Per il programma minimo

Un programma minimo di classe organico per rilanciare dal basso, dal conflitto capitale-forza lavoro, l’unità dei comunisti.


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Viene spesso citato a sproposito un passo estrapolato da un’opera di Marx, in cui si legge: “Ogni passo del movimento reale è più importante di una dozzina di programmi”. In realtà già Lenin ha precisato nel Che fare? che “ripetere queste parole in un momento di sbandamento teorico, è come ‘fare dello spirito a un funerale’. Queste parole, d’altra parte, sono estratte dalla lettera sul programma di Gotha, nella quale Marx condanna categoricamente l’eclettismo nell’enunciazione dei princìpi. Se è necessario unirsi – scriveva Marx ai capi del partito – fate accordi allo scopo di raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei princìpi e non fate ‘concessioni’ teoriche. Questo era il pensiero di Marx, e fra noi si trova della gente che nel suo nome tenta di sminuire l’importanza della teoria!”. 

 Perciò nel processo di ricomposizione dei comunisti nel nostro paese dal basso, a partire dal conflitto sociale, ci pare essenziale la definizione comune di un programma minimo, sulla base del quale cominciare a coordinarsi e a sperimentare il vantaggio dell’unità dei comunisti sul terreno concreto della lotta di classe. Essendo un programma minimo funzionale all’unità d’azione dei comunisti esso non può che fondarsi sul socialismo scientifico. Non è, quindi, sufficiente un elenco di parole d’ordine eclettiche, una lista della spesa in funzione dell’“osteria dell’avvenire” che contenga tutto e il contrario di tutto, fondato sul piano necessariamente contraddittorio dell’immediatezza contingente delle diverse opinioni. Non abbiamo bisogno di un ennesimo programma che tenga insieme obiettivi del marxismo con obiettivi del socialismo utopistico piccolo-borghese, contro il quale i grandi esponenti del marxismo si sono sempre battuti. Né tanto meno, in modo demagogico e populista, si deve far ricorso alle parole d’ordine che ci impone l’ideologia dominante, in quanto è sempre espressione degli interessi della classe dominante. Né ci devono essere parole d’ordine astratte e necessariamente irrealizzabili all’interno del modo di produzione capitalistico, in quanto porterebbero acqua al mulino dell’opportunismo piccolo borghese che si illude sia possibile tornare a un sedicente capitalismo dal volto umano. Inoltre il programma deve tener conto e ben distinguere gli aspetti prioritari e decisivi da aspetti secondari e contingenti, dalle mode del momento. Infine il programma deve, per essere credibile e realizzabile, essere costruito in modo organico, indicando quali lotte costituiscono un requisito indispensabile per raggiungere un determinato obiettivo.

 Alla luce di quanto sostenuto dallo stesso Marx, la battaglia principale che si conduce all’interno della società capitalistica è quella sulla durata della giornata lavorativa e sull’uso della forza lavoro all’interno dei luoghi della produzione. In quanto il proletariato, per definizione, per potersi riprodurre nella società capitalista, è costretto a vendere la propria forza-lavoro. Il valore di quest’ultima e, di conseguenza, il salario sociale in un determinato contesto storico-sociale, è una grandezza data, corrispondente a quanto abbisogna la classe proletaria nel suo insieme per potersi riprodurre come lavoro vivo da sfruttare per garantire il profitto del padronato. Mentre a non essere predeterminate sono la durata della giornata lavorativa e le condizioni di sfruttamento della classe proletaria. In questi ultimi casi, in effetti, determinante è solo il conflitto sociale; ossia è esclusivamente la lotta di classe a stabilire la durata del pluslavoro e il plusvalore relativo, che il padronato tenderà per quanto possibile a incrementare per aumentare il proprio profitto e tener testa alla concorrenza mentre, al contrario, il proletariato ha tutto l’interesse a ridurre per quanto possibile la durata e l’intensità dello sfruttamento della propria forza-lavoro.

