Marx, l’uguaglianza formale e lo sfruttamento reale

Marx estende ai rapporti socio-politici la critica di Feuerbach alla rappresentazione religiosa, quale proiezione all’esterno da parte dell’uomo della sua essenza che, in tal modo, gli si contrappone nella sua oggettivizzazione in un’alterità fantastica.


Marx, l’uguaglianza formale e lo sfruttamento reale

Già nell’epoca del Direttorio gli ideali della Rivoluzione francese trovano la loro realizzazione prosaica. Con il pieno esplicitarsi del dominio borghese, anche i diritti umani depongono il loro idealismo teorico e svelano il loro fondamento pratico. Sciolta dai legami politici medievali la società civile libera i suoi spiriti animali idealisticamente repressi dal terrore ispirato a un’eticità ancora ispirata al modello antico. Come osservano a tal proposito a ragione Marx ed Engels: “solo dopo la caduta di Robespierre l’illuminismo politico, che aveva voluto sorpassare se stesso, che aveva vissuto una fase di esaltazione, comincia a realizzarsi prosaicamente. Sotto il governo del Direttorio la società civilela rivoluzione l’aveva liberata dai legami feudali e l’aveva riconosciuta ufficialmente, per quanto il Terrore avesse voluto sacrificarla a una vita politica antica – esplode in potenti correnti vitali. Sviluppo tempestoso e impetuoso di imprese commerciali, desiderio di arricchimento, ebbrezza della nuova vita civile, il cui primo godimento di se stessa è ancora audace, leggero, frivolo, inebriante; illuminismo reale della terra francese, la cui organizzazione feudale era stata frantumata dal martello della rivoluzione, della terra che ora il primo ardore febbrile dei molti nuovi proprietari sottopone a una coltura intensiva; primi movimenti dell’industria diventata libera: questi sono alcuni segni della vita della società civile appena sorta. La società civile è rappresentata positivamente dalla borghesia. La borghesia inizia quindi il suo governo. I diritti dell’uomo cessano di esistere semplicemente nella teoria[1]. Non si tratta, però, della realizzazione del concetto di uomo, della riappropriazione reale del suo essere sociale alienato. Tanto più che, come spiega Marx, “l’essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali” [2].

L’uomo borghese vi si presenta nella sua prosaica realtà, senza tutti i veli di cui si ammanta quale membro della comunità statuale. Nella società civile, infatti, “ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con occhi liberi da ogni illusione la loro posizione nella vita, i loro rapporti reciproci” [3]. Dietro i principi del liberalismo, dei diritti umani si celano gli interessi reali, che ne capovolgono l’enunciato idealistico.

Gli interessi particolari della borghesia rivoluzionaria giunta al potere si impongono quali condizioni comuni e generali di vita di una società civile resasi indipendente dalla politica che, anzi, sempre più conforma sulla base dei propri scopi. Nella società borghese moderna, tolti gli stati d’eccezione come il Terrore, il cittadino non è la verità dell’uomo, ma è il borghese la verità del cittadino: “le formule liberali sono l’espressione idealistica degli interessi reali della borghesia”. Al contrario, il teorico della piccola borghesia si illude “che l’ultimo scopo del borghese sarebbe di diventare un perfetto liberale, un cittadino dello Stato. Secondo lui il bourgeois non è la verità del citoyen, ma il citoyen è la verità del bourgeois. In tal modo, il dominio della borghesia viene trasformato “in un’«idea, niente altro che un’idea» e «lo Stato» figura come «il vero uomo», i diritti «dell» uomo, la vera consacrazione” [4]. Presupposto dei diritti dell’uomo e del cittadino è l’individuo reale, liberato in duplice senso del suo essere politico e sociale cui era vincolato nel mondo feudale. “Nella classe borghese, come in qualsiasi altra classe, le condizioni personali si sono semplicemente sviluppate fino a diventare condizioni comuni e generali, nell’ambito delle quali i singoli membri della classe possiedono e vivono. Se nel passato illusioni filosofiche di questo genere poterono avere corso in Germania, oggi però esse sono diventate assolutamente ridicole, da quando il commercio mondiale ha dimostrato a sufficienza che il guadagno borghese è del tutto indipendente dalla politica, e che la politica invece dipende interamente dal guadagno borghese” [5].

Marx estende ai rapporti socio-politici la critica di Feuerbach alla rappresentazione religiosa, quale proiezione all’esterno da parte dell’uomo della sua essenza che, in tal modo, gli si contrappone nella sua oggettivizzazione in un’alterità fantastica [6]. Nella società borghese, infatti, diventa reale la rappresentazione cristiana per cui si onora la sovranità dell’uomo, ma come un estraneo. A essa corrisponde la degradazione dell’attività generica umana, il lavoro, sotto il dominio del bisogno pratico ed egoistico, oggettivato in un essere altrettanto ostile, che assume esistenza alienata nel capitale [7]. “L’oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce” [8]. A tal proposito, Finelli denuncia “l’incapacità della forza-lavoro non solo di appropriarsi del prodotto da essa realizzato (espropriazione giuridica) ma, soprattutto, di mettere in moto i mezzi di produzione (espropriazione del processo di lavoro)” [9].

