Il popolo di Vasco

“ Gli spari sopra, sono per voi”. Un tempo cantava così il Vasco nazionale, discolo dai piedi per terra, ottimo interprete del senso comune tanto da costruire un popolo.


Il popolo  di Vasco Credits: www.lasicilia.it

Vasco Rossi ha tenuto un concerto a Modena, seguito da oltre duecentomila persone, il concerto dei record, di cui si è discusso a lungo nelle televisioni, nelle radio e sui social network. La portata di questo evento rafforza, semmai ce ne fosse bisogno, il concetto sociologico sotteso all’espressione popolo di Vasco. È ormai più di un decennio che tale locuzione viene usata per descrivere la folla di fan che lo segue. Il popolo di Vasco è, però, qualcosa in più rispetto ad una semplice e indistinta sommatoria di persone. Esso condensa un sentimento comune di cui sarebbe interessante coglierne gli aspetti fondamentali.

Le riflessioni che propongo in questo testo si sviluppano principalmente a partire da alcune interviste rilasciate dal cantautore italiano e dall’ascolto delle sue canzoni principali che hanno fatto la storia musicale dell’artista, nel tentativo di cogliere quegli elementi che le hanno rese così aderenti al senso comune tanto da formare un popolo.

Si tratta ovviamente di una visione unilaterale senza pretesa di scientificità (sarebbe interessante poter intervistare il ‘popolo di Vasco’), ma che ha l’unico scopo di tratteggiare alcuni caratteri di questo senso comune che unisce tale popolo, che poi in larga parte si lega al divenire del senso comune negli ultimi anni in Italia.

Uno dei motivi conduttori nella storia musicale di Vasco è sicuramente il fatto, da egli più volte dichiarato, di prendere le distanze da un atteggiamento critico verso la realtà. “Mi limito a raccontare la realtà, non voglio fare prediche” . Questa scelta - indubbiamente utile sul piano del consenso perché, ovviamente, non prendendo parte non si hanno nemici a tutto vantaggio dell’impresa capitalistica - trova una sua aderenza sul piano spirituale nel fatto che la critica ai nostri giorni è vista da chi la subisce come un momento angosciante. Un popolo operaio stanco e sconfitto non vuole certo anche angosciarsi.

D’altro canto tale scelta non è di poco conto perché, come vedremo , devierà la storia musicale dell’artista e molte intuizioni anche interessanti rimarranno, in assenza di critica, fondamentalmente castrate.

Nelle mie canzoni- afferma l’artista romagnolo - è sempre presente la provocazione”. Difatti in una certa fetta della sua storia musicale questa traccia di ribellismo la ritroviamo. Tagliando con l’accetta, nel periodo che va da Albachiara a Stupendo.

La masturbazione femminile è un tabù? Bene, ecco che Vasco ve la spiattella in faccia in Albachiara. Provocatore. “Sei sempre il solito ribelle casinista”. Eh si… Siamo solo noi

In questi due brani che ho citato ritroviamo qualche elemento interessante. Non si comprende ancora bene cosa realmente sia, ma c’è una gabbia che ci opprime, un qualche schemino che vogliamo rompere, a partire dalla lotta generazionale figlio-genitore (Siamo solo noi), che rappresenta un carattere tipico, per dimensione di massa e caratteristiche, del Bel Paese.

Siamo negli anni Ottanta e l’artista sicuramente risente dell’influsso culturale di avanguardia ancora presente nella società italiana di quegli anni. Dunque, rompete gli schemi, ribellatevi alla monotonia che la vita vi sta prospettando e cioè una vita di sacrifici, seduti a volte dietro ad una scrivania o, molte più volte, ad eseguire compiti faticosi agli ordini di qualcuno, in generale, a svolgere un lavoro alienante. Cercate una Vita Spericolata. Vasco intuisce l’alienazione del ciclo produttivo, come peraltro la intuisce una buona fetta della società italiana, ma non comprende che se, come egli afferma, la ricerca di una vita spericolata non deve essere intesa come l’affogarsi negli eccessi della droga ma piuttosto come la cesura con lo schema imposto, allora diviene necessario lottare insieme per favorire la rottura di questi schemi.

