprattutto il progetto di una presenza pubblica in materia di politiche attive del lavoro tanto che oggi si parla esplicitamente di interazione tra pubblico e privato.

Note:

[1] Anpal Agenzia nazionale per le Politiche Attive del Lavoro. I suoi compiti sono di promuovere il diritto al lavoro, alla formazione e alla crescita professionale delle persone e di coordinare la rete nazionale dei servizi per il lavoro. È responsabile del sistema informativo del mercato del lavoro.

 

19/05/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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