Lenin vs il riformismo III e ultima parte

Proseguendo con la denuncia da parte di Lenin dei sette peccati capitali del revisionismo di destra e l’opportunismo di sinistra, concludiamo la dura requisitoria contro il riformismo


Lenin vs il riformismo III e ultima parte Credits: http://russiaintranslation.com/2018/01/25/morte-lenin-mistero-scomparsa-leader-comunista/

Segue da “Lenin vs il riformismo II parte

A parere di Vladimir I. U. Lenin, nel momento in cui la maggioranza degli operai avverte l’esigenza di una rottura netta con i riformisti, chi si ostina in nome della lotta al frazionismo a difendere la convivenza nella stessa organizzazione di rivoluzionari e revisionisti è, in realtà, uno scissionista, in quanto tale attitudine, costituisce “la più impudente violazione della volontà della maggioranza degli operai” [1]. Giunti a questo punto, dunque, come sottolinea Lenin: ogni unità nello stesso partito politico con i riformisti costituisce “un oggettivo tradimento del marxismo” [2]. Nonostante l’effettiva validità della parola d’ordine dell’unità, per cui scrive Lenin: “l’unità è una grande cosa e una grande parola d’ordine! Ma la causa operaia ha bisogno dell’unità dei marxisti, e non dell’unità tra i marxisti e i nemici e travisatori del marxismo. (..) noi abbiamo chiamato alla coesione di tutte le forze del marxismo, all’unità dal basso, all’unità nel lavoro pratico. Nessuna civetteria con i liquidatori [3], nessuna trattativa diplomatica con i circoli dei distruttori del blocco marxista!” [4]. Questi ultimi, “sono un gruppo di legalitari che hanno abbandonato il partito e conducono una politica operaia liberale” [5], ovvero “un tradimento del marxismo e del partito, e in tal caso parlare di ‘pace’ o di ‘unità’ con una tale politica, con i gruppi che la attuano, significa ingannare se stessi e gli altri” [6].

La rottura nel modo più netto con la “politica operaia liberale” è considerata da Lenin decisiva per poter divenire egemoni sui settori più arretrati della classe operaia i quali, in mancanza di questa decisa separazione, continueranno a confidare nella destra sociale. Come osserva a questo proposito Lenin, richiamandosi a un socialista britannico, “il partito operaio – disse McLachlan – tiene sempre conto dell’azione che il suo voto eserciterà sulle sorti del governo. Cade il ministero, si indiranno nuove elezioni. Ma non c’è nessuna ragione di temerle. Se cadesse il ministero e si indicessero nuove elezioni, il risultato sarebbe che i due partiti borghesi si unirebbero (..). Ma quanto più presto si uniranno tanto meglio sarà per il nostro movimento. (..) Finché non sarà così, l’operaio tory (cioè conservatore) non crederà mai che ci sia qualche differenza fra il partito operaio e quello liberale. Anche se perdessimo tutti i seggi in parlamento ma difendessimo i nostri principi, trarremo più vantaggi che non dagli sforzi di lisciare il governo liberale per ottenere da esso concessioni!” [7]. Tanto più che, come osserva acutamente Lenin, “quanto più elevato è lo sviluppo del capitalismo in un dato paese, quanto più netto è il dominio della borghesia, quanto più grande è la libertà politica, tanto più vasto è il campo in cui viene adottata la ‘nuovissima’ parola d’ordine borghese: le riforme in contrapposto all’abbattimento rivoluzionario di questo potere” [8]. È, dunque, quest’ultima, come denuncia Lenin, “la formula della borghesia contemporanea ‘progredita’, colta” [9].

