L’etica e la guerra

La guerra in Ucraina ha posto con forza all’ordine del giorno considerazioni di ordine politico ed etico. Un discorso etico sulla guerra in Ucraina e sulla guerra in generale è necessario per opporsi alle argomentazioni della propaganda.


L’etica e la guerra

La guerra in Ucraina ha posto con forza all’ordine del giorno due tipi di considerazioni, di ordine politico e di ordine etico. In innumerevoli dibattiti televisivi (generalmente di infima qualità e per lo più improntati da scopi volgarmente propagandistici) abbiamo sentito giornalisti, conduttori e presunti esperti esprimersi sia sul diritto (in termini etici) di qualsiasi paese alla scelta delle proprie alleanze, sia sulla difesa (eticamente doverosa e incondizionata) della democrazia dall’aggressione delle dittature. Il “Grande Fratello” delle televisioni RAI, Mediaset e La7 ha giustificato l’impegno della NATO a favore dell’Ucraina presentandolo come l’irrinunciabile lotta del bene contro il male, del buon Occidente contro la cattiveria russa. 

Indubbiamente un discorso etico sulla guerra in Ucraina e sulla guerra in generale è senz’altro necessario, tanto più per opporsi agli argomenti tuonati dalla propaganda. Cercherò dunque di sviluppare con un minimo di accuratezza tale discorso, vedendone i vari aspetti o almeno quelli che risultano più importanti.  

Etica dei principi ed etica della responsabilità

Per avviarlo occorre basarlo su una distinzione molto importante: quella stabilita da Max Weber[1], a proposito dell’agire politico, tra etica della convinzione o dell'intenzione ed etica della responsabilità. Che cosa significa etica della convinzione? L’etica della convinzione consiste nel valutare le nostre azioni sulla base del fine che esse perseguono. Il fine buono dà loro valore.  Ecco perché parliamo di un’etica dell’intenzione o della convinzione o dei principi. L'etica della responsabilità invece è un'etica diversa, che consiste nella valutazione delle conseguenze che nascono a seguito della nostra azione.  Secondo l'etica delle intenzioni io non sono responsabile delle conseguenze cattive che possono nascere da azioni il cui fine è buono; non me ne considero responsabile. Da questo punto di vista la bontà delle intenzioni, dei principi morali, si riflette automaticamente sulla la bontà delle mie azioni. Al contrario, l'etica della responsabilità ci spinge a considerarci responsabili delle conseguenze negative che possono nascere da intenzioni buone e quindi a valutare preventivamente il loro carattere e la loro probabilità.  Come si può vedere, si tratta di un’altra chiave di lettura etica delle scelte politiche. Nonostante la differenza fra queste due etiche, esse non sono alternative l'una all'altra. Anzi, lo stesso Max Weber afferma che, se entrambe convivono l’una accanto all’altra, allora danno il massimo valore etico alle azioni politiche. Sostanzialmente il caso ideale si ha quando noi ci proponiamo delle intenzioni buone dal punto di vista sociale e politico e al tempo stesso ci preoccupiamo, facciamo attenzione, ci sentiamo responsabili delle conseguenze negative che potrebbero nascere dal perseguimento di questi scopi. Naturalmente il senso di responsabilità si può far carico delle conseguenze negative se queste sono prevedibili, perché quando sono del tutto imprevedibili, esulano necessariamente dalla responsabilità dell’attore politico. D’altra parte, la previsione delle conseguenze negative non è sempre immediata. Può essere possibile ma a costo dell’impegno volto a raggiungerla. Ciò significa che esiste un’imprevedibilità innocente di conseguenze cattive che nascono da azioni il cui fine è buono e un’imprevedibilità colpevole, di cui si è responsabili, che è a carico nostro. Quindi, riassumendo l’etica della responsabilità: se io prevedo che possano esserci conseguenze molto negative e comunque procedo con l’azione ispirata dai miei principi, mi riterrò responsabile del loro avverarsi, anche se non me le sono mai date come scopi e anche se non le avessi provocate direttamente io ma fossero insorte a seguito di catene causali che prescindono dalla mia volontà. Oppure, se io non mi preoccupo di prevedere le eventuali conseguenze negative di azioni per me finalizzate al bene, poi mi riterrò responsabile di non averle previste e quindi anche del loro accadere.

Etica dei principi ed etica della responsabilità danno il meglio di sé quando stabiliscono un rapporto dialettico, una relazione complessa, per dirla con Morin; cioè una relazione in cui esse sono concorrenti, opposte e complementari al tempo stesso. Concorrenti perché ciascuna porta avanti le proprie ragioni, opposte in quanto tali ragioni spingono tendenzialmente in direzioni divergenti, complementari nella misura in cui vengono insieme a determinare la qualità migliore che le scelte politiche possono venire a realizzare.  

Questo tipo di discorso etico è a mio parere fondamentale, anche se, com’è di tutta evidenza, generalmente le azioni dei politici prescindono sia dall’etica dei principi sia da quella della responsabilità. Sull’incarnazione dell’etica dei principi da parte dei politici stendiamo subito un velo pietoso. Per quanto riguarda l’etica della responsabilità, si consideri che essa ci spinge a essere molto più accorti, molto più riflessivi e attenti nelle decisioni che si assumono. Ma anche la prudenza non appartiene di regola ai politici di professione (lascio stare i loro agenti propagandistici), così come non appartengono loro i principi. 

Le due etiche dovrebbero incontrarsi e partecipare insieme anche nella scelta di fare o non fare una guerra (di attacco o di difesa), di appoggiare una delle parti in un conflitto già in corso, di far parte di un’alleanza militare o di non entrarvi o di uscirne e optare per la neutralità. Ora vediamo la cosa più da vicino. 