Egli non comprende questo aspetto dell’unità al quale preferisce il ribellismo individuale, perché la sua “formazione”, a suo dire, è fondamentalmente anarco-individualista. Egli infatti afferma di essersi formato su Bakunin e sull’ideale che l’uomo sia in grado di autogestirsi. Per la verità Vasco ci tiene a specificare che tale ideale è irraggiungibile. Dunque, svuotata della lotta, la vita spericolata non può che realizzarsi solo nell’alcool, nella droga, nel feticismo per la velocità.

Vita spericolata dunque non raggiunge il suo obiettivo, tant’è che Vasco dovrà difendersi dall’accusa di essere un fomentatore di vizi estremi. Dunque la rabbia verso i potenti e le istituzioni, rimasta fondamentalmente castrata, raggiunge il culmine e allora ecco che C’è chi dice no. Vasco con questo brano raggiunge ed esorta ad una riflessione importante : il regno dei cieli non esiste. “Il regno lo vogliamo qui sulla terra”. Ancora una volta una buona intuizione alla quale però non fa seguito nessun canto di lotta. Nessun canto rabbioso che aiuti i sofferenti alla comprensione del reale per spingerli ad unirsi contro gli sfruttatori. Nessuna critica appunto.

Nel 1989 Vasco sale sul carro dei vincitori, inizia a purificarsi dalle tracce, seppur minime, di rivoltoso, per adeguarsi alla nuova stagione. Gli anni della gioventù rivoluzionaria lasciano il passo alla decadenza del nuovo corso, dunque c’è la necessità di adeguarsi al più presto per stare al passo con i tempi. Ponendo seri dubbi sul senso di quel tempo passato a discutere di massimi sistemi Vasco si libera di quel peso sulla coscienza di chi in fondo sa di aver tradito, denunciando la vacuità di quelle discussioni senza fine, si Liberi Liberi, ma liberi da che cosa?

Tutta questa rabbia incamerata, ma mai realmente sfogata, Vasco la tira fuori minacciando di sparare. Si, sparare Gli spari sopra In questo brano egli sembra aver preso coscienza che c’è un noi, annuncia che gli eserciti possono girarsi accennando alla rivolta ma, purtroppo, proprio non ce la fa ad uscire dall’individualismo che ormai domina incontrastato nel suo spirito. Significativa in questo senso è la forza del video, un vero e proprio corto in cui l’autore veste i panni del vendicatore, in una farsesca caricatura di Rambo, cioè dell’emblema della vendetta personale.

Fin qui, dunque, la parabola del ribellismo senza comprensione del reale: il senso comune ci fa intuire lontanamente che c’è qualcosa che non va nell’alto ma non si comprende a fondo la dinamica del reale e dunque non si perviene alla necessità di unire le forze degli sfruttati. Chiaramente se le cose vanno male sul piano teorico, vanno bene, per Vasco, sul piano pratico perché è proprio in questi anni che va formandosi quella che poi sarà una parte consistente del suo popolo che per converso corrisponde alla sua fortuna economica.

Tale impostazione individualista è un carattere tipico e presente nel senso comune come venuto a determinarsi negli ultimi anni in seguito alla frammentazione indotta dal ciclo produttivo dove tutti si sentono padroni di se stessi. Quante volte sentiamo, da un lavoratore subordinato, l’espressione “la mia azienda” oppure “la mia squadra”. L’individuoche si sostituisce alla classe. Il particolare senza l’universale. Donde, bisogna contare solo su se stessi. In questo modo si pongono le basi per la sconfitta. Il sogno americano ci conduce sostanzialmente all’essere né carne né pesce, né destra né sinistra, a non prendere parte ma ad essere cittadini singoli che sognano un divenire migliore che poi non arriverà mai, essendo che isolati si è condannati solo a subire.

La rabbia non può essere incanalata nella giusta direzione non avendo le coordinate per districarsi nella storia e, dunque, tende ad accumularsi nel menefreghismo, che talvolta diviene guerra tra poveri, o a concentrarsi intorno ad un confuso senso di repulsione verso un altrettanto confuso concetto di casta che ha come unica ricaduta, in assenza della lotta, il giustizialismo. Quelli che poi diverranno alcuni tratti tipici del grillismo.

