Da via Rasella alla Liberazione

I valori della Resistenza partigiana sono sotto attacco, il revisionismo e il rovescismo storico tendono a disconoscere, rinnegare e rovesciare i fatti storici di quell’epoca.


Da via Rasella alla Liberazione Credits: Patria indipendente – Affresco della lingua italiana

A 72 anni da quel 25 aprile che segnò la Liberazione dal nazifascismo e in una storia attuale - in cui si ripropone, insidioso,il pericolo che si riaffermi la dittatura fascista sotto mentite spoglie, e ci faccia precipitare nel baratro della perdita della libertà, o di una guerra di non ritorno - è più che mai necessario rivisitare quel buio in cui sprofondarono i nostri padri e cosa e quanto dovettero subire, sotto il dominio di quella dittatura che devastò il Paese.

Una ricorrenza, quella del 25 aprile, che molti oggi preferiscono ignorare considerandola obsoleta, ma la memoria ha i suoi diritti inalienabili. Non si può e non si deve cancellare. Viviamo in un’epoca sfortunata, in cui si è smarrito il senso dei valori essenziali. Giustizia, eguaglianza e diritti umani e sociali sono profondamente compromessi e sono in pasto ai poteri imperialisti e al capitalismo. Un malessere diffuso pervade l’umanità e la paura ci sta mangiando l’anima confinandoci nell’oblio e nell’indifferenza, mentre dovremmo porre al centro della nostra vita e delle nostre azioni quotidiane il desiderio di riscatto dai soprusi che ogni giorno ci vengono propinati dalle politiche neoliberiste in atto.

Da almeno un ventennio a questa parte, con il susseguirsi incalzante di politiche e di governi che hanno smantellato lo Stato sociale, appoggiando e favorendo il capitalismo, si è smarrita la strada per riattualizzare il senso della Liberazione, conclamata con la vittoria sul fascismo. Vittoria che ci diede una nuova opportunità per un radicale cambiamento politico e sociale. E mentre le forze di opposizione al liberismo e l’Anpi, oggi impropriamente contestato, tentano di alimentare la memoria per riesumare dall’oblio ciò che è stato durante gli anni duri del nazifascismo e la lotta partigiana per sconfiggerlo, se ne contrastano i valori e i significati. Contro chi crede fermamente nei valori della Resistenza è in atto un attacco continuo foraggiato dal revisionismo e dal rovescismo storico che tendono a disconoscere e rinnegare il valore dei Partigiani e a rovesciare i fatti storici.

Rovescismo storico, teso ad alterare ciò che in realtà accadde nel periodo della Resistenza partigiana, come per i fatti di via Rasella, di cui, fra molti altri partigiani del comando centrale del Gap romano, fu protagonista Rosario Bentivegna, insignito, nel dopoguerra della medaglia d’argento al valor militare.

Via Rasella …per non dimenticare

Era il 23 marzo del 1944 quando in un Roma occupata dai tedeschi, i Partigiani appartenenti al Gap di Giorgio Amendola organizzarono un attentato che aveva come obiettivo il reggimento dell’XI compagnia del III battaglione delle SS Polizei Regiment Bozen, formato da altoatesini di nazionalità tedesca. All’operazione di Via Rasella, oltre a Bentivegna, parteciparono Franco Calamandrei, Salinari, Pasquale Balsamo e Marisa Musu. Bentivegna fu l’autore diretto dell’attentato. Travestito da spazzino, trasportava un carrettino pesantissimo. Era colmo di esplosivo. “Spingere quel carretto per le salite di Roma fu uno sforzo sovrumano. I sampietrini lo rendevano traballante e a ogni discesa dovetti impiegare tutte le mie forze per frenarlo. Avevo caldo e sotto il camiciotto di tela blu sudavo per la tensione, l’emozione e la fatica” scrive Bentivegna nel suo libro Senza fare di necessità virtù – Memorie di un antifascista (ed. Einaudi).

Dopo un percorso laborioso, lo spazzino Bentivegna arriva nei pressi di Palazzo Tittoni, luogo di convegno per l’attentato “C’eravamo solo io e il mio carrettino con dentro il tritolo e i tedeschi che dovevano arrivare da un momento all’altro. Poi c’era anche il resto del mondo: la mia città occupata da criminali di guerra, i compagni nelle carceri, la guerra che imperversava in Europa. Pensai che in qualche parte del mondo la gente era ancora felice, rideva e non pensava ad uccidere…ma tutto questo per me, in quel momento, non doveva contare”. C’è un ritardo, i compagni coinvolti nell’agguato non danno alcun segnale. Lo spazzino con il tritolo inizia a smarrirsi essendo totalmente esposto. Attende un’ora e mezzo. Sono le 15.50, quando Calamandrei si toglie il berretto. È il segnale. Arrivano i Bozen. Bentivegna accende la miccia e cambia la storia.