Un primo punto di partenza per potersi confrontare sulla guerra con una politica eticamente fondata è senz’altro quello della fratellanza di tutti gli esseri umani, il cosmopolitismo degli stoici, l’internazionalismo che ha animato la storia del movimento operaio. Possiamo riconoscere il riflesso di questo spirito nell’articolo 11 della nostra Costituzione, il cui inizio recita testualmente: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Da qui dovrebbe nascere l’etica dei principi da attuare nei confronti degli altri popoli e quindi anche nelle decisioni che attengono alla guerra. C’è poi un secondo valore da prendere in considerazione. E’ quello della conoscenza, che nel nostro caso si traduce nell’analisi e nella comprensione delle situazioni internazionali, considerate non solo nel quadro che offrono nel presente ma anche nei processi storici che le hanno determinate e nelle loro tendenze allo sviluppo, nelle propensioni che possono dare forma al loro divenire.  Il valore della fratellanza e il valore della conoscenza sono alla base delle due etiche che abbiamo considerato, perché è chiaro che quando parliamo di guerra dovremmo essere animati da una volontà di fratellanza e al tempo stesso da un impegno alla conoscenza delle situazioni geopolitiche che di volta in volta si vanno a configurare. Per esempio, pensare la guerra in Ucraina non volgendo l’attenzione a ciò che l’ha preceduta, e quindi alle sue cause, e ignorando al tempo stesso le prospettive di futuro di tale guerra impedisce la sua comprensione e con essa una scelta consapevole della posizione da assumere in merito. Dobbiamo vedere il passato e prevedere il futuro, non limitarci a fare la fotografia del presente. 

Fatta questa premessa, approfondiamo ora il discorso etico sulla guerra. Una guerra può essere fatta per cattive intenzioni, opposte a quelle di cui ci parla la nostra Costituzione. Esistono per esempio guerre imperialiste in tutta la storia dell'umanità. Nel corso della Storia se ne sono svolte di innumerevoli. Stiamo parlando di guerre che tendono a piegare altri popoli, ad assoggettarli e a sfruttarli. Ci sono poi, peggio ancora, guerre di pulizia etnica. Per l’etica dei nostri principi queste guerre non sono nemmeno da prendere in considerazione. Non siamo per “Italy first”. Per noi in questi casi la scelta è facile: è qualcosa di abominevole. Esistono però situazioni che non sono così semplici e chiare. Vediamo quali. 

Un primo caso è quello in cui noi possiamo avere una buona intenzione senza gravissime conseguenze negative, di tipo catastrofico. Chiaramente, le conseguenze negative in una guerra sono sempre all'ordine del giorno e quindi ciò che fa la differenza è la loro portata. Qual è l'intenzione buona che giustifica in questi casi la guerra? E’ quella di difendersi da un aggressore. Stiamo parlando di una guerra difensiva, attuata da un popolo per difendere la propria indipendenza. Un esempio che vorrei fare a tal proposito è la guerra condotta dai Greci contro i Persiani.  A Maratona, nel 490 a.C., nonostante la netta inferiorità numerica dello schieramento greco, l’innovazione dello schieramento a falange, l’armamento migliore, il terreno favorevole e il sentimento civico dei cittadini in armi sconfissero l’esercito di Dario. Erodoto narra che i Greci ebbero 192 perdite, a fronte di 6400 caduti fra i Persiani che inoltre abbandonarono 60 delle loro navi. Passarono dieci anni dalla sconfitta di Dario a Maratona, quando suo figlio Serse riprese le ostilità volte a dominare la Grecia. Temistocle, però, non si fece trovare impreparato e, consapevole dell’imminente invasione, approntò una sorta di economia di guerra indirizzando al finanziamento di una potente flotta di 200 triremi l’estrazione di argento da miniere da poco scoperte. L’intento era di distruggere la potente flotta persiana lasciando così l’esercito di Serse senza appoggio marino e rifornimenti. Inoltre, per fronteggiare i Cartaginesi che si erano alleati con i Persiani si alleò con Siracusa. Come sappiamo, questa strategia globale consentì ai Greci di difendersi efficacemente dall’invasore. I Greci riuscirono a farlo senza gravi conseguenze a loro carico, senza pagare costi insostenibili. Questo è un esempio di una guerra animata da un'intenzione buona, cioè la propria indipendenza, e al tempo stesso attuata anche con un’etica della responsabilità che fece preparare accuratamente la guerra difensiva, dal punto di vista economico, militare e delle alleanze. 

Possiamo ora considerare l’esempio di una guerra che, pur giusta dal punto di vista dei principi, venne invece rifiutata alla luce di un’etica della responsabilità. L’esempio è quello della Danimarca al tempo della Seconda Guerra Mondiale. Quando la Germania decise di occupare la Danimarca e inviò al governo di questo paese un ultimatum di poche ore in cui intimava la resa, il piccolo paese evitò di schierare il suo esercito contro l’invasore. Era evidente che non aveva la forza per opporsi efficacemente all'esercito tedesco.  Fu una scelta intelligente e saggia, perché qualsiasi resistenza, per quanto eroica, avrebbe avuto come conseguenza la morte inutile di tanti danesi.  

In questa situazione storica prevalse nettamente un'etica della responsabilità, ma non è stato sempre così. Si sono verificate guerre difensive che non hanno affatto tenuto conto di un'etica della responsabilità ma solo dell’etica dei principi. Prendiamo un nuovo esempio dal mondo antico.  Prima abbiamo detto che le guerre che hanno fatto i greci per opporsi ai persiani non hanno fatto una piega, perché essi, combattendo per una giusta causa, riuscirono nettamente vittoriosi senza pagare un prezzo non troppo elevato. Passiamo dai Greci a Israele durante l'occupazione romana. Gli Ebrei fecero tre guerre contro l'occupazione romana, le cosiddette guerre giudaiche. La prima guerra giudaica, svoltasi dal 66 al 70 d.C., ci è stata narrata da un ebreo romanizzato, Flavio Giuseppe, ne “La guerra giudaica”, opera in 7 libri [2]. Sappiamo che nel 66 d.C. l'Impero Romano era al culmine della sua potenza e governava tutte le regioni del Mediterraneo. Gli Ebrei iniziarono una Guerra di Liberazione contro i Romani, evidentemente giusta dal punto di vista di un’etica dei principi ma assolutamente condannabile dal punto di vista dell’etica della responsabilità. Tanto è vero che portò alla rovina totale di quel popolo. Come afferma Giuseppe Flavio: “Si poteva perdonare il desiderio di libertà, non l’ostinazione a progetti irrealizzabili” (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, IV, 2.2.95.). Sempre secondo Giuseppe Flavio il numero complessivo dei prigionieri catturati dai Romani durante l'intera guerra fu di 97.000, poi dispersi per tutto l’impero, mentre i morti ammontavano a 1.100.000. Alla fine della guerra i Romani incendiarono Gerusalemme e abbatterono l'intera cerchia di mura della città e ne distrussero il tempio. In questo caso abbiamo un esempio molto evidente di una guerra fatta con intenzioni buone ma al tempo stesso con conseguenze catastrofiche, rovinose, senza nessuna etica della responsabilità. E’ qui interessante notare che questo tentativo del popolo ebraico di liberarsi del dominio romano si realizzò sotto la spinta del fanatismo religioso. Il fanatismo, religioso o nazionalistico che sia, sgombra il campo dalla responsabilità sociale delle scelte politiche. C'erano ebrei responsabili che si opponevano al fanatismo ma vennero combattuti, armi in mano, dalle fazioni più guerrafondaie. 

