Note Curde a margine del convegno “Libertà delle donne nel XXI secolo”

La crisi curda fa irruzione nei pensieri e nelle pratiche femministe de “La vita al Lavoro, il senso dei lavori” alla Casa Internazionale delle donne, Roma 11, 12, 13 ottobre 2019


Note Curde a margine del convegno “Libertà delle donne nel XXI secolo” Credits: libertadonne21sec.altervista.org

ROMA. L’invito del gruppo di lavoro Libertà delle donne nel XXI secolo in partnership con la Casa internazionale delle donne di Roma e Transform!Europe – network della sinistra europea che riunisce 34 organizzazioni da 22 Paesi attive nella educazione politica e nella analisi scientifico-critica
– ci aveva coinvolte e interessate e, come femministe, grande era l’aspettativa per questa edizione 2019 che intendeva fare il punto sulle molte questioni e contraddizioni attuali che ruotano intorno al lavoro e al lavoro delle donne oggi e di cui daremo conto in un prossimo articolo.

Ma tutte noi partecipanti – qualche centinaio da svariati ambiti della società e da vari Paesi del mondo – accademiche e studiose di economia, giornaliste e attiviste delle più diverse associazioni della galassia femminista di formazione marxiana e con militanze diverse che spaziano generazionalmente dagli anni Settanta ad oggi, ci siamo ritrovate ad affrontare le tre intense giornate di riflessione e dibattito in uno stato psicologico di distopia e quasi sdoppiamento, provocato dalle notizie sempre più incalzanti della nuova guerra in Siria. Se la nostra mente e l’attenzione erano lì a Roma in via della Lungara, tutte concentrate su dati e argomenti dibattuti nei vari panel del convegno, i nostri sentimenti e la nostra grave preoccupazione erano rivolti al popolo curdo e a tutti i civili nel nordest della Siria, fatti oggetto dei primi raid aerei e bombardamenti a colpi di mortaio sferrati dalla Turchia di Erdogan che stava muovendo le truppe lungo il confine di 460 km per unirle alle milizie locali dell'Esercito siriano, cooptate da Ankara per la creazione di una “zona cuscinetto” di 30 km sul confine.

Nelle ore in cui il ministero della difesa turco giocando sulla scarsa vigilanza dell’ONU e sul sostanziale semaforo verde dato dall’Amministrazione USA annunciava il via all'offensiva militare “Primavera di pace”, con angoscia contavamo le prime decine di vittime e la fuga dei profughi dai villaggi bombardati. Apprendevamo nel frattempo con forte sconcerto del disimpegno americano unilaterale, motivato sarcasticamente da Trump davanti alle telecamere col fatto che i Curdi “non hanno partecipato allo sbarco in Normandia” (sic!). E questo nonostante la presenza Nato con l’operazione “Active Fence” a difesa della Turchia da possibili missili siriani non sia mai stata revocata dal Dicembre 2012 a oggi.

Nei giorni seguenti, nelle ore precedenti la decisione di Putin di interporre le sue truppe sul territorio, abbiamo vissuto con rabbia le dichiarazioni e i balbettii inconcludenti dei governi UE, mentre noi a Roma non potevamo fare altro - seppur con un profondo sentimento di vergogna e impotenza - che stringerci attorno alle due giovani curde presenti al convegno, Hazal e Dilar, e ascoltare dalla loro viva voce l’accorato appello diffuso nelle stesse ore da vari media con il nome di “Lettera delle donne Curde a tutte le donne e ai popoli del mondo che amano la libertà” e che si trova ben argomentato all’interno del sito dell’associazione Women Defend Rojava.

Tra queste donne curde che si appellano al mondo per la salvezza del loro popolo e delle loro scelte di vita, molte si sono arruolate nell Yekîneyên Parastina Jin (YPJ), l’organizzazione militare fondata nel 2013 come brigata femminile dell'YPG, l’esercito che ha lottato strenuamente e ha sconfitto l’Isis diventando il simbolo della resistenza curda nel nord della Siria.

“Come donne di varie culture e fedi delle terre antiche della Mesopotamia vi mandiamo i più calorosi saluti. (…) Vi stiamo scrivendo nel mezzo della guerra nella Siria del Nord-Est. Abbiamo assistito a come le madri nei loro quartieri sono prese di mira dai bombardamenti quando escono di casa per prendere il pane per le loro famiglie. (…) Stiamo assistendo a come quartieri, villaggi, scuole, ospedali, il patrimonio culturale dei curdi, degli yazidi, degli arabi, dei siriaci, degli armeni, dei ceceni, dei circassi e dei turcomanni e di altre culture che qui vivono comunitariamente, vengono presi di mira dagli attacchi aerei e dal fuoco dell’artiglieria. (…) Come donne siamo determinate a combattere fino a quando non otterremo la vittoria della pace, della libertà e della giustizia. Per ottenere il nostro obiettivo contiamo sulla solidarietà internazionale e la lotta comune di tutte le donne e della gente che ama la libertà”.

