Rapporto Svimez. Una nuova drammatica questione meridionale

Nonostante gli slogan renziani, il rapporto Svimez svela una realtà drammatica al Sud.


Rapporto Svimez. Una nuova drammatica questione meridionale

Nonostante gli slogan e gli auspici futuri di Matteo Renzi sulla “ripresa” del PIL, il rapporto Svimez lo smentisce seccamente. I dati reali del 2014 mostrano una realtà di deindustrializzazione, disoccupazione di massa e impoverimento. Un Sud stretto nella morsa dei suoi problemi storici, che nel corso della crisi si sono aggravati in maniera drammatica con la ripresa anche delle emigrazioni interne.

di Carmine Tomeo

Matteo Renzi, ormai è chiaro, più che un presidente del Consiglio è un generatore automatico di slogan pubblicitari, tanto da trasformare L’Unità (che riporta ancora indegnamente in prima pagina la dicitura: “fondato da Antonio Gramsci”) nel Postalmarket del governo. Così, nel corso del suo viaggio in Sudamerica, Renzi ha commentato l’ultimo rapporto Svimez sottolineando che “è tor­nato il segno più anche al Sud, sep­pur ancora con qual­che pro­blema”. Il segno positivo a cui fa riferimento il presidente del Consiglio è (udite udite!) il risicatissimo +0,1% del Prodotto interno lordo previsto per il Sud nel 2015. Se sarà confermato questo risultato che persino Svimez definisce “timidissimo”, lo vedremo. Per ora i dati certi sono quelli riferiti al 2014.

Si legge nel rapporto che “In base a valutazioni Svimez nel 2014 il Pil è calato nel Mezzogiorno dell’1,3%”. Una caduta del Pil evidente, solo rallentata rispetto all’anno precedente, quando si attestò sul -2,7% e che rappresenta un calo continuativo del Pil del Mezzogiorno d’Italia che dura da sette anni consecutivi. “A testimonianza – afferma l’Associazione per lo Sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno - della permanente criticità dell’area”, che quindi avrebbe bisogno di interventi strutturali, in grado di invertire la “sfavorevole dinamica della domanda interna, sia per i consumi che per gli investimenti” sottolineata nel rapporto.

Continua, pertanto, ad allargarsi il divario esistente tra centro-Nord e Sud d’Italia, tanto che “Il divario tra la regione più ricca, il Trentino Alto Adige, e la più povera, la Calabria, è stato nel 2014 pari a quasi 22mila euro.” La conseguenza, ovvia, è una crescente povertà assoluta che è raddoppiata negli anni della crisi economica, passando, al Sud, dal 5,2% del 2008 al 10,6% del 2013. In questa parte d’Italia è esposta al rischio povertà una persona su tre. In queste condizioni non può sorprendere la nuova migrazione da Sud verso Nord. Basti pensare ai numeri riportati dal rapporto Svimez. tra il 2001 e il 2014 – si legge nel rapporto – “il Mezzogiorno ha quindi perso nettamente 744 mila unità. Di questi, il 70%, 526 mila, sono giovani”, di cui poco meno della metà sono laureati. Un bagaglio di competenze di cui il Sud avrebbe bisogno e che invece perde per sempre.

D’altronde, quei giovani emigrati, che partono non più con la valigia di cartone, ma con speranze identiche ai loro nonni e bisnonni di potersi costruire un futuro, si guardano intorno nelle loro terre di origine e notano il deserto industriale. La chiusura di stabilimenti come la Fiat di Termini Imerese, della Irisbus di Valle Ufita, lo smantellamento dell’Alcoa di Portovesme, sono solo i casi più eclatanti della deindustrializzazione del Mezzogiorno d’Italia. Di fronte a questo scenario, lo Svimez già lo scorso anno sottolineava che la deindustrializzazione del Sud “ha assunto un’intensità e una persistenza che sembrano ormai prescindere dal ciclo europeo. In prospettiva, è dunque sempre più forte il rischio che l’industria del Sud non riesca ad agganciare il treno di un’eventuale ripresa europea”. Una situazione che nelle anticipazioni di luglio del rapporto del 2015, lo Svimez aveva sottolineato in maniera ancora più drammatica con queste parole: “Il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale”; una condizione che “potrebbe impedire all'area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente”.

Uno scenario rispetto al quale il governo guidato dal segretario del Pd è rimasto immobile. Invece di affrontare quella che tempo si prefigura come nuova drammatica questione Meridionale, sviluppando un adeguato piano industriale, ha preferito fare da sponda politica ai piani di Marchionne. A Melfi, a fare da valletto a Marchionne nello stabilimento Fca, Renzi non si è presentato con una politica industriale, ma con il Job Acts che ha reso ai lavoratori condizioni di lavoro e di vita ancora più precarie; che sottopone i lavoratori ad una condizione di maggiore ricatto e perciò costringendoli ad accettare lavori sottopagati e dequalificati. Per di più, come fa notare l’economista Gianfranco Viesti, intervistato da Il Manifesto, il Jobs Act, visto da sud è stata una scelta ancora più drammatica, dal momento che i soldi per la defiscalizzazione “sono stati presi da risorse desti­nate al Sud”.

Insomma, il rapporto Svimez mostra un Sud stretto nella morsa dei suoi problemi storici, che nel corso della crisi si sono aggravati in maniera drammatica e pericolosa. Problemi colpevolmente non affrontati nemmeno dal governo Renzi, ma in mezzo ai quali le mafie prosperano e traggono consenso. Una situazione che potrà aggravarsi con gli ulteriori attacchi del governo Renzi ai diritti del lavoro, con l’attacco al Contratto collettivo nazionale a favore di un pericoloso decentramento che potrebbe far precipitare il Sud ancora di più in una terra di sfruttamento di mano d’opera, vista la condizione di maggiore ricattabilità dei lavoratori meridionali.

Si rende urgente, pertanto, riaprire una “nuova questione meridionale”, che tenga insieme, in un progetto politico di reale alternativa di sistema, la lotta antimafia, per l’emersione del lavoro nero, per diritti fondamentali e per il salario sociale.

30/10/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Carmine Tomeo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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