Ora facciamo un esempio di una guerra che avrebbe dovuto essere realizzata sia alla luce dell’etica dei principi che dell’etica della responsabilità. Fu invece, catastroficamente, una guerra mancata. In questo caso storico l'etica della responsabilità gioca al contrario rispetto a quello precedente. Se si fosse stati più responsabili si sarebbe fatta questa guerra perché avrebbe evitato la più grande catastrofe bellica che sia mai accaduta in tutta la storia dell'umanità. Mi sto riferendo a un episodio poco conosciuto, direi quasi per niente, ma reale e documentato. 

Nel gennaio del 1933 Hitler divenne cancelliere. In quell’anno la Germania, per le disposizioni del trattato di Versailles, aveva ancora un esercito di appena 100.000 uomini, senza armi moderne e senza aeronautica militare. Nel 1938, dopo solo 5 anni, sarebbe diventata la potenza militare più forte d'Europa. Sembra (ma la certezza del dato storico ai fini del nostro esempio svolge un ruolo secondario) che l’anno stesso dell’ascesa al potere di Hitler il maresciallo Pildudski (un altro dittatore) abbia proposto alla Francia una guerra preventiva nei confronti della Germania. I due paesi avrebbero contemporaneamente attaccato da Ovest e da Est il loro tendenzialmente pericoloso vicino. Il governo francese avrebbe dato risposta negativa, tanto più grave considerando che dopo la fine della Prima Guerra Mondiale furono proprio i Francesi i più intransigenti a imporre alla Germania sconfitta quelle condizioni di “pace” che erano in realtà condizioni di “guerra futura”. Se non ci fossero state, il popolo tedesco non sarebbe poi giunto ad accettare Hitler. Pilduski, di fronte al diniego francese si accontentò nel 1934 di un patetico decennale (!) patto di non aggressione con la Germania. Sappiamo come andò a finire. La Germania, attaccata su due fronti sarebbe probabilmente crollata e il nazionalsocialismo non avrebbe potuto spingerla verso la Seconda Guerra Mondiale. In questo caso l’etica della responsabilità richiedeva un’iniziativa bellica. La guerra, in questo caso, sarebbe stata finalizzata a evitare che la Germania attuasse il programma revanscista di Hitler. Considerando cosa era già accaduto con la Prima Guerra Mondiale non era difficile immaginare che tale programma avrebbe potuto condurre a una nuova guerra generalizzata nel cuore dell’Europa.  A seguito della Seconda Guerra Mondiale sono morte più di 60 milioni di persone. Una guerra preventiva contro la Germania avrebbe evitato tutta quella catastrofe, compreso lo sterminio degli Ebrei. Quindi vedete che quando noi analizziamo la guerra è bene applicare i due tipi di etica, della convinzione e della responsabilità, perché ci possono guidare a ben valutare la prassi da seguire e le decisioni assunte dai vari attori politici del passato e del presente. 

Etica dei principi e guerra in Ucraina

Ora però dobbiamo chiarire una cosa quando parliamo di guerra animata da buone intenzioni. Dobbiamo ricordarci che le buone intenzioni possono essere fuorviate. Anzitutto le buone intenzioni sono spesso proposte dai governanti al proprio popolo attraverso la propaganda. Quindi dobbiamo stare attenti a mantenere la nostra capacità di giudizio, di critica, perché ogni governo che va in guerra tende chiaramente a dire, al di là dell'obiettività delle cose, che il nemico è rappresentato da uno stato che vuole dominare, che è pericoloso. Si tende a mettere paura al proprio popolo anche quando i pericoli non ci sono. Una bugia ripetuta mille volte tende ad assumere le vesti della verità. Infine diventa una cosa ovvia, anche se si tratta di un’assurdità. Quindi la propaganda ci propone buone intenzioni attraverso la mistificazione dei fatti, proponendoci false rappresentazioni della realtà. Poi c'è un'altra cosa importante. Prima ho parlato di guerra preventiva. In tutta la storia dell'umanità sono esistite delle guerre preventive, ma spesso il discorso sulla guerra preventiva è frutto della propaganda. Quindi si fa credere che un altro stato è in procinto di attaccarci anche se questo non è vero e serve in realtà a giustificare l'aggressione del mio stato.  D’altra parte, altre volte si sono verificate guerre effettivamente difensive. Un generale americano ha fatto la distinzione fra guerre preventive e guerre precauzionali. Le prime si fanno verso uno stato il cui attacco nei tuoi confronti è imminente, mentre le seconde sono realizzate verso uno stato che non sta per attaccarti ma che avendo il tempo e modo di farlo, sicuramente o molto probabilmente poi lo farà. L’esempio che abbiamo fatto prima a proposito della Polonia rientra nell’ambito della guerra precauzionale. La guerra preventiva, se vera, diventa una forma di difesa. Se io so che l'altro mi attaccherà o che può mettermi sotto permanente scacco militare cercherò di liberarmi da questo tipo di situazione.

