Lo spettro della diplomazia

“L’arte della diplomazia non è cercare l’emotivamente gratificante, ma il razionalmente possibile all’interno di vincoli geografici.” La frase è di Shiping Tang, politologo che insegna alla Fudan University in Shanghai e sembra descrivere bene i principi che ispirano la diplomazia cinese. Viceversa quella occidentale pare basarsi sul rovesciamento stesso di tali principi. 


Lo spettro della diplomazia

Uno spettro si aggira per l’Asia, lo spettro della diplomazia.

Leggiamo dal comunicato congiunto emesso lo scorso 10 marzo dalla Repubblica Popolare Cinese, il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran:

“… è stato raggiunto un accordo tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran... per riprendere le relazioni diplomatiche tra di loro e riaprire le proprie ambasciate e missioni... e l’accordo include l’affermazione del rispetto della sovranità degli Stati e della non ingerenza negli affari interni degli Stati...I tre Paesi hanno espresso il loro desiderio di esercitare tutti gli sforzi per migliorare la pace e la sicurezza regionale e internazionale.”

“Le parti saudite e iraniane hanno espresso il loro apprezzamento e gratitudine alla Repubblica dell’Iraq e al Sultanato dell’Oman per aver ospitato cicli di dialogo che si sono svolti tra le due parti durante gli anni 2021-2022. Le due parti hanno anche espresso il loro apprezzamento e gratitudine alla leadership e al governo della Repubblica Popolare Cinese per aver ospitato e sponsorizzato i colloqui e gli sforzi che hanno profuso per il suo successo.”

L’accordo tra i due Paesi, che avevano interrotto i rapporti diplomatici nel 2016, è stato infatti raggiunto dopo colloqui tenutosi a Pechino dal 6 al 10 marzo 2023 con la mediazione di Wang Yi, la massima autorità per gli Affari Esteri della RPC e ha suscitato grandi speranze in quella martoriata regione che chiamiamo Medio Oriente. Ecco come lo stesso Wang Yi ha informato la stampa della conclusione dei colloqui

“…si tratta di una vittoria per il dialogo e … per la pace, … un chiaro segnale in un momento di turbolenza nel mondo.

In primo luogo, il mondo non deve affrontare solo la questione dell’Ucraina. Ci sono molte altre questioni che incidono sulla pace e sulla vita delle persone che reclamano l’attenzione internazionale e dovrebbero essere affrontate adeguatamente e tempestivamente dalle parti interessate.

In secondo luogo, non importa quanto complesse siano le questioni o quanto spinose possano essere le sfide, un dialogo paritario sulla base del rispetto reciproco porterà a una soluzione reciprocamente accettabile.

In terzo luogo, il Medio Oriente appartiene al popolo della regione. Il suo futuro deve essere determinato dai popoli del Medio Oriente. I Paesi della regione dovrebbero fare avanzare lo spirito di indipendenza, rafforzare la solidarietà e il coordinamento e unirsi per rendere il Medio Oriente più pacifico, stabile e prospero…”

Porre fine all’annoso antagonismo fra due blocchi contrapposti, guidati rispettivamente da Arabia Saudita e Iran, apre finalmente prospettive concrete per la pace in Siria, Yemen, Libano, Iraq, per cominciare.

Non è sicuramente ancora il momento di cantare vittoria, sappiamo che c’è chi ha attivamente alimentato le cause di conflitto e continuerà a provarci, però finalmente qualcosa è cambiato e possiamo cominciare a sperare che il cambiamento avanzi. L’impero è in declino ed il mondo sta incominciando a configurarsi secondo nuovi parametri, forse è persino riduttivo immaginarlo semplicemente multipolare, come si argomenta nel dossier n.62 di Tricontinental “Sovranità, dignità e regionalismo nel nuovo ordine internazionale”. Invece di un’architettura globale strutturata intorno a due o più poli o Paesi guida, potremmo vedere l’emergere di un’integrazione regionale guidata da una prospettiva non allineata, che getterà le basi per un nuovo tipo di internazionalismo.

Intanto il riavvicinamento fra Iran e Arabia Saudita non solo apre possibilità di sviluppo economico, scambi commerciali e investimenti che beneficeranno entrambi, ma prefigura un nuovo sistema di relazioni in cui i Paesi del Sud del Mondo non dovranno più, come in passato, rapportarsi individualmente e quindi da una posizione di debolezza con l’Occidente collettivo e le sue istituzioni dominanti, ma lo faranno dall’interno di molteplici reti di Paesi che si intersecano e attraversano interi continenti

Per questa regione, ad esempio, basti citarne alcune, guidate da molteplici attori con diverse priorità: la Nuova Via della Seta, i BRICS, la SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai), l’Unione Economica Euroasiatica, il Corridoio Nord-Sud.

Prendiamo la SCO, ad esempio.

Istituita nel 2001 per combattere i tre mali del terrorismo, dell’estremismo e del separatismo, la Shanghai Cooperation Organisation è il più grande raggruppamento regionale dell’Eurasia, coprendo il 60% della sua superficie, ed include circa il 40% della popolazione mondiale contribuendo oltre il 30% della produzione economica globale. 

