Il mio fruttivendolo è egiziano

La lotta dei lavoratori sikh nella zona Pontina rappresenta una nuova presa di coscienza.


Il mio fruttivendolo è egiziano Credits: http://www.grognards2011.it/

La globalizzazione capitalista è un percorso scelto politicamente dalle classi dominanti per condurre una battaglia contro i lavoratori a livello planetario. La lotta dei lavoratori sikh nella zona Pontina deve rappresentare una coscienza di classe finora estranea a una grande parte della nuova popolazione dei lavoratori, i migranti.

di Laura Nanni

Ancora non ho capito quanti sono a lavorarci in questa bella bottega di frutta e verdura. Poi quando arriva il camion per lo scarico della merce che viene dai Mercati generali, sono sempre di più. I prezzi sono convenienti e la bottega è sempre aperta. Ogni tanto trovo i carciofi già puliti o il minestrone fresco già pronto, oppure qualche ortaggio esotico, ma anche i consigli per la cucina, un giovane egiziano che sa come si preparano le puntarelle.

È la Globalizzazione! Viene da dire. Eccola è lei, nel suo variopinto “splendore”… l’ideologia del Capitalismo.

Ci hanno fatto pensare che è un processo storico naturale che ci ha portato a questo stadio, che le cose non potrebbero andare in un altro modo. Ma non è così. È un percorso che è stato scelto politicamente dalle classi dominanti che, in questo modo, conducono una battaglia contro i lavoratori a livello planetario.

D’altronde è per questo che pago poco frutta e verdura. Come funziona una bottega di questo tipo? Un gruppo di persone, quasi sempre solo uomini, che lavorano molte ore del giorno per un mezzo stipendio, un capo che si mette in tasca uno stipendio di 2000 euro circa, e per lui è più che soddisfacente. Vivono insieme, condividono le spese dell’affitto, sono arrivati qui per lavorare e riescono anche a mandare qualcosa a casa. Non sanno per quanto tempo resteranno, non sempre c’è un preciso progetto migratorio in base al quale sono orientati. L’importante è aver trovato un guadagno che consentirà, forse, di migliorare il tenore di vita e di far vivere meglio la famiglia che sta al paese.

In questi giorni dalla pianura pontina si fa sentire la protesta dei lavoratori indiani che sono una grande comunità sikh. Alle loro spalle c’è FLAI CGIL, una delegazione è andata dal prefetto. Si sono organizzati per parlare delle loro realtà e per portare l’attenzione sulla loro condizione di sfruttati. Frutta e verdura che arrivano nelle nostre tavole sono coltivate da loro, che per 3 o 4 euro l’ora, lavorano fino a 10 o 14 ore al giorno.

A Sabaudia, a Bella Farnia c’è una grande comunità, se entri nel quartiere con le case tutte accatastate, ti sembra di stare in India: non trovi Italiani, tanti giovani indiani del Punjab, qualche famiglia. Puoi incontrare anche la nonna vestita in abiti tradizionali che conosce solo il sanscrito. Quando abbiamo messo in piedi un progetto di insegnamento della lingua italiana per l’integrazione con l’APS Art’Incantiere e i Servizi sociali del comune, progetto di cui capofila era l’Università per Stranieri di Perugia, con fondi FEI (fondi europei per l’integrazione), abbiamo incontrato tanti giovani diplomati o no, con il desiderio di impegnare i propri guadagni per metter su un’attività o per una formazione professionale. Anche loro vivono insieme e riescono così a sostenersi a vicenda. Se parli con gli agricoltori proprietari, dicono che non potrebbero fare diversamente, sul mercato la ‘merce’ è venduta a prezzi troppo bassi.

Ecco l’origine della frutta e della verdura da queste parti, nel centro Italia, coltivata quasi sempre da Indiani e messa poi in commercio da Magrebini, spesso,  nelle loro grandi botteghe aperte ad orario prolungato. Una grande massa di lavoratori che non cercavano o non conoscevano, almeno fino a poco fa, la tutela dei diritti sul lavoro e i sindacati. E questa è la condizione del migrante, il precario per definizione, che è la stessa dei precari italiani, o di chi va a lavorare altrove, all’estero, lontano dalla propria casa. Gli stessi giovani a cui si prospetta una vita di lavoro o di ricerca al di fuori del proprio paese. Penso anche ai precari della scuola costretti a spostarsi da province e regioni per poter avere una cattedra. La nuova legge inoltre, sembra non consentire la continuità di insegnamento nella stessa scuola. Anche questa è una condizione, destabilizzante.

L’homo migrans è uno sradicato che vive in condizione nomade, non ha solidità, è costretto ad abbandonare ciò che lo identifica, merce nelle mani del capitale. È la nuova categoria antropologica imposta dal Capitalismo, quella del migrante che non può restare legato alle proprie origini, che non può coltivare i propri legami; una condizione umana che non consente un progetto di vita legato ai bisogni e desideri che siano propri, di stabilità e (perché anche questo è sottoposto a sfaldamento) di famiglia.

La Globalizzazione viene presentata come una lettura universale della realtà, ma corrisponde a un processo politicamente determinato e scelto: si è scelto di mettere in competizione i lavoratori di tutto il mondo, puntando al ribasso di tutti i diritti conquistati in Occidente da secoli di lotte e rivoluzioni. I migranti come il grande esercito di riserva senza diritti.

La lotta dei lavoratori sikh diventa allora importante, rappresenta la presa di coscienza, una coscienza di classe finora estranea a una grande parte della nuova popolazione dei lavoratori, i migranti, ed è anche da qui che si può e si deve rafforzare una lotta reale contro lo sfruttamento, contro il pensiero neoliberista, insieme ad una spinta per la ripresa di una posizione forte da parte dei sindacati.

 

 

06/05/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Laura Nanni

Roma, docente di Storia e Filosofia nel liceo. Fondatrice, progetta nell’ A.P.S. Art'Incantiere. Specializzata in politica internazionale e filosofia del Novecento, è impegnata nel campo della migrazione e dell’integrazione sociale. Artista performer. Commissione PPOO a Cori‐LT; Forum delle donne del PRC; Stati Generali delle Donne.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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