Hazal e Dilar ci hanno poi riportato le richieste delle donne curde alla comunità internazionale, al Congresso americano e all’ONU di porre fine all’invasione della Siria del nord da parte della Turchia – un’invasione perpetrata con il pretesto della sicurezza nonostante l’Amministrazione autonoma di Rojava avesse accettato l’accordo Usa-Turchia sulla zona cuscinetto – insieme con l’appello a istituire una No-Fly zone per la protezione della vita della popolazione civile e delle famiglie siriane ormai costrette a una fuga rischiosa e senza meta lungo un confine di 460 km bombardato nei suoi gangli vitali: le reti idriche ed elettriche, le scuole e gli ospedali dei villaggi curdi e degli insediamenti arabi e cristiani soprattutto nella zona di Qamishli, la capitale morale del territorio.

Chiedendo di tutelare quell’utopia concreta internazionalista e democratica rappresentata oggi dal Rojava, le parole accorate e determinate di Hazal e Dilar erano per noi quelle di tutte le donne curde che ci mettono in guardia contro l’istituzione da parte della Turchia di un nuovo Califfato nel nord della Siria, appellandosi alla comunità internazionale affinché prevenga ulteriori crimini di guerra e la pulizia e sostituzione etnica nella regione del kurdistan siriano da parte delle forze armate turche, che a tale scopo si servono anche di cellule jihadiste dell’Isis/Daesh, i cui militanti sono stati nell’ultimo periodo rilasciati dalle prigioni.

Le Curde di Siria invocano oggi garanzie per la condanna di tutti i criminali di guerra secondo il diritto internazionale, e l’isolamento della Turchia che è oggi l’aggressore; serve dunque il blocco della vendita di armi alla Turchia insieme a sanzioni economiche, oltre a provvedimenti immediati per la rapida soluzione della crisi politica siriana con la partecipazione e la rappresentanza di tutte le differenti comunità nazionali del Paese, di tutte le sue culture e religioni, mutuando per il futuro della Siria proprio il modello del Confederalismo democratico di stampo internazionalista sperimentato con successo in questi anni nel Rojava e dimostratosi capace di sostenere la convivenza pacifica, libera e democratica di queste comunità nella regione, oltre che in grado di garantire la volontà e i diritti delle donne. Un modello che, come ha scritto Chiara Cruciati sul Manifesto, non danneggia nessuno, non minaccia i confini internazionalmente riconosciuti né la sovranità della Siria. È un contributo alla sua democratizzazione. Nessuno, arabi, curdi, cristiani, musulmani, intende rinunciarci: hanno sperimentato la libertà”.

Da sempre le donne pagano il prezzo più alto nelle guerre, e sconvolgente è stato per noi apprendere che la trentacinquenne curda Hevrin Khalaf, ingegnera civile e leader del Future Syria Party oltre che paladina dei diritti delle donne siriane anche presso il Parlamento Europeo, era stata trucidata brutalmente nella giornata di sabato 12 ottobre insieme ad altri 8 civili in un agguato teso nella zona di Suruc da miliziani mercenari arabi filo-turchi. L’umore della nostra assemblea romana si è aperto a una timida speranza domenica 13 ottobre apprendendo che le Forze democratiche siriane che sostengono l’amministrazione autonoma del Rojava – le cosiddette SDF cioè un'alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache costituitasi formalmente nell'ottobre 2015 durante la guerra civile e che riunisce anche minoranze turkmene, armene e cecene e una brigata internazionale – avevano raggiunto un accordo militare che stante il “via libera” venuto nei giorni successivi dalla Russia può essere la premessa di un accordo politico con Damasco.

La risposta a quest’ennesima guerra da parte dell’assemblea del nostro convegno è innanzitutto la rinnovata e dolorosa consapevolezza che le efferatezze, i conflitti e la violenza sono l’inevitabile portato di un modello patriarcale e militarizzato del mondo, che sa solo imporre rivendicazioni egemoniche, colonialismi e subalternità ai popoli e alle donne. Una risposta che il convegno Libertà delle donne nel XXI secolo - 2019 ha affidato a un comunicato e al video girato dalle ragazze curde in cui tutte insieme abbiamo gridato nelle diverse lingue la nostra solidarietà e la promessa del nostro impegno quotidiano affinché le donne curde non siano lasciate sole nella battaglia per la libertà e l’autodeterminazione personale e politica sulle loro vite.

20/10/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: libertadonne21sec.altervista.org

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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