 Dunque, il primo obiettivo nel programma minimo non potrà che essere la riduzione dell’orario di lavoro a parità di potere d’acquisto del salario e a parità di ritmi e di condizioni di sfruttamento della forza lavoro. Obiettivo che potrà essere conseguito, come abbiamo visto, unicamente mediante la vittoria nella lotta di classe contro il padronato che tenterà in ogni modo, al contrario, a estendere il plusvalore assoluto e relativo. Tale prospettiva di lotta è essenziale in quanto è ricompositiva del fronte dei ceti sociali subalterni nel loro insieme, poiché mira a limitare lo sfruttamento degli occupati distribuendo una parte del loro pluslavoro fra i disoccupati e i sottoccupati. Tale lotta, se sarà in grado di aver successo, lascerà agli occupati il tempo necessario a sviluppare la propria coscienza di classe mediante le lotte e la formazione e consentirà di contrastare tanto il precariato quanto la disoccupazione, quale strumento essenziale per tenere sotto ricatto gli occupati. Non a caso tali obiettivi sono l’esatto opposto di quanto fa il padronato quando non trova significative resistenze da parte della forza-lavoro, ossia aumentare l’orario di lavoro e i ritmi di lavoro degli occupati per poter licenziare e precarizzare il resto della forza-lavoro, rompendone l’unità d’azione e tendendo a fomentare la guerra fra poveri, ossia fra occupati, sottoccupati e disoccupati. 

 Questa lotta è ampiamente praticabile all’interno del modo di produzione capitalistico, come dimostra la storia, costellata da conflitti sociali vincenti che hanno portato a una progressiva riduzione degli orari e dei ritmi di lavoro, attenuandone l’intensità dello sfruttamento e mantenendo di fatto costante il potere d’acquisto del salario. Naturalmente tali conquiste sono state sempre più vanificate negli ultimi decenni in cui la lotta di classe è stata condotta essenzialmente dall’altro verso il basso, portando di fatto ad aumentate orario di lavoro e ritmi di un numero ridotto di occupati, aumentando costantemente i sottoccupati e disoccupati.

 D’altre parte tale lotta ha come prima precondizione che vi sia un orario di lavoro, ovvero la lotta a ogni forma di lavoro a cottimo, di lavoro a obiettivi. Questa forma rende di fatto impossibile la stessa lotta per la riduzione dell’orario e dei ritmi di sfruttamento. Altrettanto indispensabile a poter condurre un’efficace lotta per ridurre il pluslavoro e il plusvalore relativo è disporre dei rapporti di forza necessari. A questo scopo è indispensabile difendere il contratto nazionale e impedire che ogni altro tipo di contratto possa essere peggiorativo di quanto si è conquistato a livello di contrattazione nazionale. Vi è inoltre bisogno che i lavoratori riconquistino un meccanismo che riadegui immediatamente i salari in caso di aumento dell’inflazione o comunque di aumento del costo delle merci necessarie alla riproduzione della forza-lavoro. Altro requisito è la ricostruzione di strutture consiliari nei posti di lavoro, che siano in grado di contrastare efficacemente i tentativi del padronato di riconquistare quanto perduto in termini di durata della giornata lavorativa aumentando i ritmi di lavoro e riducendo le pause. Infine vi è bisogno di contrastare la diffusione in tutti gli ambiti del sistema toyotista che, riducendo i salari al di sotto della soglia di sussistenza, costringe la forza-lavoro a dover implorare per poter fare degli straordinari, anche se sottopagati o addirittura gratuiti, se nei contratti sono fissati obiettivi da conseguire. In effetti, senza il blocco degli straordinari la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro diviene impraticabile.

