Brecht, Lenin e La Rivoluzione contro il Capitale

Le inevitabili difficoltà di un processo rivoluzionario che mira a costruire un nuovo mondo e la sterilità delle critiche astratte dei dottrinari che hanno paura di sporcarsi le mani con la prassi


Brecht, Lenin e La Rivoluzione contro il Capitale Credits: http://cesim-marineo.blogspot.com/2018/01/b-brecht-e-w-majakovskij-per-lenin.html

La parabola di Mi-en-leh dell'ascensione di alte montagne [1]

Bertolt Brecht considerava l’originalità a ogni costo una delle caratteristiche negative della società capitalista, tutta incentrata sull’individualismo, che porta a credere che la cultura sia il prodotto di individui geniali assolutamente originali e indipendenti gli uni dagli altri. Al contrario Brecht considera la cultura essenzialmente il prodotto del general intellect e, quindi, non trova nulla di male non dover ripartire sempre da capo, da zero nel realizzare le sue opere, intendendo giovarsi di quanto di valido è stato prodotto prima di lui. Brecht non ha neanche difficoltà a mostrare come questo mito dell’originalità a tutti i costi non sia affatto naturale, ma piuttosto il prodotto della società individualistica borghese, tante che ad esempio nelle culture precedenti, nessuno aveva paura di cadere nell’accusa di plagio, servendosi di quanto prodotto da altri intellettuali. Le citazioni non erano mai letterarie e sottoposte a controlli di tipo filologico. Tanto che nell’antica cultura cinese un importante saggio (Ciuang-ze) scrisse una voluminosa opera composta per nove decimi da citazioni.

A riprova di ciò si può richiamare “La parabola di Mi-en-leh dell'ascensione di alte montagne” presente nel Me-Ti di Brecht e composta per circa il 90% da un’originale parabola di Vladimir Ilich Lenin. Quest’ultimo nel libro di Brecht, costretto a utilizzare il linguaggio degli schiavi per far circolare la sua opera al tempo del dominio nazista, viene ridenominato Mi-en-Leh, visto che il grande scrittore tedesco scrive i suoi apologhi nella forma di cineserie, per meglio nasconderne il carattere rivoluzionario e come tributo a un’eredità culturale che considerava fondamentale anche per il mondo contemporaneo. La forma di parabola è una ripresa sottilmente ironica del linguaggio classico dei vangeli, in una funzione analoga e contraria a quella utilizzata da Friedrich Nietzsche nel suo Così parlò Zarathustra, in quanto ivi dietro questa forma comune vi è un contenuto reazionario, opposto a quello rivoluzionario di Brecht.

L’ascensione della alte montagne indica un’eccezionale impresa storica, nel caso specifico la Rivoluzione di ottobre, e più in generale quel processo rivoluzionario che mediante la conquista del potere mira alla costruzione di un nuovo modello di Stato, più razionale, universale e giusto dei precedenti. Si tratta di quelle che Antonio Gramsci definiva le alte ambizioni dell’uomo – in contrapposizione alle piccole ambizioni legate alla propria affermazione particolare – che si richiamano in modo diretto o indiretto al grande modello classico offerto dal padre della scienza politica moderna: Il Principe di Niccolò Machiavelli.