Il compito storico della costruzione del Partito rivoluzionario non passa per l’unificazione di gruppuscoli e consorterie di intellettuali, ma per l’organizzazione dei lavoratori più coscienti che “accettino e applichino le risoluzioni marxiste ben definite sui problemi della tattica e dell’organizzazione” [10]. Una unità, dunque, dal basso che si sperimenta nella concreta prassi politica, fondata “sulla disciplina di classe, sull’accettazione della volontà della maggioranza, sul lavoro comune nelle file di questa maggioranza e tenendo il passo con essa” [11]. Del resto, a parere di Lenin, l’autonomia di classe è indispensabile sia per contrastare efficacemente le temibili sirene del riformismo, sia per poter conseguire, mediante il conflitto sociale in una prospettiva rivoluzionaria, autentiche riforme. Come osserva a questo proposito Lenin: “gli operai, comprendono che se il capitalismo rimane, le riforme non possono essere né durature né serie, lottano per i miglioramenti e li utilizzano per continuare una lotta più tenace contro la schiavitù salariata. I riformisti cercano, mediante elemosine, di dividere e ingannare gli operai, di distoglierli dalla lotta di classe. Gli operai resisi conto della falsità del riformismo, si servono delle riforme per sviluppare e allargare la loro lotta di classe. Quanto più forte è l’influenza dei riformisti sugli operai, tanto più impotenti questi sono, tanto più dipendono dalla borghesia, tanto più per questa è facile ridurre a nulla, con diversi sotterfugi, le riforme. Quanto più il movimento operaio è autonomo, profondo, largo di prospettive, quanto più esso è libero dalla grettezza del riformismo, tanto meglio gli operai riusciranno a consolidare e a utilizzare singoli miglioramenti” [12].

Tanto più che Lenin, come Rosa Luxemburg, ritiene mistificante la stessa tradizionale contrapposizione fra riformisti e rivoluzionari, in quanto mentre i primi lo sono solo a parole, ma nei fatti sono o funzionali alla rivoluzione passiva, o realizzano addirittura controriforme, i secondi non disdegnano affatto le riforme, anzi le ritengono talmente essenziali da non poterle lasciare ai riformisti. Perciò, afferma nel modo più netto Lenin, di contro a qualsiasi infantilistico opportunismo di sinistra e anarchismo: “i marxisti non solo non restano indietro, ma al contrario sono decisamente avanti a tutti nell’utilizzazione pratica delle riforme e nella lotta per le riforme” [13]. Allo stesso modo, Lenin aveva polemizzato a fondo contro i menschevichi che, dalla natura borghese della Rivoluzione di febbraio del 1917, pretendevano di dedurre che, necessariamente, tale fase storica dovesse essere guidata dalla borghesia e non dal proletariato. Al contrario per Lenin solo quest’ultimo poteva portare in Russia al pieno compimento della rivoluzione borghese e al suo superamento dialettico nella rivoluzione socialista: “dal fatto che il contenuto della rivoluzione è borghese, si trae in Russia la banale conclusione che la borghesia ne sia la forza motrice, che il proletariato non abbia invece da assolvere in questa rivoluzione se non compiti subordinati e non autonomi, e che una direzione proletaria della rivoluzione sarebbe impossibile!” [14].


Note:

[1] V. I. U. Lenin, Come si viola l’unità gridando che si cerca l’unità [maggio 1914], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 217.
[2] Ivi, p. 227.
[3] Osserva a tal proposito Lenin: “quando parliamo del liquidatorismo, ci riferiamo a una corrente ideologica determinata, che si è formata nel corso di parecchi anni, che, nella storia ventennale del marxismo, ha messo le sue radici nel ‘menscevismo’ e nell’‘economicismo’ e che si è legata alla politica e all’ideologia di una classe determinata, la borghesia liberale” Ivi, p. 228.
[4] Id., Unità [12 aprile 1914], in op. cit., p. 205.
[5] Id., Come si viola… cit., in op. cit., p. 221.
[6] Ivi, p. 227.
[7] Id., Discussioni in Inghilterra sulla politica operaia liberale [ottobre 1912], in op. cit. p. 171.
[8] Id, Il riformismo nella socialdemocrazia russa [settembre 1911], in op. cit., p. 146.
[9] Ibidem.
[10] Id., Sull’avventurismo [9 giugno 1914], in op. cit. p. 233.
[11] Id., Unità cit., op. cit., p. 206.
[12] Id., Marxismo e riformismo [Settembre 1913], in op. cit., pp. 174-75.
[13] Ivi, p. 176.
[14] Id., Prefazione alla traduzione russa delle Lettere di K. Marx a L. Kugelmann [5 febbraio 1907], in op. cit., p. 56.

21/03/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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