Tutto questo contrasta ovviamente con un’impostazione di classe rispetto alla quale Vasco è costretto a prendere le distanze, anche perché per avere un’impostazione di classe la critica è necessaria, mentre lui la esclude a priori. E quale miglior modo se non approfittare della sconfitta storica per attaccare tutto il processo storico facendosi sponda sui traditori di sinistra? Un tempo rivoluzionari e ora a braccetto con Berlusconi, Stupendo. Anche nel testo di questa canzone si rimane alla superficie delle cose, il tradimento di alcuni diviene magicamente il fallimento di un intero pensiero. In questo caso l’errore è opposto, si universalizza senza osservare il particolare del processo storico. Con questa traccia, che appartiene all’album Gli spari sopra del 1993, a mio avviso si esaurisce la spinta propulsiva di Vasco e si ritorna al principio: la vita spericolata, intesa come rottura degli schemi dominanti, non è possibile, rassegnatevi, bisogna pur Vivere.

Vivere, sempre nello stesso album, preannuncia infatti già la sconfitta inevitabile, quella che era nelle cose: abbiamo sognato una vita migliore ma ora che il sogno è finito e non è divenuto reale non rimane altro che cantare la rassegnazione. Qui si coglie in pieno il senso di frustrazione e di rassegnazione, altro carattere tipico del senso comune: “ si nasce incendiari e si muore pompieri”…

A me pare che proprio in questi anni – in cui, dopo la caduta del Muro di Berlino e la firma del trattato di Maastricht ecc., si iniziavano a definire le caratteristiche fondamentali dell’epoca in cui viviamo attualmente - termini la storia musicale che ha formato i caratteri fondamentali del “popolo di Vasco”. Il resto credo sia solo la continuazione del canto triste e rassegnato, tipico della sconfitta, nei confronti del Mondo che non è come Vorrei, con qualche piccolo rigurgito di ribellismo di ritorno appena accennato.

Il successo attuale è più ascrivibile alla pressione massmediatica indotta e alla potenza economica del suo impero. Infatti, ai suoi concerti Vasco canta principalmente i caratteri del suo popolo e cioè la musica passata vestendo i panni tipici dell’ex combattente che ti racconta i suoi tempi.

Certo è da considerarsi anche che, trattandosi di una storia musicale, non si può astrarre completamente dal fatto che una parte del popolo è attratta semplicemente dalla musicalità e dalla qualità di questa, ma questo aspetto non credo sia dominante nel caratterizzare la storia di questo popolo.

#bravoragazzo, #ribellismo, #Individualismo, #sognoamericano, #menefreghismo, #rassegnazione, ecco il trenino di tags che mi verrebbe in mente per descrivere Vasco. A questo punto un populista di sinistra potrebbe insorgere dicendo che è nel senso comune che bisogna costruire la nostra egemonia. Dunque prendere ciò che c’è di buono ed esaltarlo, isolandolo dal resto. Che nel caso di Vasco significherebbe esaltare le forme embrionali di ribellismo e la lotta contro l’alto pure accennata in un certo periodo. Ma come si fa ad isolare un fenomeno senza comprenderlo nella sua totalità ?

Io credo che invece il senso comune debba necessariamente superarsi nel buon sens,o cioè in quella condizione contraddistinta dal dubbio quale elemento necessario per aprirsi alla critica. Nel far questo è necessario andare alla radice delle questioni disvelando la linea di sviluppo della cosa, criticandola, dunque superando lo stesso senso comune. Al contrario, il rischio è quello di rimanere impantanati sulla superficie della cosa, cioè al livello del suo fenomeno, di ciò che appare, ovvero perseverare ad alimentare confusione, disorientamento, giungendo in ultima istanza a prestare il fianco agli sviluppi più reazionari.

 

https://www.youtube.com/watch?v=ndlUO-ThKeo

https://www.youtube.com/watch?v=vvOnSGmYzdU

intervista a vasco rossi

https://www.youtube.com/watch?v=8FHfeICB8K4&t=177s

https://www.youtube.com/watch?v=mMdLmlnorHc

09/07/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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