 D’altra parte, per poter rendere credibile e praticabile il blocco degli straordinari è indispensabile contrastare ogni forma di sottoccupazione, di lavoro precario o sottopagato che implica di arrivare alla fine del mese senza aver lavorato un significativo numero di ore di straordinario, spesso sottopagato. A questo scopo è indispensabile rilanciare la lotta per l’aumento del salario sociale, che solo entro certi limiti è determinato nella società capitalistica. In altri termini non è necessario che sia ridotto al minimo del proprio valore, come generalmente avviene in fasi di crisi quando la lotta di classe è condotta unilateralmente dall’alto verso il basso. Peraltro la battaglia in difesa del salario sociale è una lotta ricompositiva dell’intera massa dei subalterni, in quanto è una misura sociale che stabilisce quanto la classe dei capitalisti debba pagare nel suo complesso i proletari affinché possano riprodursi come classe da sfruttare. Così, nella lotta per il salario sociale non rientra esclusivamente la lotta in difesa del potere d’acquisto – in termini assoluti e relativi – della busta paga, ma ogni forma di sussidio per disoccupati e sottopagati, ogni servizio sociale gratuito o a prezzi politici, ogni forma di spesa previdenziale, dalle pensioni ai trattamenti di fine rapporto. A tale scopo si dovrebbero ricostruire e riannodare i rapporti fra le strutture consiliari nei posti di lavoro, nei luoghi di formazione della forza lavoro e nei quartieri proletari, funzionali alla lotta per la componente indiretta del salario, quella che l’ideologia dominante spaccia per “Stato sociale” o “welfare”. Da questo punto di vista è essenziale – attraverso la mobilitazione di tutto il blocco sociale subalterno – che si dirottino le spaventose spese volte a costruire armi – anche di distruzione di massa – o a potenziare gli organi repressivi dello Stato, o volte a finanziare le banche e il padronato, verso servizi sociali tendenzialmente gratuiti. Lotta che a sua volta presuppone un reale contrasto al lavoro nero e all'evasione o elusione fiscale, al fine di rilanciare un sistema fiscale fortemente progressivo e delle tasse davvero significative sulle grandi eredità e i beni di lusso.

 Altro punto decisivo è la lotta al debito pubblico, attraverso il quale, come denunciava già Marx, la politica economica degli Stati viene subappaltata ai creditori, ovvero al capitale finanziario che impone ai governi, indipendentemente dal mandato popolare che hanno ricevuto, di portare avanti gli interessi della classe dominante. A tale proposito, non potendo presumibilmente, come insegna la storia, ricusare l’intero debito prima della rivoluzione, si potrà da subito ridurlo drasticamente mediante un audit sul debito illegittimo, che diventi anche uno strumento essenziale per ricostruire coscienza di classe e blocco sociale dei subalterni

 Allo stesso modo andranno contrastati tutti quegli accordi e quei trattati stabiliti internazionalmente dai paesi imperialisti e capitalisti che tendono a far diventare legge dello Stato la politica economica e sociale più favorevole alla crescita dei profitti aumentando, necessariamente, i livelli di assoggettamento e sfruttamento dei subalterni. Da questo punto di vista, per poter rilanciare la principale parola d’ordine dei marxisti anche in una situazione in cui la rivoluzione non appare all’ordine del giorno, ovvero “proletari di tutto il mondo unitevi”, è indispensabile contrastare tutte le organizzazioni internazionali che uniscono gli imperialisti e dividono artificialmente le masse popolari, insieme alle organizzazioni sovranazionali che tendono a imporre dall’alto delle regole funzionali a favorire il dominio degli sfruttatori sugli sfruttati.

In tutti questi casi, è necessaria l’unità della classe e la sua determinazione al conflitto sociale, per cui sarà necessario condurre da subito una dura lotta, a partire dalle stesse organizzazioni sindacali, a ogni forma di collaborazionismo con il padronato, di neocorporativismo e di costituzione di una aristocrazia operaia. Infine andrà contrastata ogni forma di discriminazione a partire da quelle di genere e “razziali”, o fra lavoratori comunitari o extracomunitari, fra lavoratori in regola o costretti alla clandestinità, che mirano a fomentare la guerra fra poveri, per impedire la costituzione di un fronte unico degli sfruttati contro ogni forma di sfruttamento e discriminazione.

11/10/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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