Qualsiasi stato, al di là che sia retto da una dittatura o da una “democrazia” (metto il termine fra virgolette perché troppo spesso è mistificatorio) ha interesse a non subire una minaccia esistenziale da parte di un altro stato. Ogni stato, soprattutto se si tratta di una super-potenza, vuole la sua indipendenza e vuole evitare di essere sopraffatto dagli altri. Questo lo fanno gli stati dittatoriali ma lo fanno anche gli stati democratici. Dovremmo quindi volgerci con uno sguardo realistico ai rapporti fra gli stati e in particolare fra super-potenze, dovremmo sapere come tendono a comportarsi gli uni con gli altri. Da questo punto di vista Mearsheimer ha fornito contributi importanti per consentirci di passare dal mondo illusorio dell’ideologia a quello del realismo [3]. Allora, se una super-potenza teme che uno stato contiguo divenga una base di lancio per missili nucleari di una super-potenza concorrente, può decidere di fare una guerra preventiva e attaccare lo stato-base-di-lancio. E’ quello che è successo nella guerra in corso tra Ucraina e Russia, ma meglio sarebbe dire tra NATO e Russia.  Valutando questa guerra (e qui arriviamo al presente) non possiamo semplicemente dire che la Russia ha aggredito l'Ucraina. Questo è ovvio ma non vuol dire che è il dato di partenza. Dobbiamo vedere, come dicevo prima, quali sono le cause di questa guerra e quali gli sviluppi possibili. Se noi non consideriamo tutta la sequenza dei fatti non capiamo niente. Sarebbe come accendere la televisione, guardare una scena di qualche secondo ed esprimere un giudizio su quello che sta accadendo. Si potrebbe vedere qualcuno che sta sparando a qualcun altro e dire che il primo è cattivo. Però, se si fosse visto quello che era accaduto prima ci si sarebbe potuti rendere conto che quella aggressione era in realtà una sorta di autodifesa, un modo di preservarsi, di proteggere la propria vita.  Quindi è importante vedere anche i fotogrammi che hanno preceduto quello che vediamo nel presente. Non posso giudicare una guerra vedendo semplicemente che X attacca Y, perché così non sono in grado di capire niente. La versione che quotidianamente ci viene proposta dalle televisioni è che la Russia è cattiva e l'Ucraina è buona. Noi, al seguito degli Americani (super-buoni per definizione e che come tali possono dare patenti di bontà o cattiveria a chi vogliono), dovremmo aiutare i buoni Ucraini. La prima cosa da dire è che un’Ucraina che entra nella NATO vuol dire un’Ucraina che entra in una Alleanza militare; non, ad esempio, in un partenariato economico. E’ un’organizzazione militare che esiste per fare la guerra. Poi è chiaro che definisca le proprie guerre, contrariamente all’evidenza, come guerre di stampo difensivo. E’ una organizzazione militare che detiene armi nucleari. Avere questi missili davanti alla porta di casa è avvertito dalla Russia come una minaccia esistenziale. Non è accettabile dalla Russia come non sarebbe accettabile dagli USA. Immaginiamo cosa accadrebbe se il Canada volesse allearsi con la Russia ed entrare in una alleanza militare guidata da questo paese. Immaginiamo, ancora, che se ciò avvenisse, la Russia potrebbe collocare basi di lancio dei propri missili nucleari sul confine canadese con gli USA, puntati su Washington, New York e le altre città americane. Cosa farebbero gli Stati Uniti? Accetterebbero che il Canada entrasse nell’alleanza militare con la Russia perché sarebbe scortese impedire a questo paese confinante di svolgere liberamente la sua politica estera? Naturalmente no. Invaderebbero subito il Canada per impedirgli di attuare questo progetto. Sono scelte indipendenti dal tipo di governo dello stato minacciato. Sono scelte che dipendono da una logica di sicurezza che seguono tutte le superpotenze. Dobbiamo essere realisti. Se al posto di Putin ci fosse stato un altro capo di stato, avremmo avuto una identica reazione russa. Tant'è vero che quando si sciolse il Patto di Varsavia, Gorbaciov si fece promettere dagli Americani che non avrebbero incorporato nella NATO tutti gli stati che prima ne facevano parte. Gli Americani dissero di sì ma impegnandosi solo verbalmente, senza nessun patto scritto. In seguito, La NATO ha fatto esattamente il contrario, inglobando tutti questi paesi, ad eccezione della Bielorussia, dell’Ucraina e della Georgia. Infatti, in una progressiva avanzata verso Est la NATO ha inglobato l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria. Per quanto riguarda specificamente l’Ucraina, la crisi parte nell'aprile 2008, dal vertice NATO di Bucarest, quando l'amministrazione di George W. Bush ha spinto l'alleanza militare ad annunciare che l'Ucraina e la Georgia ne sarebbero divenute membri. Nonostante le proteste della Russia, che si sentiva minacciata, gli USA hanno continuato a spingere in avanti il processo che avrebbe portato all'adesione dell'Ucraina alla NATO. A tal fine hanno promosso il colpo di stato del 2014 che spinse alla fuga il presidente ucraino Viktor Yanukovych. In risposta Crimea e regioni orientali del Donbass si staccarono dall'Ucraina. Nel dicembre 2017 l'amministrazione Trump ha deciso di vendere armi a Kiev, così come in seguito hanno iniziato a fare anche altri paesi NATO. Il passo successivo è stato quello di far partecipare le forze armate ucraine a esercitazioni aeree e navali congiunte. Nel luglio 2021, per esempio, Ucraina e America hanno svolto congiuntamente una grande esercitazione navale nel Mar Nero (l'operazione Sea Breeze) che ha visto il coinvolgimento delle marine di 32 paesi. I legami tra Ucraina e America hanno continuato a crescere sotto l'amministrazione Biden, portando al documento della "Carta USA-Ucraina sul partenariato strategico", volto ad attuare la piena integrazione dell'Ucraina nella NATO. La Russia ha allora chiesto una garanzia scritta che l'Ucraina non sarebbe mai entrata a far parte della NATO. La risposta di Blinken, il segretario di Stato americano, è stata: "Non ci sarà alcun cambiamento". Un mese dopo, per eliminare la minaccia della NATO, Putin ha lanciato l’invasione dell'Ucraina.

