Smart o non smart: è questo il problema?

Si ritorna al lavoro in presenza nella pubblica amministrazione dove la fase emergenziale, dovuta alla pandemia, è già un lontano ricordo. Vince la linea Brunetta sul lavoro agile in attesa di accordare qualche contentino con i prossimi contratti nazionali della Pa.


Smart o non smart: è questo il problema?

In attesa del decreto della Funzione pubblica che determinerà le modalità del rientro nel rispetto delle linee guida ministeriali possiamo asserire che la fase emergenziale nella pubblica amministrazione (Pa) è già un lontano ricordo. Dal prossimo 15 ottobre, nei posti di lavoro pubblici e privati, entreremo solo se in possesso di Green Pass in quanto vaccinati o tamponati con esito negativo ogni 48 ore.

Ma l’emergenza da Covid può dirsi veramente conclusa? E perché tanta fretta nel ritorno in presenza destinando il lavoro agile a un numero esiguo di dipendenti, i cosiddetti fragili e le madri con bambini di età inferiore ai 3 anni?

Molto abbiamo già scritto sullo smart, sulle sue insidie (lavoro a progetto con carichi di lavoro crescenti, produttività in aumento come del resto le mansioni esigibili e a prescindere dall’inquadramento professionale, il pericolo dell’isolamento del singolo lavoratore, gli oneri a suo carico senza rimborso alcuno, come invece prevedeva il vecchio telelavoro, la mancata corresponsione di buoni pasto e altri istituti contrattuali…) e sul fatto che il lavoro agile scaturisce dalla impossibilità datoriale di garantire salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il ricorso allo smart è stato lo strumento con il quale sono stati decongestionati gli uffici salvo poi scoprire che la Pa nel suo complesso era così arretrata da non potere supportare il lavoro a distanza all’interno di processi organizzativi obsoleti. E nulla è stato fatto per ammodernare la Pa, per dotarla di strumenti informatici e collegamenti in rete, lasciando che si continuasse a lavorare da casa con i propri computer e in mezzo a mille peripezie.

Il pregiudizio di tanti era legato all’idea che lavorando da casa fosse possibile sottrarsi ai doveri tipici del dipendente; si potesse insomma produrre di meno senza controllo alcuno. Una pia illusione visto che i sistemi di controllo del personale non mancano come anche algoritmi e sistemi di verifica della produttività. E non dimentichiamo che la revisione dello statuto dei diritti dei lavoratori (legge 300/1970) era funzionale a favorire i controlli sulla forza lavoro.

Dopo avere decurtato il salario del personale in smart ora si pensa di regolamentare il lavoro agile nei prossimi contratti e magari si rivendicherà il diritto alla disconnessione come conquista quando nel frattempo la materiale organizzazione del lavoro avrà stabilito che in meno ore sarà possibile garantire la maggiore produttività.

I problemi derivanti dall’affollamento degli uffici sono il frutto di politiche edilizie errate, dei mancati investimenti nell’edilizia pubblica: scuole e ospedali le vittime sacrificali di questa accecante miopia. Con la pandemia si è fatta strada l’idea che la soluzione potesse essere (per scongiurare cause in caso di contagio, è bene ribadirlo) accordare il lavoro agile e al contempo prevedere (ultima trovata) orari flessibili di entrata e uscita per ridurre l’affollamento sui mezzi pubblici nelle ore di punta. Per questo, mentre i sindacati rappresentativi coltivano l’illusione di regolamentare lo smart nei contratti collettivi nazionali di lavoro, il lavoro agile sarà possibile previo accordo individuale ma a mera discrezione delle amministrazioni e in numero assolutamente limitato. E chi opererà in modalità agile dovrà dimostrare ogni giorno di meritarsi questa gentil concessione, revocabile per altro unilateralmente dal datore. Dovrà quindi accrescere produttività e disponibilità individuale in barba a ogni diritto contrattuale.

È stato detto che l’obiettivo del Governo è quello di non pregiudicare l’erogazione dei servizi agli utenti ma cosa è stato fatto nel frattempo per accrescere le igienizzazioni e le sanificazioni nei luoghi di lavoro? Ben poco visto che gli appalti in essere sono quelli della spending review. E quando si asserisce che  le Pa dovranno essere dotate di strumenti tecnologici per garantire la sicurezza delle informazioni si sta già pensando di scaricare sul lavoratore in smart carichi di lavoro crescenti come lo smaltimento degli arretrati. Qui entrano in gioco i mancati investimenti in formazione e nuove tecnologie e l’assenza di interventi per rendere dignitoso il lavoro e la retribuzione nella Pa. Le responsabilità sono della classe politica e dirigenziale ma anche dei sindacati che accettano e sottoscrivono contratti che demandano al secondo livello di contrattazione la possibilità di deroghe, più o meno mascherate. In questa situazione le Rsu, considerando che una serie di benefici contrattuali graveranno sul fondo per la produttività che non viene adeguatamente incrementato, dovranno fare salti mortali per trovare una forma di equilibrio tra l’applicazione di questi istituti contrattuali, che andranno a beneficio esclusivo di alcune categorie di lavoratori, e la riduzione al minimo delle disuguaglianze economiche.

Ai lavoratori “agili” andranno forniti i computer e in generale i device necessari per lavorare. Lo abbiamo letto da qualche parte ma dimentichiamo che il lavoro agile è nato nel 2017 per porre fine al Telelavoro che imponeva invece al datore dei doveri come il rimborso spese, le postazioni ergonomiche e gli strumenti informatici.

L’obbligo poi del Green Pass a tutto il mondo del lavoro finirà con lo scaricare su singoli dipendenti anche il controllo del possesso del foglio verde senza alcuna corresponsione.

Affidare la sicurezza nei luoghi di lavoro al Green Pass significa liberare il datore dall’obbligo di predisporre tamponi gratuiti per accertare e monitorare i contagi. Le ragioni meramente economiche stridono con la reale salute e sicurezza e si assoldano i dipendenti pubblici e privati nel ruolo di controllori.

Il decreto di Palazzo Chigi archivia non solo lo scenario emergenziale che aveva dato vita allo smart working ma evita di affrontare tutte le problematiche derivanti dai ritardi della Pa in campo formativo, organizzativo, gestionale e tecnologico.

Il Dpcm parla esplicitamente di “sostenere cittadini e imprese nelle attività connesse allo sviluppo delle attività produttive e all’attuazione del Pnrr”, si capisce bene che la finalità stessa della Pa finisce con l’assecondare i desiderata delle imprese e di Confindustria invece di prefiggersi il compito di migliorare e accrescere i servizi pubblici.

Nasce da questi presupposti la cosiddetta necessità di “superare la modalità di utilizzo del lavoro agile nel periodo emergenziale come una delle modalità ordinarie dello svolgimento della prestazione lavorativa” ritornano invece alla presenza come modalità lavorativa ordinaria e rinunciando così ad ammodernare la Pa tramite l’assunzione tempestiva degli oltre 600mila dipendenti perduti negli ultimissimi anni.

In attesa che Palazzo Vidoni detti le le regole operative, si rinvia alle singole amministrazioni che dovranno tradurre in pratica queste regole adeguandole alla propria realtà, in questo modo avverrà l’esatto contrario di quanto detto dai sindacati rappresentativi, ci saranno decisioni discrezionali e il potere datoriale sarà sempre più forte a discapito del potere contrattuale stesso. E la riforma della Pa? Potrà attendere. Nel frattempo il faro guida sarà rappresentato dai servizi alle imprese.

 

01/10/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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