Un terribile boato squarciò l’aria. L’ordigno colpì in pieno la colonna dei Bozen. L’effetto fu aggravato dallo scoppio delle bombe a mano che i tedeschi tenevano agganciate al cinturone”, ricorda il Partigiano. I Gap non riportarono alcuna perdita dall’azione. Stranamente una città silenziosa. Anche i giornali del 24 marzo furono sorprendentemente silenziosi sull’attentato. Non ci fu alcuna indagine sul fatto. I tedeschi, però, stavano già “perpetrando il massacro delle Ardeatine”.

Alle 23 e 30 del 23 marzo il generale Von Mackensen diede ordine di mettere in atto “con la massima segretezza e con la massima frettal’assassinio di dieci italiani per ogni tedesco caduto per mano dei Partigiani nell’attacco di via Rasella. Immediatamente, sul luogo dell’attentato dei gappisti, ci fu una reazione criminale dei nemici. Iniziarono mitragliare tutte le abitazioni della stradina e uccisero Antonietta Baglioni, affacciata a una finestra di Palazzo Tittoni, provocandole un’agonia di 15 giorni, due compagni partigiani, Antonio Chiaretti ed Enrico Pascucci, che passavano casualmente sul luogo.

Perquisizioni ovunque, arresti e maltrattamenti verso i civili. Anche alcuni invalidi vennero perquisiti e arrestati. Vincenzo Maiocchetti racconta di essere stato condotto in Via Tasso e percosso a lungo “con frusta e bastoni di ferro”. Il 28 marzo l’attacco fu rivendicato dal Cln (Comitato di liberazione nazionale) e ribadita la legittimità delle azioni del Gap “ai sensi del diritto internazionale di guerra”. Il solo voto contrario fu quello della Dcprona ai voleri di papa Pacelli”. I gappisti romani denunciarono l’assassinio di persone innocenti e scelte a caso per essere uccise barbaramente con “pretesto di una rappresaglia per una atto di guerra di patrioti italiani, senza forma alcuna di processo, senza assistenza religiosa, né conforto di familiari”. Un vero crimine di guerra, conforme alla strategia terroristica nazista.

Sull’attentato dei Gap e sul massacro delle Ardeatine si sono imbastite troppe falsità che Bentivegna, da alcuni anni scomparso, ha sempre smentito. L’ordine per l’eccidio degli innocenti non venne impartito da Hitler, ma dal generale Eberhard von Mackensen. L’organizzazione della rivendicazione venne affidata al maggiore delle SS Herbert Kappler che, in 12 ore, compilò le liste dei 335 condannati, tra cui vi erano 75 Ebrei. Nel totale risultarono cinque vittime in più in base alla proporzione 10/1, ovvero 10 italiani ogni tedesco ucciso. Una carneficina. Senza considerare che erano tutti liberi da pendenze penali o regolarmente sottoposti a processo. La magistratura accertò che all’organizzazione criminale aderì anche il capitano delle SS Eric Priebke, con la funzione di “cancellare dalle liste i nomi delle vittime man mano che scendevano dai camion.”. Venne accertato anche che fu lui ad accorgersi dell’errore di aver conteggiato erroneamente i giustiziati, ma sorvolò la questione non denunciando l’errore. Cinque vite in più o in meno per quel criminale erano evidentemente quisquilie.

L’esecuzione sulle vittime delle Ardeatine avvenne in pieno contrasto con quanto previsto dalla Convenzione dell’Aja del 1907 e di Ginevra del 1929 che stabilivano che “per espletare rappresaglie bisogna svolgere un’indagine per scoprire i colpevoli dell’azione scatenante, rispettando la proporzione fra fatto e reazione. Se la rappresaglia non viene resa nota pubblicamente si tratta allora di azioni terroristiche e di atti di vendetta”. Quanto accaduto in via Rasella e la conseguenza criminale dell’eccidio delle fosse Ardeatine resta ancora oggi una profonda ferita nella storia, soprattutto per quel rovescismo che ha permesso di alterare i fatti , manipolandoli ad opera dei fascisti e del Vaticano con una propaganda tesa esclusivamente a colpire i Partigiani e i Comunisti.

E oggi? Oggi che i vecchi Partigiani si sono anagraficamente estinti, cosa resta di quella storia fatta di amore per la libertà, non solo quella personale, ma libertà di tutti e per tutti coloro che sono repressi, umiliati, soggiogati, alienati e respinti dalla cosiddetta società civile? I Partigiani della Resistenza sono stati degli eroi, perché hanno trovato il coraggio di ribellarsi per ottenere la libertà dal nazifascismo e sono riusciti a debellarlo, a costo della vita. Oggi cantiamo ancora con enfasi “Bella ciao”, e festeggiamo il 25 Aprile, ma non basta. Non può bastare per riattualizzare la memoria della Resistenza e renderla viva, affinché si trasformi in azione e affinché anche oggi la Liberazione dagli oppressori sia possibile.


Fonti:

Rosario Bentivegna, Senza fare di necessità virtù. Memorie di un antifascista, Einaudi, 2011.

22/04/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Patria indipendente – Affresco della lingua italiana

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L'Autore

Alba Vastano

"La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re. Non si rende conto che in realtà è il re che è il Re, perché essi sono sudditi" (Karl Marx)


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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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