A riprova delle intenzioni ostili degli USA nei confronti della Russia, si consideri un documento scritto dalla RAND Corporation, una grande istituzione di studi strategici che fa consulenza per il governo americano. La RAND Corporation quattro anni fa ha scritto un rapporto commissionato dall'esercito americano [4]. In esso si presenta un piano dettagliato volto a sfibrare la Russia con varie strategie. Vi si vede con chiarezza l'atteggiamento aggressivo di uno Stato nei confronti di un altro. I suggerimenti sono molteplici. Qui basti menzionare quelli che hanno avuto maggior seguito nella politica americana. Per ridimensionare i proventi delle esportazioni della Russia e quindi abbassare i suoi bilanci nazionali e in particolare il budget destinato alla difesa, viene suggerita l'imposizione di sanzioni più severe di quelle che erano già in atto ma a condizione che esse fossero globali e multilaterali, coinvolgendo come minimo l'Unione europea, considerata il più grande cliente della Russia e la più grande fonte di tecnologia e capitale, più grande sotto tutti questi aspetti rispetto agli Stati Uniti. Viene poi consigliato di aumentare la capacità dell'Europa di importare gas da fornitori diversi dalla Russia grazie alla costruzione di impianti di rigassificazione per il gas naturale liquefatto (GNL). Anche questo, viene precisato, avrebbe potuto sfibrare economicamente la Russia e attenuare la dipendenza dell’Europa dall’energia russa. Si indica, inoltre, la fornitura di aiuti militari all'Ucraina, che avrebbe sfruttato quello che veniva considerato il più grande punto di vulnerabilità esterna della Russia. Nel documento si precisa inoltre che qualsiasi aumento nella fornitura di armi e consulenza militare statunitense all'Ucraina avrebbe dovuto essere attentamente calibrato al fine di aumentare i costi sostenuti dalla Russia (detti “impegno a esistere”) senza provocare un conflitto molto più ampio in cui la Russia, data la sua stessa vicinanza all’Ucraina, avrebbe goduto di notevoli vantaggi. 

Tutto era quindi già programmato da tempo ed è chiaro che la guerra in Ucraina non solo ha svolto la funzione di indebolire direttamente la Russia (già von Clausewitz nel suo famoso trattato sulla guerra parla anche della strategia di sfiancare il nemico) ma ha giustificato e condotto sia a un incremento progressivo delle sanzioni, sia a volgere l'Europa verso rifornimenti energetici di gas dagli Stati Uniti. E infatti i Russi hanno detto: “Non possiamo accettare un’Ucraina che appartenga alla Nato perché per noi ciò costituirebbe una minaccia esistenziale”. Quando si parla di minaccia esistenziale si intende non soltanto la possibilità di essere distrutti da un attacco militare ma anche di non essere più effettivamente indipendenti, di non poter ancora fare le proprie scelte politiche in una condizione di effettiva autonomia operativa. Infatti, le tue scelte vengono ad essere condizionate quando sei minacciato troppo da vicino.  L’Ucraina, proprio per la sua volontà di entrare nella NATO (spinta a questo obiettivo velleitario dalla propaganda statunitense), si trova coinvolta in una guerra per procura, per procura degli USA.  Il popolo ucraino si è trovato coinvolto in una guerra degli USA contro la Russia, che mirava a indebolire quest’ultima risparmiando però i sodati americani. Questa è una guerra che gli USA non possono permettersi di combattere direttamente, perché in tal caso si potrebbe trasformare troppo facilmente in una guerra nucleare che porterebbe alla MAD, la Mutual Assured Destruction, che, ovviamente non è negli interessi degli USA. Per questo motivo non è sembrato vero ai politici americani avere a disposizione un popolo che si immolasse per loro, un personaggio uscito fuori da una serie televisiva che guidasse questo popolo al massacro per interessi che stavano oltreoceano. Come in una partita a scacchi, la Russia è stata posta sotto scacco. Per salvare il Re, cioè la propria sicurezza esistenziale, ha dovuto sacrificare altri pezzi importanti. Ogni sua decisione avrebbe comportato un vantaggio per gli USA; sia nel caso in cui si fosse coinvolta in una guerra con l’Ucraina (come poi è accaduto), sia se avesse escluso questa opzione e avesse accettato l’entrata dell’Ucraina nella NATO. Tra l’altro l'Ucraina è un paese che ha contese territoriali (vedi Crimea e Donbass) con la Russia e la NATO prevede che qualora venisse aggredito uno dei paesi ad essa aderenti, l’alleanza nel suo insieme interverrebbe a sua difesa. Occorre ricordare, dunque, che l’invasione russa dell’Ucraina è stata preceduta dall’invasione dello spazio di sicurezza della Russia da parte del progetto ucraino-statunitense di entrata dell’Ucraina nella NATO. Se si invade lo spazio di sicurezza di un altro paese questo è ovviamente spinto a prendere delle contromisure. Poi, nella misura in cui la componente diplomatica di tali misure risulta fallimentare, non può non acquisire di conseguenza maggior peso quella militare. La risposta russa allo scacco americano prescinde da Putin e dalla natura del suo regime. Un altro regime e un altro governo, posti di fronte allo stesso scacco, al medesimo dilemma, e cioè “accettare una permanente minaccia esistenziale e intervenire militarmente al fine di sventarla”, avrebbe con ogni probabilità fatto le stesse scelte. La responsabilità di questa guerra è tutta americana, ucraina, europea, inglese e della NATO. La propaganda ci dice che la Russia ha fatto la guerra per mire espansionistiche dettate dalla cattiveria e dalla follia di Putin; che avrebbe voluto conquistare tutta l'Ucraina per poi, dopo aver raggiunto i suoi confini occidentali, mirare oltre, agli altri paesi che in passato facevano parte della sua zona di influenza. Queste, naturalmente, sono stupidaggini. All’inizio del conflitto la Russia ha schierato un esercito manifestamente insufficiente per conquistare l’Ucraina. Inoltre, non dispone né delle forze convenzionali né, soprattutto, dell’economia a partire da cui potersi permettere le ambizioni espansionistiche che le vengono attribuite. L'intenzione russa era evidentemente quella di bloccare l'entrata dell'Ucraina nella NATO e da questo punto di vista la loro guerra è già vittoriosa. Infatti, far entrare nella NATO un paese che è in guerra con la Russia significherebbe dichiarare la Terza Guerra Mondiale. E’ interessante notare che la RAND Corporation, che prima ho citato per dimostrare le generali intenzioni ostili degli USA nei confronti della Russia, comprendenti il progetto di coinvolgerla in una nuova corsa agli armamenti al fine di logorarla con l’aumento dei costi da essa sostenuti per attuare il suo impegno a esistere, è nuovamente intervenuta con un nuovo rapporto. In quello precedente aveva già messo in guardia il governo americano dal pericolo di “provocare un conflitto molto più ampio in cui la Russia, per vicinanza, avrebbe goduto di notevoli vantaggi”. In un rapporto recente [5], stilato mentre la guerra in Ucraina era in corso, La RAND Corporation invita il governo degli Stati Uniti a darsi come obiettivo la fine della guerra in Ucraina, perché “una volta esaurite le altre opzioni convenzionali di escalation, Mosca potrebbe ricorrere alle armi nucleari, e in particolare all'uso di NSNW (Non-Strategic Nuclear Weapons)”, cioè armi nucleari non strategiche. Il rapporto continua affermando che “l'uso russo di armi nucleari in Ucraina avrebbe effetti ampi e imprevedibili sulle politiche alleate verso la guerra in corso, portando potenzialmente a una rottura dell'unità transatlantica” e sottolineando che “l'uso del NSNW russo in Ucraina potrebbe portare a un conflitto diretto degli Stati Uniti con la Russia, che a sua volta potrebbe alla fine evolversi in uno scontro nucleare strategico”. Il nuovo rapporto invita il governo americano a considerare che “la durata della guerra è direttamente correlata alle due contingenze di escalation discusse in precedenza (possibile uso russo di armi nucleari e possibile escalation in un conflitto Russia-NATO)” e continua dicendo che “finché la guerra continuerà, il rischio di entrambe le forme di escalation rimarrà elevato. Il rischio sarà drammaticamente più basso quando la guerra finirà. Pertanto, l'interesse fondamentale degli Stati Uniti a ridurre al minimo i rischi di escalation dovrebbe aumentare l'interesse degli Stati Uniti ad evitare una lunga guerra”. 

