Le violazioni dei diritti umani in Cile

Un viaggio tra i numeri e le storie delle sistematiche violazione dei diritti umani del popolo cileno, la responsabilità del governo di Piñera, ed il silenzio assordante delle istituzioni e dei media italiani ed europei.


Le violazioni dei diritti umani in Cile

In Cile siamo ormai alla sesta settimana di ribellione popolare. Una rivolta caratterizzata da rumore di pentole, canti, cartelli e massiccia partecipazione cittadina ma anche da una brutale repressione e da terribili violazioni dei diritti umani.

È giusto, per completezza, citare episodi di vandalismo, saccheggi ed incendi; essi sono purtroppo fisiologici in un clima di proteste in cui, tra l’altro, le istituzioni sembrano più preoccupate di disperdere i manifestanti e di proteggere la proprietà privata del grande capitale (i Mall, le banche, le grandi catene multinazionali) che di difendere i beni pubblici (metro, strade, municipi, ospedali) ed i piccoli esercizi commerciali, lasciati spesso scoperti. Si registra in una buona fetta della popolazione il forte sospetto che, in qualche caso, certi episodi siano quantomeno “pilotati”, e del resto in questo clima non ci sarebbe bisogno di interventi diretti per farlo: gli eventi, in un contesto del genere, potrebbero essere perfettamente indirizzati anche solo “per omissione”.

È indubbio, comunque la si pensi, che questi accadimenti portino acqua al mulino del sistema di potere attualmente egemone, favorendo la “narrazione” ufficiale di una repressione forse eccessiva ma in qualche modo giustificata dalla violenza di alcuni manifestanti. È utile quindi ricordare ed aggiornare ancora una volta i numeri pubblicati dall’Istituto Nazionale per i Diritti Umani cileno (INDH) sulle vittime della brutalità di Stato: 2.808 feriti, 6 denunce per omicidio e 7 per tentato omicidio, 79 denunce per violenza sessuale e 369 per torture e crudeltà [1].

Tra i dati, ha fatto scaturire molte polemiche il record mondiale di 232 persone ferite agli occhi soprattutto a causa dei famigerati “perdigones”: uno studio dell’Università del Cile ha rivelato che questi proiettili sono composti solo al 20% di gomma, ed il resto da cilicio, piombo e solfato di bario [2]. Di fronte al clamore mediatico, il direttore generale dei Carabineros Mario Rozas ha ammesso che l’istituzione non era a conoscenza della composizione dei proiettili ed ha annunciato che il suo uso verrà proibito nelle manifestazioni eccetto che in caso di pericolo di vita.

Amnesty International ha però sottolineato in conferenza stampa come questi numeri rappresentino solo la punta di un iceberg tra i molti casi probabilmente non denunciati od ignoti. Ha evidenziato inoltre che, più che sulla composizione chimica dei proiettili utilizzati, si debba riflettere sull’uso indiscriminato che ne è stato fatto sparando ad altezza d’uomo, a distanza ravvicinata, quasi mai in casi di pericolo di vita (come prevederebbero le norme internazionali) e spesso neanche per legittima difesa ma come forma di dispersione dei manifestanti.

Secondo l’associazione infatti, “Le forze di sicurezza sotto il comando del presidente Sebastian Piñera sono responsabili di attacchi generalizzati e dell’uso di una forza non necessaria ed eccessiva con l’obiettivo di colpire e punire i manifestanti”. In merito alle responsabilità delle istituzioni, inoltre, Amnesty dichiara che “Il livello di coordinamento richiesto per sostenere la repressione violenta delle proteste nel corso di un mese fa ragionevolmente concludere che vi siano responsabilità ai più alti livelli per aver ordinato o aver tollerato la repressione. […] La decisione del presidente Piñera di far scendere in strada l'esercito dopo aver imposto lo stato di emergenza ha avuto conseguenze catastrofiche. Sia il comando che ha deciso di usare l'esercito per controllare le dimostrazioni con armi letali, sia gli ufficiali che hanno sparato sui dimostranti e che li hanno uccisi o gravemente feriti, devono essere indagati e, se vengono trovate prove sufficienti contro di loro, processati da un tribunale indipendente e imparziale” [3].