L’alienazione dell’attività generica, sociale dell’uomo, l’alienazione della forza-lavoro nel capitale è il fondamento dell’alienazione dei diritti politici. Questi ultimi, sulla base dei quali tutti gli uomini possono potenzialmente divenire capi dello Stato, possono essere paragonati a ciò che avviene nella sfera della concorrenza dove si scambiano “liberamente” equivalenti di valore. Dunque nel regno delle apparenze dello scambio, capitalisti e proletari sono eguali e tutto avviene rispettando i grandi princìpi della libertà e dell’eguaglianza. Allo stesso modo gli uomini sembrano eguali sul piano ideale dei diritti umani. Ma il fondamento nascosto di tale eguaglianza formale è la schiavitù reale dei lavoratori salariati nell’antro oscuro della produzione del plusvalore, il cui ingresso è vietato agli estranei.

Allo stesso modo, osserva il giovane Marx: “la costituzione politica fu sino ad ora la sfera religiosa, la religione della vita del popolo, il cielo della sua universalità rispetto all’esistenza terrestre della sua realtà. La sfera politica (…) fu il vero universale (…) ma al contempo in tale modo che, con l’opporsi di queste sfere alle altre, il suo contenuto divenne anch’esso un contenuto formale e particolare” [10]. Così lo Stato si rapporta alla società civile come la religione nel medioevo al mondo reale. Se ne distaccano con superiorità, ma in realtà ne sono dominati [11].

Note:

[1] Marx, K. e Engels, F., La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di Zanardo, A., Editori riuniti, Roma 1967, p. 181.

[2] Marx, K., Tesi su Feuerbach, in Marx-Engels, Le opere, Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 189-190. Tanto più che, come notano a ragione Marx ed Engels: “la letteratura socialista e comunista della Francia, nata sotto la pressione di una borghesia dominatrice ed espressione letteraria della lotta contro questo dominio, fu importata in Germania in un periodo in cui la borghesia aveva appena cominciato la sua lotta contro l’assolutismo feudale. (…) In rapporto alle condizioni tedesche la letteratura francese perdette ogni significato pratico immediato e assunse un aspetto puramente letterario. Essa doveva apparire come una oziosa speculazione sulla vera società, sulla realizzazione dell’essenza umana.” Marx, K. e Engels, F., Manifesto del partito comunista [1848], in Id., Opere complete 1845-1848, vol. VI, tr. it. di Togliatti, Palmiro, Editori Riuniti, Roma 1978, p. 510.

[3] Ivi, p. 489.

[4] Id., L’ideologia tedesca, tr. it di Codino F., Editori Riuniti, Roma 1967, p. 181.

[5] Ivi, pp. 345-46.

[6]Quante più cose l’uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso” Marx, K., Manoscritti economico filosofici del 1844 a cura di Bobbio, Norberto, Giulio Einaudi editore, Torino 1968, p. 72.

[7] Come osserva ancora a tal proposito acutamente Marx: “la vendita è la prassi dell’alienazione. Come l’uomo, finché è schiavo del pregiudizio religioso, sa oggettivare la propria essenza soltanto rendendola un’essenza estranea e fantastica, così sotto il dominio del bisogno egoistico egli può operare solo praticamente (…) ponendo i propri prodotti, come la propria attività, sotto il dominio di un essere estraneo e conferendo ad essi il significato di un’essenza estranea: il denaro.” Bauer, Bruno, Marx, K., La questione ebraica, tr. it. di Tomba, M., Manifestolibri, Roma 2004, pp. 205-206.

[8] Marx, K., Manoscritti, op. cit., p. 71.

[9] Finelli, Roberto, Tra moderno e postmoderno. Saggi di filosofia sociale e di etica del riconoscimento, Pensa Multimedia, Lecce 2005, p. 165.

[10] Marx, K., Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Marx-Engels, Le opere, Editori Riuniti. Roma 1971, p. 15.

[11] Così “famiglia e società civile sono i presupposti dello Stato, sono essi propriamente gli attivi. Ma nella speculazione diventa il contrario: mentre l’idea è trasformata in soggetto, quivi i soggetti reali, la società civile, la famiglia, «le circostanze, l’arbitrio» etc., diventano dei momenti obiettivi dell’idea, irreali, allegorici.” Ivi, p, 6.

02/06/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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