Tornando ai discorsi di propaganda con cui i governi dei paesi appartenenti alla NATO giustificano la guerra agli occhi dei loro popoli, viene detto che l'Ucraina è un paese che lotta per difendere la propria democrazia dall’autocrazia russa. Indubbiamente la Russia è un paese oligarchico e dispotico. D’altra parte, l’Ucraina non è certamente più democratica. Riporto alcuni dati. In Ucraina c'era un Partito Comunista che subito dopo il colpo di stato fomentato dagli Stati Uniti venne messo fuori legge. In seguito, il governo di Zelensky ha messo fuori legge tutti i partiti di opposizione ad eccezione del partito di estrema destra Svoboda. In particolare, sono stati banditi: il Partito Socialista d’Ucraina, il Partito dei Socialisti, l’Unione delle Forze di Sinistra, l’Opposizione di Sinistra, il Partito Socialista Progressista, il Partito Socialdemocratico d’Ucraina (unito), la Piattaforma dell’Opposizione – per la vita, il Partito della Sharia, “Our”, il Partito delle Regioni, il Blocco d’Opposizione, Derzhava, Vladimir Saldo Block. 

Questi sono gli interventi legali assunti contro i partiti di opposizione dal governo ucraino. A fianco della messa al bando delle opposizioni c’è poi l’azione criminale svolta da varie organizzazioni fasciste, volta a colpire e terrorizzare tutti coloro che dissentono dalla politica governativa. Entrate nei ranghi dello stato ucraino, hanno agito contro tutti coloro che hanno tentato di opporsi alla demolizione delle garanzie democratiche iniziata con il colpo di stato del 2014. Ben noto è il Battaglione Azov, che è stato integrato nella Guardia Nazionale Ucraina. Altre formazioni armate di stampo fascista (Donbass, Dnepr 1 e Dnepr 2) sono finanziate dall’oligarca Ihor Kolomoisky, presidente della maggiore banca ucraina (la Privat Bank) e proprietario del canale televisivo 1+1 che ha mandato in onda la serie che aveva come protagonista Zelensky e attivo promotore di tutta la campagna elettorale di quest’ultimo. 

Per quanto riguarda la democratica libertà di espressione, il governo ucraino ha privato delle licenze di trasmissione tre canali televisivi e ha fatto chiudere un giornale, il Kyiv Post.

Diritti civili? Il diritto civile di utilizzare la propria lingua, quando questa è il russo - e cioè una lingua parlata all’incirca nella stessa misura dell’ucraino e quella decisamente prevalente nelle regioni orientali del paese - è stato violato dalla legge varata dal parlamento ucraino nel 2019, che limita drasticamente l’utilizzo del russo nella sfera pubblica. 

Libertà religiosa? Il "Servizio statale per l'etnopolitica e la libertà di coscienza” (sic!) per garantire "l'indipendenza spirituale dell'Ucraina" ha iniziato una persecuzione religiosa nei confronti della Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca, cui fa riferimento il 12 per cento dei credenti del paese. Ciò si è manifestato per esempio con disposizioni di sgombero e con espropriazione di terreni.

Etica della responsabilità e guerra in Ucraina

L’etica della responsabilità è totalmente assente dalle decisioni politiche e dalla propaganda occidentale. L’Ucraina è distrutta: milioni di cittadini ucraini sono fuggiti dal paese; altri milioni sono sfollati all’interno dei confini della nazione; molte decine di migliaia sono morti o gravemente feriti; l’economia è allo sfascio completo; le infrastrutture sono andate largamente distrutte; la ricostruzione del paese, quando avverrà, dovrà alimentarsi di un debito spaventoso; già ora il funzionamento di uno stato completamente in default richiede ogni mese aiuti per miliardi di dollari; la scuola e la sanità sono in condizioni disastrose. E’ questa la “gloria all’Ucraina”? 

Mettendo tra parentesi l’etica dei principi (che, come abbiamo visto è insostenibile dal punto di vista ucraino e occidentale), quale etica della responsabilità dimostra di avere un governo che porta la propria nazione a tale catastrofe? Sarebbe un’etica irresponsabile anche se i principi fossero stati giusti. Questa è una guerra ingiustificata sia dal punto di vista di un’etica dei principi sia da quello di un’etica della responsabilità. L'etica della responsabilità ci porta a considerare anche altre conseguenze negative che originano da questa guerra sciagurata. Ci sono, infatti, conseguenze che riguardano non soltanto l'Ucraina ma anche noi. Anzitutto la guerra ha causato un forte aumento dei prezzi dell'energia che a sua volta ha alimentato una crescita enorme dell’inflazione, mai vista da decenni. Notoriamente l'inflazione colpisce soprattutto i ceti sociali più bassi, i pensionati, le persone che hanno uno stipendio e che non possono compensare in alcun modo la perdita del potere d’acquisto. La seconda conseguenza è che è stata ancor più compromessa la vera lotta che avrebbe dovuto essere combattuta: quella contro il riscaldamento climatico. Oggi viene ancor più ignorata e anche in Germania ci si rivolge nuovamente al carbon fossile come sorgente energetica. C'è una terza conseguenza che dobbiamo prendere in considerazione: l’aumento del rischio di una Terza Guerra Mondiale e il suo eventuale sviluppo come guerra nucleare. Abbiamo visto che questa conseguenza viene presa seriamente in considerazione anche dalla RAND Corporation.  