È sempre bene illustrare i dati, per avere ben presente le dimensioni di un fenomeno. Ma dietro di essi, come sapete ci sono delle sofferenze di persone in carne ed ossa. Oggi voglio presentarvene qualcuna.

Gustavo Gática, universitario di 21 anni e fotografo amatoriale, è stato colpito da proiettili “perdigones” ad entrambi gli occhi. Successivamente ha dichiarato di volerli regalare, per far svegliare la gente. Durante questa settimana, i medici della clinica dove è ricoverato hanno confermato che il giovane ha perso completamente la vista.

Fabiola Campillay, 36 anni, lavoratrice e madre di un bambino di 8 anni, stava andando al lavoro, alla fabbrica di pasta. Erano le 20:30 circa, aveva il turno di notte. Nel tragitto ha trovato una manifestazione ed è stata colpita in pieno volto da una bomba lacrimogena, che ha causato anche a lei la perdita di entrambi gli occhi.

José Maureira, studiante di medicina di 23 anni, attirato in un supermercato da grida di aiuto, è stato arrestato dai carabinieri e – dopo essere stato denigrato e costretto ad ammettere la propria omosessualità - è stato torturato, violentato con un manganello e minacciato di morte.

Alex Nuñez, 39 anni, uscito durante il coprifuoco per andare a vedere una manifestazione nel suo quartiere, Maipú, è morto dopo essere stato percosso dalla polizia alla testa, alle gambe ed al torace.

Perfino una ragazza incinta di 21 anni (che ha scelto l’anonimato) ha ricevuto percosse durante un’irruzione illegale (senza mandato) delle forze dell’ordine nel suo domicilio.

Il “rigore della legge” non risparmia neanche i minori; tra i tanti, ricordiamo il caso di una bambina di 7 anni, anch’essa colpita da un manganello. Human Rights Watch, del resto, segnala che “tra le accuse più frequenti c’è quella di Carabineros che obbligano i detenuti, bambine e bambini inclusi, a spogliarsi completamente nudi ed a fare flessioni”.

Di fronte a storie strazianti, numeri contundenti ed alle denunce di associazioni che non possono certo essere tacciate di bolscevismo, la risposta delle autorità dimostra non solo un cinismo che lascerebbe chiunque senza parole, ma perfino una sorprendente sfacciataggine – a riprova di relazioni di forza interne decisamente squilibrate.

Il generale Enrique Bassaletti ha paragonato la rivolta sociale in corso ad un cancro in cui per uccidere le cellule tumorali maligne bisogna sacrificarne anche alcune sane. Il senatore Andrés Allamand, del partito Renovación Nacional, ha giustificato le violazioni ai diritti umani dicendo che “senza di esse è impossibile normalizzare il paese”.

A volte, quelle poche in cui i media italiani riportano notizie sul Cile, si ha quasi l’impressione che la “rivolta sociale” e la conseguente repressione di stato siano una specie di cataclisma naturale, quasi fosse un fenomeno meteorologico. Per cui - oltre alla sacrosanta denuncia delle violazioni ai diritti umani - è anche bene ricordare che tutte le persone che hanno ricevuto violenze o torture, perso la vista o perfino la vita manifestando, lo hanno fatto perché chiedevano un cambio profondo al modello economico cileno. Ed è fondamentale sottolineare che la reazione su vari fronti – quella della violenza repressiva ma anche la manipolazione dell’informazione da parte di giornali e TV mainstream - risponde alla stessa logica: quella della conservazione dei privilegi e del potere del famoso 1%, che ha imposto al mondo questo livello di capitalismo e di liberismo becero e sfrenato in cui viviamo oggi, e che su di esso conta per moltiplicare le proprie ricchezze, generate sempre più da rendite e sempre meno dal lavoro. Causando enormi disuguaglianze e squilibri economici che su La Città Futura abbiamo segnalato in tempi non sospetti - mentre la grancassa mediatica elogiava il miracolo cileno - e che, prima o poi, presentano inevitabilmente il conto.