Come in Gramsci, anche in Brecht a compiere l’impresa nel mondo contemporaneo non può che essere una soggettività sociale e politica collettiva, che Brecht definisce, utilizzando sempre il linguaggio degli schiavi, “i fabbri d’aratri e i contadini poveri”, ovvero l’alleanza fra il moderno proletariato industriale e il proletariato e la piccola borghesia agricola che conquistarono il potere in Russia sotto la direzione consapevole del Partito guidato da Lenin. D’altra parte, essendo tale rottura rivoluzionaria funzionale allo sviluppo del movimento rivoluzionario in occidente, il fallimento dei tentativi di conquista del potere nei paesi a capitalismo avanzato fece sì che il proletariato russo non poté realizzare subito il suo progetto di costruire una società socialista in funzione di una società comunista. Così, il grande risultato della conquista del potere in un grande paese, che era stato per diverso tempo il bastione della reazione, per il mancato successo della rivoluzione in occidente dovette subire ben presto una battuta d’arresto. Tanto più che il paese della rivoluzione rimasto isolato fu aggredito dall’esterno da tutte le principali potenze imperialiste e anticomuniste e dall’interno da tutte le forze contrarie alla realizzazione in quel momento della rivoluzione proletaria. Quindi necessariamente i rivoluzionari, sotto la direzione consapevole di Lenin furono costretti a far dei significativi passi indietro, dal Comunismo di guerra alla Nep, una sorta di capitalismo di Stato. Questa notevole ritirata strategica delle forze rivoluzionarie apparve insopportabile alla maggior parte dei socialisti e dei marxisti occidentali, che non avendo potuto o voluto realizzare la rivoluzione in occidente, rimasero semplici spettatori critici, da una distanza di sicurezza, dei grandiosi e al contempo tragici eventi russi.

Così ogni volta che il proletariato moderno, sotto la direzione del partito rappresentante l’avanguardia della classe operaia guidato da Lenin, subiva inevitabilmente “uno scacco, o, per evitare di subirne uno” si vedeva costretto a rinviare un aspetto anche significativo della progettata società socialista, molti esponenti della sinistra e marxisti occidentali non esitava ad accusare i rivoluzionari russi di tradire i loro stessi “principî” socialisti, finendo con il restaurare una società capitalista. Il tragico errore di questi sedicenti rivoluzionari, che dimostravano tutta la loro immaturità comportandosi da anime belle, consisteva secondo Brecht nel considerare la rivoluzione non come un processo storico, ma come un unico evento, quasi si trattasse di un putsch, che può o avere immediatamente successo o altrettanto immediatamente fallire, segnando per sempre la sorte di “chi ci si è provato” (10).

Di contro a tali concezioni sostanzialmente idealiste e utopiste della rivoluzione, Lenin replicava con il celebre apologo di una cordata di alpinisti che per la prima volta nella storia tentasse la conquista di “un monte altissimo, scosceso e finora inesplorato” (10), ovvero di costruire per la prima volta una società socialista. Ora evidentemente il partito bolscevico russo, benché guardato con sospetto dai più antichi e “nobili” partiti occidentali era riuscito a spingersi con la Rivoluzione d’ottobre molto più in avanti di qualsiasi forza politica precedente nel processo che vorrebbe portare alla realizzazione di una società socialista, nonostante avesse dovuto superare “inaudite difficoltà e pericoli”, considerata l’arretratezza sociale della Russia, il governo dispotico che fino a pochi mesi prima la governava e la debolezza della classe operaia, in primo luogo dal punto di vista quantitativo. Dunque la “cordata” dei bolscevichi era riuscita, nonostante tutto, a “salire molto più in su dei suoi predecessori, ma non” aveva potuto conquistare “la cima” (10), ossia costruire l’auspicata società socialista, proprio perché i sedicenti rivoluzionari e marxisti occidentali avevano fallito in pieno il loro obiettivo, tanto che al posto delle auspicate rivoluzioni socialiste nei loro paesi tendevano ad affermarsi forze reazionarie, che non nascondevano di avere come obiettivo rovesciare la rivoluzione russa e addirittura schiavizzare e massacrare il popolo che per la prima volta aveva osato conquistare il potere.

Dunque, questa cordata di eccezionalmente intrepidi rivoluzionari si era così venuta a trovare “in una situazione in cui avanzare ancora nella direzione voluta – la costruzione di una società socialista e poi comunista – “non era solo difficile e pericoloso, ma semplicemente impossibile” (10-11). Com’era, infatti, noto anche a chi avesse una minima cognizione non dico del marxismo, ma della scienza politica, non si poteva ignorare che non era possibile realizzare nel paese più arretrato d’Europa – per altro sempre più isolato e posto in Stato di assedio o di guerra dai potentissimi nemici interni ed esterni – quella superiore società socialista, rimasta sino a quel momento soltanto una utopia, sebbene alcuni la considerassero auspicabile e/o realizzabile.