Sappiamo bene che né i Russi né gli Americani vogliono scontrarsi in una guerra nucleare. D’altra parte, quando si fa una guerra si sa come la si inizia ma si ignora come potrebbe evolversi e concludere (a parte casi come quello dell’invasione americana della piccola isola caraibica di Grenada). La guerra, lo diceva anche von Clauswitz, è qualcosa in cui la fortuna, la casualità, l’imprevedibile gioca un grandissimo ruolo [6]. La nebbia della guerra può far vedere un esito nucleare quando ormai è troppo tardi per evitarlo. La guerra atomica strategica tende a nascere come esito non voluto, non programmato degli sviluppi bellici. Graham Allison illustra bene come ciò potrebbe verificarsi [7]. Prende ad esempio in considerazione i fattori che accelerano l’escalation. Uno dei contendenti potrebbe mettere in atto azioni di guerra cibernetica che con un assalto informatico mirerebbero ad “accecare” il nemico, cioè a mettere fuori uso i suoi sistemi di comando e controllo. Ciò potrebbe innescare la dinamica dell’“obbligo di utilizzo pena la perdita definitiva” in cui ognuno degli stati combattenti è portato ad attaccare la rete dei computer dell’altro prima che questi lo faccia a sua volta. D’altra parte, fare ciò causerebbe una nebbia molto più intensa che andrebbe ad abbassare, per paura di essere colpiti per primi, la soglia di utilizzo delle armi nucleari strategiche. Un analogo ruolo accelerante potrebbe essere giocato anche dalle armi antisatellite (missili o laser), attraverso le quali verrebbero compromesse le capacità di inoltrare ordini alle proprie forze sul campo, di conoscere la posizione delle proprie unità e di quelle del nemico sul campo di battaglia, di guidare con precisione le proprie munizioni verso gli obiettivi nemici.

Che fare? 

L’etica dei principi ci dice che è questa guerra è indifendibile, l’etica della responsabilità ci chiede di fermarla al più presto per interromperne tutte le conseguenze nefaste che ne sono originate e che possono ancora essere prodotte. Fra queste ultime, soprattutto, una catastrofica guerra nucleare. Purtroppo, l’Italia, così come gli altri paesi dell’Unione Europea, si è passivamente accodata alla linea bellicista degli USA. Il nostro paese non è in grado di fermarla direttamente, come potrebbero fare gli USA se interrompessero il flusso di aiuti economici e militari indirizzati all’Ucraina. Può, però, mettere in atto una serie di azioni che possono attivare un processo europeo di uscita dalla traiettoria attualmente seguita dallo schieramento bellicista UE-NATO. Si tratta cioè di assumere iniziative che facciano da modello agli altri popoli e che, grazie alla loro mobilitazione, portino i governi europei a recedere dalla linea finora seguita.

Occorre anzitutto bloccare l’invio italiano di armi all’Ucraina. Poi è necessario, interrompere la partecipazione italiana alle sanzioni deliberate contro la Russia, che costituiscono sia un atto ostile verso la Russia, sia un’azione di autosabotaggio economico da parte dell’Europa e dell’Italia; azione che non si accompagna certamente a una riconversione verde della nostra politica energetica ma solo alla sostituzione dell’acquisto di economico gas russo con il ben più costoso gas liquido americano. Ne “Le conseguenze economiche della pace”, John Maynard Keynes, uno dei più grandi economisti del ‘900, scrisse delle pagine molto istruttive sulle sanzioni che dopo la fine della Prima Guerra Mondiale i paesi occidentali imposero alla Russia comunista. Affermava: “Il blocco della Russia recentemente proclamato dagli Alleati è perciò un provvedimento stolido e miope: blocchiamo non tanto la Russia quanto noi stessi” [8]. E siccome vedeva nella Germania il partner commerciale ideale della Russia, continuava dicendo. “Tanto miglior successo avremo nel troncare i rapporti economici tra Germania e Russia, tanto più deprimeremo il livello delle nostre condizioni economiche e aggraveremo i nostri problemi interni” [8]. Oggi, a distanza di un secolo, la situazione non è molto diversa. La stessa RAND Corporation afferma nel suo ultimo rapporto sulla guerra in Ucraina che “Lo scoppio della guerra ha causato un forte aumento dei prezzi dell'energia che a sua volta ha contribuito all'inflazione e al rallentamento della crescita economica a livello globale. Si prevede che queste tendenze colpiranno più duramente l'Europa” [5].  Queste conseguenze sono pagate dall’Europa e non dagli USA. In particolare, questa guerra ha gravemente danneggiato oltre alla Russia anche la Germania e l’Europa. La Germania era il maggior interlocutore economico della Russia. La Germania ha bisogno del gas russo così come la Russia ha bisogno della tecnologia tedesca. La Merkel si era spesa tanto per portare avanti il progetto di una intesa economica sempre più forte fra i due paesi. Come ha ben chiarito Ernesto Screpanti, l’accanimento americano a far entrare l’Ucraina nella NATO e quindi la costrizione esercitata verso la Russia a iniziare operazioni belliche contro la stessa Ucraina può essere letta come una strategia volta non solo a indebolire la Russia ma anche la Germania con il suo impero neo-mercantilista europeo (che Screpanti chiama “Germaneu”) [9]. “Nell’ultimo quarto di secolo si è venuta a creare una robusta complementarità tra Russia e Germaneu. Funziona così: la Russia esporta prodotti agricoli e minerari e reimporta prodotti finiti e beni capitali. È un rapporto di simbiosi che si è andato rafforzando nel tempo, al punto che oggi nessuno dei due paesi può crescere a ritmi sostenuti senza il contributo dell’altro” [9]. Pertanto, la guerra ha avuto un effetto dirompente su quel legame economico fra Europa e Russia che avrebbe potuto svilupparsi mettendo in crisi l’egemonia americana. La volontà del governo americano di bloccare il rapporto fra Germania e Russia si è espressa anche sul piano militare, con il sabotaggio del Nord Stream 1 e 2. La costruzione di quest’ultimo, fortemente voluta dalla Germania, era finita nel 2021. Sia Biden che Victoria Nuland, sottosegretario di Stato per gli affari politici nella sua amministrazione, avevano affermato chiaramente che il Nord Stream 2 non ci sarebbe più stato se la Russia avesse invaso l’Ucraina. Come noto, la paternità di questo atto di guerra è stata confermata, se mai ce ne fosse bisogno, dall’inchiesta del giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh.

