La Repubblica socialista federativa sovietica

La contraddittoria costruzione dello Stato rivoluzionario nelle drammatiche condizioni dello stato d’assedio imposto dalle potenze imperialiste e dalle forze controrivoluzionarie.


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I Decreti di novembre del Consiglio dei commissari del popolo

Il Governo provvisorio rivoluzionario, sorto in seguito alla Rivoluzione d’ottobre, assume il nome di Consiglio dei commissari del popolo – reminiscenza giacobina – presidente è Lenin, Trotzkij è nominato commissario agli esteri, Stalin commissario per le nazionalità. I primi atti del governo rivoluzionario sono i Decreti di novembre che contengono: 1) un appello ai popoli e ai governi per la pace immediata senza annessioni e senza indennità; 2) l’esproprio senza indennità delle grandi proprietà terriere e dei monasteri da spartire, tramite i soviet dei villaggi, fra i contadini a titolo di usufrutto. I bolscevichi cambiano tatticamente posizione, fanno loro nell’immediato la parola d’ordine populista della terra ai contadini, mantenendo come strategica la concezione dei kolchoz e dei sovchoz – rispettivamente cooperative e grandi aziende agricole di proprietà pubblica, indispensabili per sviluppare l’agricoltura introducendo macchinari; 3) le industrie sono auto-gestite dagli operai mediante i consigli di fabbrica, ossia i soviet; 4) si sancisce l’uguaglianza fra tutti i popoli e il loro diritto all’autodeterminazione. Tali decisioni sono approvate praticamente all’unanimità dal Congresso panrusso dei soviet.

Elezione e scioglimento dell’Assemblea costituente

Il 12 Novembre 1917 si svolgono le elezioni per l’Assemblea costituente, volute dall’ex presidente Kerenskij rovesciato dalla Rivoluzione d’ottobre – secondo il modello liberal-democratico delle rivoluzioni borghesi dell’ottocento. I bolscevichi ottengono un quarto dei seggi, la maggioranza dei quali va ai socialisti rivoluzionari, populisti sostenuti dai contadini. Lenin ha già teorizzato, prima dello svolgimento delle elezioni, che la rivoluzione borghese ha ormai esaurito i propri compiti e proprio da tale constatazione era sorta la prospettiva della rivoluzione proletaria inaugurata nell’ottobre del 1917. I bolscevichi, del resto, in quanto marxisti sono fautori di una forma di democrazia più avanzata della repubblica borghese con la sua Assemblea costituente, sono per una repubblica proletaria fondata sui soviet, i consigli dei lavoratori in funzione di una democrazia diretta dei produttori, da cui sono esclusi gli sfruttatori borghesi. Così l’Assemblea costituente, che intende instaurare in Russia il parlamentarismo borghese – secondo la concezione del governo di Kerenskij sciolto dalla Rivoluzione d’ottobre – nel momento in cui mette in discussione la democrazia socialista sovietica viene sciolta d’ufficio.

La dittatura del proletariato e l’estinzione dello Stato

Per i bolscevichi si tratta di sostituire alla repubblica borghese, forma mediante cui si manifesta secondo la concezione marxista dello Stato la dittatura della borghesia, la repubblica sovietica, forma mediante cui si esprime la dittatura del proletariato, dei lavoratori ovvero della grande maggioranza dei produttori contro la minoranza borghese e aristocratica degli sfruttatori. Nello Stato – quale forma del dominio di classe secondo la concezione marxista sviluppata da Lenin – la democrazia è possibile solo all’interno del blocco sociale dominante. Mentre nei confronti delle classi dominate e subalterne lo Stato è sempre una forma di dittatura di classe esercitata dal blocco sociale dominante.

Tuttavia mentre le altre forze politiche sono per perpetuare lo Stato e, quindi, con esso la dittatura di classe, le forze rivoluzionarie egemonizzate dai comunisti sono per operare in funzione della sua progressiva estinzione, mediante la dittatura del proletariato e il grande sviluppo delle forze produttive, che consentirà di passare dal principio meritocratico della società socialista: a ognuno secondo il proprio lavoro, al principio proprio della società comunista: da ognuno secondo le sue capacità a ognuno secondo i suoi bisogni.

Il governo di coalizione con i socialisti rivoluzionari di sinistra

I partiti dei cadetti, liberaldemocratici, dei menscevichi, socialdemocratici, e della maggioranza dei socialisti rivoluzionari, populisti di sinistra, che si battono contro il passaggio dalla rivoluzione borghese alla socialista e intendono restaurare la prima, non accettano lo scioglimento del Governo provvisorio sorto dalla Rivoluzione di Febbraio e dell’Assemblea costituente. Assumono così di fatto una posizione controrivoluzionaria nei riguardi della rivoluzione proletaria e ciò li porta non solo a schierarsi con i nemici del processo rivoluzionario in corso in Russia, ma anche, indirettamente, con i nemici esterni dello Stato dei soviet, ossia con le potenze imperialiste che intervengono per schiacciare nel sangue la Rivoluzione socialista. Vengono per questo motivo messi fuori legge dal Governo dei commissari del popolo, visto che non riconoscono le nuove istituzioni affermatesi con la Rivoluzione d’ottobre. Così oltre ai bolscevichi, che di lì a poco nel 1918 assumeranno il nome di Partico comunista, ad accettare la democrazia sovietica e a voler cooperare al suo sviluppo vi sono unicamente i socialisti rivoluzionari di sinistra, di origine essenzialmente anarchica, che perciò prendono parte, in coalizione con i bolscevichi, al governo dei Commissari del popolo.