Quindi la “cordata” di rivoluzionari russi, dopo esser stata costretta a lanciare il cuore oltre l’ostacolo con il comunismo di guerra ora, con il passaggio alla Nep, si era vista costretta, in primo luogo dalla situazione internazionale, a dover “tornare sui suoi passi, scendendo in basso e cercare nuovi tracciati, forse più noiosi, ma tali da offrire la possibilità di raggiungere la vetta” (11). Fuor di metafora si trattava appunto della Nuova politica economica, sponsorizzata in primo luogo da Lenin, secondo cui in quelle tragiche condizioni non vi erano alternative più progressiste di cominciare in primo luogo a cercare di realizzare un inedito capitalismo di Stato, per poter in seguito, accumulate le forze necessarie, riprendere la via della costruzione della società socialista. “Sennonché il discendere da questa altezza, mai finora attinta in tutto il mondo, a cui si trovava” la nostra cordata di rivoluzionari sovietici, “importa più pericoli e difficoltà dell’ascesa” (11).

Fuor di metafora, dover ripiegare a costruire un’altrettanto inedita forma politica, il capitalismo di Stato, comporta molte più difficoltà, della conquista quasi indolore del Palazzo d’inverno, dato il sostegno avuto e la scarsa resistenza incontrata. Comporta anche molti più pericoli, in quanto la presa del Palazzo d’Inverno poteva essere più lunga, travagliata e dolorosa, ma non rischiava come il ripiegare a una forma mista, come quella del capitalismo di Stato, di favorire – per quanto in modo involontario – la restaurazione del capitalismo in Russia. La ritirata strategica non poteva che favorire una riorganizzazione delle forze della borghesia nazionale e internazionale, pronta a tutto pur di far fallire questa impresa che, per la prima volta, aveva messo seriamente in discussione il potere delle classi sfruttatrici sulle classi lavoratrici. Tanto più che in una ritirata strategica “si scivola più facilmente”, ovvero è ancora più facile compiere nella fretta degli errori dalle conseguenze potenzialmente nefaste, inoltre il percorso della ritirata è ancora più ignoto e mai sperimentato di quello dell’ascesa, visto che non vi era sul capitalismo di Stato tutta la riflessione prodotta sulla società socialista. Infine, necessariamente, “in discesa non si prova più l’entusiasmo di quando ci si muoveva verso l’alto, dritti verso la vetta. Bisogna legarsi con la corda, si perdono delle ore a scavare con la piccozza i punti cui assicurare saldamente la corda. Bisogna muoversi con la lentezza di una tartaruga continuando a scendere, allontanandosi dalla mèta e senza vedere se questa pericolosa e tormentosa discesa terminerà con la scoperta di un buon tracciato con il quale si possa tornare a spingersi più sicuramente, più rapidamente e direttamente in avanti, in su, verso la mèta, verso la vetta” (11).

Quando si avanzava verso il socialismo e in qualche modo anche verso il comunismo, durante la guerra civile, vi era – nonostante le difficoltà – un morale incomparabilmente più altro, di quando si era costretti, per motivi completamente indipendenti dalle proprie azioni e dalla propria volontà, a dover ripiegare su un obiettivo molto più modesto come il Capitalismo di Stato, che non poteva che apparire un obiettivo paradossale per chi aveva dedicato la sua vita e più volte rischiato la prigionia o la morte per costruire una società anticapitalista, socialista e comunista.


Note:

[1] I brani che commenteremo in questo articolo sono tratti da B. Brecht, Me-ti. Libro delle svolte [1934-37], tr. it. di C. Cases, Einaudi, Torino 1970, p. 10. Tra parentesi tonde metteremo a fianco del titolo ogni citazione il numero delle pagine del libro in questa sua traduzione italiana.

21/07/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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