Naturalmente c’è un terzo obiettivo, in prospettiva, da perseguire: quello dell’uscita dell’Italia dalla NATO, che oltre a manifestare sempre più chiaramente la sua natura di coalizione offensiva, mette a rischio la nostra sicurezza nella misura in cui espone il nostro paese al rischio di un attacco nucleare qualora lo scenario diventasse quello di uno scontro diretto NATO-Russia. L’Italia non solo fa parte della NATO ma ha dislocate sul suo territorio decine di basi militari dell’Alleanza Atlantica. In due fra queste sono collocati almeno 70 ordigni nucleari americani. Si tratta della base di Ghedi (BS) e di quella di Aviano (Pn). Per salvaguardare la sicurezza della nazione non è necessario che la guerra nucleare divenga probabile, basta che sia, come è attualmente divenuta, possibile. Per non giocare alla roulette russa non è necessario sapere che la maggior parte delle camere da scoppio sia caricata con un proiettile. Basta che una sola lo sia. Ci si dirà che nel caso della pistola le probabilità sono piuttosto alte visto che il tamburo della pistola in genere contiene sei camere da scoppio. E, facendo un esperimento mentale, quando si accetterebbe la scommessa? Con 12 camere? Con 30? Con 50? Con 100? E con quante camere lo si accetterebbe se la pistola fosse puntata alla tempia di un figlio? Ricordiamoci che una guerra nucleare non risparmierebbe i bambini. 

Inoltre, già si annuncia quale sarà il prossimo nemico da combattere: la Cina. Questo paese, come la Germania con il suo impero neo-mercantilista europeo, minaccia il ruolo di potenza egemone degli Stati Uniti e il nuovo ordine mondiale stabilito dagli Stati Uniti. Il rischio, sempre più probabile, è che si cada in quella che Allison ha chiamato “trappola di Tucidite”: “quel notevole stress strutturale che si verifica ogni volta che una potenza in ascesa minaccia di rovesciare quella dominante” [7]. Allison ha così chiamato quell’attrattore storico che porta due potenze allo scontro militare in onore dello storico greco che analizzando la guerra del Peloponneso mise in luce come essa si fosse trasformata in destino a causa della “crescita della potenza ateniese e il timore che ormai incuteva agli spartani” [10]. Nel vertice di Madrid del 28-30 giugno 2022 la NATO si è data le linee guida per il prossimo decennio. Il documento strategico così recita al punto 13: “Le ambizioni dichiarate e le politiche coercitive della Repubblica popolare cinese (Rpc) sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori. La Rpc utilizza un’ampia gamma di strumenti politici, economici e militari per aumentare la sua influenza globale e la sua proiezione di potenza, pur rimanendo opaca sulla sua strategia, intenzioni e crescita militare. Le operazioni ibride e informatiche dannose della Rpc, la sua retorica conflittuale e la disinformazione prendono di mira gli alleati e danneggiano la sicurezza dell’Alleanza. La Rpc cerca di controllare settori tecnologici e industriali chiave, infrastrutture critiche, materiali strategici e catene di approvvigionamento. Utilizza lo strumento dell’economia per creare dipendenze strategiche e aumentare la sua influenza. Si sforza di sovvertire l’ordine internazionale basato su regole, anche in ambito spaziale, cibernetico e marittimo. L’approfondimento della partnership strategica tra la Repubblica popolare cinese e la Federazione russa e i loro tentativi che si rafforzano a vicenda per minare l’ordine internazionale basato sulle regole sono contrari ai nostri valori e interessi”. Va notato che a questo vertice la NATO ha invitato anche quattro paesi che non ne fanno parte ma che hanno rapporti di vicinanza geografica con la Cina: Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.  E’ di tutta evidenza il senso di questo testo e la nuova prospettiva offensiva che si sta aprendo nei confronti del grande paese asiatico. Oggi la Terza Guerra Mondiale è diventata una reale possibilità. Per questa ragione, affinché l’Italia resti fuori dalla guerra e la guerra fuori dall’Italia, si pone all’ordine del giorno, con più forza di quanto non potesse essere in precedenza, l’uscita del nostro paese dalla NATO. 

 

Bibliografia:

[1] Weber M. (1919), La scienza come professione. La politica come professione, Einaudi, Torino, 2004.

[2] Giuseppe Flavio (1997), La Guerra Giudaica, Mondadori, Milano, 1997.

[3] Mearsheimer J.J. (2014), The Tragedy of Great Power Politics. Trad. it. La tragedia delle grandi potenze. Luiss University Press, Roma, 2019.

[4] RAND Corporation (2019), Overextending and Unbalancing Russia. Assessing the Impact of Cost-Imposing Options.

[5] RAND Corporation (2022), Avoiding a Long War. U.S. Policy and the Trajectory of the Russia-Ukraine Conflict.

[6] von Clausewitz C. (1832) Vom Kriege. Trad.it. Della guerra. Einaudi, Torino, 2007

[7] Allison G. (2017), Destined for War: Can America and China escape Thucydite’s Trap? Trad. It. Destinati alla Guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidite? Fazi editore, 2018.

[8] Keynes J.M, (1919), The Economic Consequences of the Peace. Trad. it. Le conseguenze economiche della pace, Adelphi edizioni, 2007. 

[9] Screpanti E. (2022), Ucraina: la guerra di Putin, la guerra di Biden, Contropiano, ottobre 2022

[10] Tucidite (1996), La guerra del Peloponneso, Einaudi-Gallimar, Torino. 

 

24/06/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Claudio Lalla

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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