Ri-porre al centro: pensiero di genere e marxismo

Da quando Simone de Beauvoir cominciò il suo ragionare, e la sua critica, attorno a L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Engels, sicuramente molto di quella complicata coesistenza è stato dipanato ma non certo risolto. Troppo lungo sarebbe cercare di ricostruire gli oltre 50 anni di questa difficile riflessione e dell’altrettanto difficile agire, su entrambi i fronti, che quella riflessione ha comportato


Ri-porre al centro: pensiero di genere e marxismo

Per una riflessione collettiva che ci conduca dalle pietre lanciate dagli anni ’70 agli ultimi sviluppi del pensiero di genere: dalla disoccupazione femminile alla disparità di trattamento economico, dalla aggressione metaforica e ideologica al corpo della donna alla mancanza di una seria riflessione intorno al fenomeno “femminicidio”, per non parlare della banalizzazione della presenza femminile nella politica.

di Michela Becchis

Partiamo da un nodo che a lungo ha rappresentato un elemento di intensa e difficile riflessione nelle donne marxiste. La conciliabilità o meno tra il divenire-donna (certo si ricorderà la famosa frase di Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso «donna non si nasce, lo si diventa») e il divenire-marxista.

Da quando Simone de Beauvoir cominciò il suo ragionare, e la sua critica, attorno a L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Engels, sicuramente molto di quella complicata coesistenza è stato dipanato ma non certo risolto. Troppo lungo sarebbe cercare di ricostruire gli oltre 50 anni di questa difficile riflessione e dell’altrettanto difficile agire, su entrambi i fronti, che quella riflessione ha comportato. È certo che molto di frequente il pensiero femminista e di genere è stato sentito come perturbante all’interno del pensiero marxista, a quello che De Beauvoir identificava come il monismo del materialismo storico, ma con cui, a mio parere, la filosofa non avviava, come sarebbe dovuto essere proprio in base alla sua critica, una sufficiente articolazione né un dirimente confronto, sulla scorta di quell’indispensabile porsi non come alternativa semplificante verso la direzione di un’impraticabile uguaglianza, bensì come alterità. Alterità dialogante seppur portatrice di conflitto e non dialettica, idea che rimane poi uno degli assi portanti del femminismo. Cioè, la filosofa francese bloccava, cristallizzava la riflessione femminista, ponendola quasi immobile di fronte a un altro supposto monismo, creando così una contrapposizione stante e irresoluta che non contemplava il femminismo come deve essere e, cioè, come relazione e come pratica, ponendosi quindi sullo stesso piano concettuale della prassi marxista e a quel punto aprire il confronto e il dissenso. Insomma, costruiva teorie difensive, secondo quanto ebbe a scrivere Carla Lonzi. Già, Carla Lonzi; il suo nome deve uscire necessariamente se vogliamo, proprio su queste pagine, cercare, seppur a volo d’uccello, di rivalutare e riflettere sui contributi del femminismo alla pratica marxista, siano essi stati accolti o accantonati per difficoltà di ricezione, banale presuntuosità, timore della perdita di una supremazia maschile che nel marxismo non è certo minata. Mi scuso con le lettrici e con il lettore se ritengo indispensabile una citazione abbastanza lunga della Premessa di Sputiamo su Hegel apparso tra gli scritti di Rivolta femminile nel 1974, tuttavia ritengo indispensabile rimettere sul nostro banco da lavoro critico un testo che continua a essere valutato, studiato, discusso ed emendato a livello mondiale, ma che all’interno della (carente) elaborazione del problema di genere del comunismo italiano di questi non facili giorni sembra pressoché dimenticato, atteggiamento più facile rispetto anche a un contemplato, aperto disaccordo. «Le donne stesse accettano di considerarsi "seconde" se chi le convince sembra loro meritare la stima del genere umano: Marx, Lenin, Freud e tutti gli altri. Mi sono sentita stimolata a confutare alcuni tra i principi fondamentali del patriarcato, non solo di quello passato o presente ma di quello prospettato dalle ideologie rivoluzionarie.[…] Sputiamo su Hegel l'ho scritto perché ero rimasta molto turbata constatando che quasi la totalità delle femministe italiane dava più credito alla lotta di classe che alla loro stessa oppressione. […] Sputiamo su Hegel. La dialettica servo-padrone è una regolazione di conti tra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civiltà patriarcale. La lotta di classe, come teoria rivoluzionaria sviluppata dalla dialettica servo-padrone, ugualmente esclude la donna». 

 

Si intende che a leggere queste righe sembra passato molto tempo e molto tempo è infatti passato, ma non si può negare affatto la persistente, direi drammatica, attualità di alcune questioni che vennero poste radicalmente allora: ci possiamo sentire separati e remoti dagli anni ’70 però alcuni elementi non possono certo considerarsi sepolti e inattualizzabili. Sarebbe sufficiente porre in relazione le parole di Lonzi con alcuni dati sociali ed economici della nostra quotidianità per vedere che il trascorso non ha depotenziato i problemi da lei posti. Dalla disoccupazione femminile alla disparità di trattamento economico, dalla aggressione metaforica e ideologica al corpo della donna alla mancanza di una seria riflessione intorno al fenomeno “femminicidio”, tragico atto finale di una colpevole assenza di lezione e azione dialettica tra generi, per non parlare della banalizzazione della presenza femminile nella politica, dove la “concessione” della quota rosa si accorda con figure femminili agenti in cariche istituzionali o di amministrazione in cui al genere viene riservato un posto speciale nella deleteria estetizzazione della politica. Troppo spesso si è portati a pensare che il non-risolto non ci riguardi, non riguardi i comunisti, adottando in tal modo la cosiddetta “pratica dell’assediato” che trova riverbero e forza nell’emergenzialità di una crisi di sistema che sembra negare il tempo della riflessione e dell’accoglimento di caratteri essenziali e decisamente utili nella loro variabilità di applicazione che invece potrebbero essere buoni strumenti di scardinamento dell’egemonia dell’ideologia dominante. Una collettiva riflessione che ci conduca dalle pietre lanciate dagli anni ’70 agli ultimi sviluppi del pensiero di genere. Un paio di esempi che possano fungere da avvio per una riflessione sono i concetti di Tempo e di Posizionamento che sono da decenni al centro dell’analisi e della scrittura di genere e la cui importanza è segnalata dal fatto che sono stati accolti, recepiti e utilizzati nelle teorie postcoloniali. Teorie che sperimentano con impegno e successo il non facile compito di misurarsi in egual misura con Marx, Gramsci e Donna Haraway. Interrogarsi sulle aporie del Tempo e della praticabilità del futuro, misurarsi con lo spostamento e il transito che il Posizionamento femminista contempla nella determinazione del soggetto, non è una perdita di tempo mentre Sagunto – tutte le tante Sagunto di questi giorni – viene espugnata. È la possibilità di misurarsi con un appassionato ma rigoroso riflettere e agire politico che è capace di cogliere e connotare meglio la variazione di quei “dispositivi” politici, economici e sociali, primo fra tutti le donne, che in questi anni vivono la loro esistenza sotto assedio. Partiamo da qui.

15/05/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Michela Becchis

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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