Il sistema politico dello Stato rivoluzionario

Nel luglio del 1918 è varata la Costituzione della Repubblica socialista federativa sovietica, che verrà ribattezzata nel 1922 in Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss) dopo che l’aggressione delle potenze imperialiste e la guerra civile avevano convinto la maggioranza del governo rivoluzionario che nella situazione di stato di assedio imposta al paese dei Soviet dalla borghesia internazionale vi fosse bisogno di una forma statuale più unitaria e centralizzata. Vediamo, così, come sin da subito la situazione di stato d’assedio imposto allo Stato rivoluzionario dalle potenze imperialiste favorisce l’involuzione della democrazia proletaria.

Secondo la Costituzione rivoluzionaria tutto il potere è riposto nelle mani dei soviet, dai locali, ai provinciali, fino al Congresso dei soviet dell’Unione che assume la funzione di principale organo legislatore. Il potere esecutivo è posto sotto la direzione del Consiglio dei commissari del popolo, il governo rivoluzionario. D’altra parte, come abbiamo visto, più il paese è posto sotto attacco dai nemici esterni e interni della rivoluzione socialista e più il potere reale dello Stato rivoluzionario è posto sotto il controllo del partito comunista che, ponendosi quale interprete degli interessi reali del popolo, finisce per gestirlo per conto dei soviet che vengono, nei fatti, sempre più esautorati dal controllo effettivo del potere, almeno per quanto concerne le questioni più fondamentali e urgenti. Mentre la borghesia, ovvero chi intende continuare a vivere dello sfruttamento della forza-lavoro altrui, è esclusa in modo permanente dalla gestione del potere nello Stato socialista fondato sulla dittatura del proletariato.

La pace a qualunque costo: il Trattato di Brest-Litovsk (marzo 1918)

Il problema più urgente da risolvere per il governo sorto dalla Rivoluzione d’ottobre è la pace e la fine della guerra imperialista, anche perché ha avuto il sostegno attivo o passivo della maggioranza del proletariato proprio a partire da questo obiettivo. Le trattative di pace con gli Imperi centrali vanno avanti dal dicembre del 1917 al marzo del 1918, in quanto i nemici tendono a imporre allo Stato dei Soviet condizioni di pace punitive e inaccettabili, contando sul fatto che il governo rivoluzionario sorto proprio al fine di portare a termine la guerra imperialista, non è in grado di proseguirla. L’impero germanico, in particolare, avanza condizioni sempre più punitive e inaccettabili, dal momento che l’esercito nemico è in via di dissolvimento e non può opporsi all’avanzata delle truppe tedesche, pretendendo i territori baltici e l’Ucraina, oltre all’indipendenza di Polonia e Finlandia che passerebbero così nell’area d’influenza degli imperi centrali. Ciò comporta per lo Stato rivoluzionario la rinuncia a un terzo della propria popolazione e a metà della già scarsa industria oltre ad isolare lo Stato socialista dai paesi a capitalismo avanzato, per favorire la rivoluzione nei quali Lenin aveva deciso di passare a rompere la catena degli Stati imperialisti nel suo anello più debole: l’autocrazia zarista.

Le ragioni della firma di un trattato di pace inaccettabile e le sue tragiche conseguenze

Nel frattempo i cosacchi del Don sono insorti, sostenuti dagli Imperi centrali mentre l’attesa rivoluzione in occidente non arriva in soccorso dello Stato dei soviet. Lenin rimane sempre più fermo nella sua convinzione – portata avanti sin da subito anche se inizialmente, ancora una volta, in contrasto con la grande maggioranza del gruppo dirigente rivoluzionario – secondo la quale è indispensabile per la sopravvivenza stessa del processo rivoluzionario accettare la pace a qualsiasi costo, perché solo in tal modo lo Stato socialista sarebbe potuto sopravvivere e ciò avrebbe rilanciato la prospettiva rivoluzionaria anche nei più sviluppati paesi occidentali. La caduta dello Stato rivoluzionario avrebbe avuto un contraccolpo decisivo sul morale delle forze intente a operare per la rivoluzione in occidente.

Trotckij, che conduceva in prima persona le trattative, in quanto commissario del popolo agli affari esteri, di fronte alle condizioni inaccettabili per la pace che vorrebbero imporre gli Imperi centrali, cerca di guadagnar tempo in funzione della vana attesa della rivoluzione in occidente, in primo luogo in Germania, che avrebbe consentito allo Stato rivoluzionario di salvarsi senza dover accettare il ricatto imposto del nemico. Gli imperi centrali, d’altra parte, sempre più convinti che il proprio avversario è ormai con le spalle al muro – in quanto i soldati tendono ormai a disertare in massa, per sottrarsi all’odiata guerra – impongono delle condizioni di pace sempre più dure. Ciò finisce per favorire la posizione di Lenin che così riesce, ancora una volta, a poco a poco a far accettare la sua prospettiva alla maggioranza del governo rivoluzionario. Così, nel marzo del 1918 è firmato il trattato di pace di Brest-Litovsk, grazie al quale gli Imperi centrali staccano dalla federazione di Stati nata dalla rivoluzione di ottobre la Polonia, la Finlandia, i Paesi Baltici e l’Ucraina, ma lo Stato rivoluzionario riesce a sopravvivere accrescendo il consenso popolare e la capacità di egemonia sui contadini.

Continua nei prossimi numeri

18/08/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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