Sin dall’inizio, la SCO ha stretto legami con diverse istituzioni internazionali e organizzazioni regionali, tra cui la Commissione economica e sociale dell’ONU per l’Asia e il Pacifico, la Banca Asiatica di Sviluppo, l’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico e l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva. Un memorandum d’intesa tra il Segretariato della SCO e il Segretariato generale della Lega degli Stati arabi è stato firmato durante l’ultimo vertice della SCO. 

Sebbene la sicurezza regionale rimanga una preoccupazione di primo piano per l’organizzazione, il suo vero successo risiede nell’integrazione economica, che le ha guadagnato un’enorme trazione in tutta l’Asia, come dimostra il crescente numero di paesi del Medio Oriente e del Sud-est asiatico che hanno chiesto di unirsi come partner, osservatori o dialogue partners – basti citare Egitto, Qatar, Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Maldive, Myanmar, Turchia.

Torniamo ora allo storico accordo raggiunto lo scorso 10 marzo fra Iran e Arabia Saudita, preceduto e facilitato da due importanti visite di Stato, quella del presidente Xi Jinping in Arabia Saudita lo scorso dicembre e quella in Cina del suo omologo iraniano Ebrahim Raisi due mesi dopo. L’accordo rappresenta indubbiamente una vittoria della diplomazia cinese, tanto più straordinaria perché la Cina non ha fregate ormeggiate al largo delle coste della penisola arabica, né proietta minacciosamente un soverchiante potere militare da 800 basi in varie parti del pianeta

Che cosa può offrire allora la Cina ai suoi partner potenziali? Probabilmente, il fatto di non ricorrere alla minaccia di interventi armati, devastanti sanzioni, rovesciamento di governi con rivoluzioni colorate o altro è già di per sé una buona garanzia, ma ovviamente il fattore decisivo è l’offerta di un rapporto basato non su un gioco a somma zero, ma che sia di reciproco vantaggio – quello che i cinesi chiamano win-win (ci guadagniamo tutti). Non è forse un caso che l’Iran sia recentemente diventata membro effettivo dello SCO e che l’Arabia Saudita abbia lo status di dialogue partner (interlocutore) nella stessa organizzazione.

Certo, il processo di costruzione di un mondo nuovo, dove la pace diventa più allettante della guerra anche in termini economici, come pare dimostrare l’accordo fra Arabia Saudita e Iran, non avverrà in pochi giorni, incontrerà fasi di arretramento e di inciampi e richiederà la pazienza del tessitore di un arazzo, anche perché qualcuno metterà in campo la potenza dei suoi media e di ogni altro strumento a sua disposizione per contrastarlo. 

Non possiamo nasconderci che il processo di distensione che inizia con l’accordo fra Iran e Arabia Saudita mediato dalla Cina segnali infatti l’isolamento degli USA e di Israele nella stessa regione in cui spadroneggiano da anni, l’accordo quindi non li fa certo felici.

Tre giorni dopo la firma dell’accordo e ad una settimana dal ventennale della disastrosa invasione anglo-americana dell’Iraq, Ned Price, portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ha fatto una bizzarra affermazione secondo cui nessun Paese ha svolto un ruolo così importante come l’America nella costruzione della stabilità in Medio Oriente, dimostrandosi totalmente immemore della lunga storia di invasioni, rovesciamenti di governi, attacchi militari provocati dal suo Paese. Che dire poi poi dell’assassinio per mano dell’amministrazione Trump del generale iraniano Kasem Soleimani, ucciso il 3 gennaio 2020 all’aeroporto di Bagdad proprio mentre era in missione diplomatica per cercare un ravvicinamento fra Teheran e Riyad con la mediazione del governo iracheno?

Comunque sia, ora la diplomazia è all’opera in Asia e se ne cominciano a vedere i frutti. 

Purtroppo lo stesso non si può dire dell’Europa, che è teatro di una guerra mai dichiarata ma brutale fra Unione Europea, che ormai si fatica a distinguere da NATO/USA, e Russia. Nonostante questa guerra, combattuta contro la storia e la geografia, stia erodendo i principi e i valori stessi della civiltà europea, le classi dirigenti occidentali continuano ad alimentarla senza preoccuparsi del rischio che si trasformi in guerra nucleare. 

La diplomazia qui non è neppure presa in considerazione, siamo tornati alle vecchie guerre sante che hanno insanguinato il continente e non solo dall’epoca delle crociate a quella delle guerre di religione fra cattolici e protestanti.

In verità, come possiamo pensare alla diplomazia e al dialogo se combattiamo mostri, che siano Saddam Hussein con le sue armi letali, Gheddafi che incita le sue truppe allo stupro di massa, Assad che uccide i propri cittadini con armi chimiche, Putin-novello Hitler? 

Inutile dire che noi non siamo disposti a parlare con i mostri, noi li affrontiamo con lo scintillante spadone della nostra superiorità morale fino a che non arrivi la vittoria o la sconfitta totale.

24/03/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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