Ricordare tutto questo è doveroso, anche come forma di rispetto per la memoria di quelle persone che si sono sacrificate per un mondo migliore. Non possono bastare le candele che accendiamo accanto alle loro foto tutte le sere, in Plaza de Ñuñoa; dobbiamo onorarli anche e soprattutto ricordando le ragioni della loro lotta, e portarla avanti fino a quando qualcosa non cambi per davvero.

Le motivazioni della repressione sono uguali e contrarie: i fondi pensione gestiti dalle famigerate AFP, le assicurazioni sanitarie (ISAPRES), ma anche le scuole o le università private ed il saccheggio delle risorse naturali, generano guadagni enormi a spese dei cittadini cileni i quali vedono negati i loro diritti fondamentali in campo sociale ed economico, vero veicolo verso un’esistenza più dignitosa. È bene tener presente che quella che stiamo raccontando non è una faccenda da “terzo mondo”, lontana da noi; perché nessuno, la storia lo insegna, rinuncia facilmente ad enormi profitti o al potere. Per cui, se volete veramente cambiare le cose, allora preparatevi.

Sembra purtroppo, rispetto alle chiare denunce che abbiamo visto, andare nella direzione opposta la lettera aperta di una importante rappresentante del governo italiano, la viceministro degli Esteri Marina Sereni (PD), pubblicata sul giornale cileno El Mercurio dopo il viaggio istituzionale in Cile tra il 5 de il 7 di novembre – tra l’altro la prima visita ufficiale nel paese di un esponente politico europeo di un certo livello. Nel “messaggio di vicinanza al popolo ed alle istituzioni” cilene, non si parla apertamente di violazioni dei diritti umani - nonostante gli aberranti numeri appena esposti - ma genericamente di “violenza” e di “pace” e si apprezza addirittura l’operato del governo cileno, il quale come abbiamo visto è additato da istituzioni indipendenti ed autorevoli come responsabile di atrocità che pensavamo appartenere ad un passato buio ormai lasciato alle spalle.

“Desidero sottolineare fermamente l’importanza di respingere ogni tipo di violenza. Il fatto che il Governo cileno abbia invitato gli osservatori dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani deve considerarsi un atto di rigore e di forza della democrazia cilena.” Nella lettera si invita inoltre, approfittando di un “terreno fertile”, l’Italia e l’Unione Europea ad un avvicinamento reciproco con il Cile; in parole povere si vuole traghettare il Belpaese ed il vecchio continente verso quel modello liberista che ha portato il paese in cui vivo e che amo all’esasperazione ed alla rivolta.

”In questo contesto, penso tuttavia che il terreno sia fertile per una conversazione tra Cile, Italia e l’Unione europea in generale. Il modello di economia sociale di mercato, con esperienze significative nel campo delle pensioni, educazione pubblica e salute può essere un punto di riferimento importante che si potrà alimentare comparando le migliori esperienze maturate da entrambi i Paesi.”

Senza poter – in assenza di altri elementi – dubitare della buona fede della ex-comunista Sereni, non ho potuto fare a meno di trovare queste sue parole quantomeno inopportune, e di paragonare mentalmente (con le dovute proporzioni ovviamente) la sua visita a quelle di tutti coloro che vennero in questo stesso paese, tanti anni fa, a stringere la mano ad un altro “Presidente” senza avere il coraggio, o forse la voglia, di denunciare.

Spero di aver capito male. Ma nel dubbio, invito tutti i miei rappresentanti italiani di qualsiasi colore politico a condannare non solo la violenza ma anche i suoi mandanti, ed a lasciar stare il nostro già tartassato stato sociale.

A proposito: casomai anche il ministro decidesse di farsi vivo, mi preme avvisarlo che il Cile è quello sotto al Perù, ad ovest dell’Argentina e ad est del Pacifico.


Fonti:

[1] I numeri pubblicati dall’Istituto Nazionale per i Diritti Umani cileno (INDH) disponibile a questo link.

[2] Studio dell’Università del Cile disponibile a questo link.

[3] Si veda questo link.

30/11/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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