PERCORSI DI PENSIERO CRITICO – C’è speranza... se torniamo a Lodi

Questo su Mario Lodi è il primo di una serie di articoli sul pensiero critico nella pedagogia e nella letteratura per l’infanzia. In questo momento il nostro paese sembra essere la patria del pensiero acritico. Dopo decenni di massificazione e omologazione, orchestrate con sapienza da grandi imprenditori e politici, si ha l’impressione che non esistano strade da percorrere per riportare i bambini a un pensiero critico. Per fortuna, non è così.


PERCORSI DI PENSIERO CRITICO – C’è speranza... se torniamo a Lodi

Sia in Italia che nel resto del mondo non si è mai spenta la corrente dell’educazione responsabile e critica, che vede nel bambino non un oggetto da riempire di contenuti bensì un essere in crescita da rispettare, accudire e indirizzare all’autonomia intellettuale e culturale.

Prima di analizzare il pensiero del maestro Lodi, facciamo un veloce excursus sulla sua vita, che dice molto sul suo stesso pensiero.

Mario Lodi nasce a Piadena, vicino a Cremona, nel 1922. Sin dagli anni della scuola superiore manifesta il suo spirito pacifista, ribellandosi contro la guerra e il pensiero fascisti. Per questo motivo, negli anni del conflitto bellico subisce il carcere come prigioniero politico e nel 1945 aderisce al Fronte della Gioventù per l’Indipendenza Nazionale e per la Libertà, la più grande associazione giovanile partigiana sorta in Italia. In seno a questa organizzazione, Lodi crea riviste, attività di teatro e soprattutto una scuola popolare gestita da docenti volontari.

Nel 1948 viene nominato maestro di ruolo e si avvicina al movimento di Cooperazione Educativa, che riunisce intorno al pensiero del pedagogista francese Celestin Freinet quei docenti che, rifiutando la scuola trasmissiva e nozionistica, si impegnano per dar vita a una pedagogia attiva, attraverso la quale il bambino possa sperimentare personalmente (calcolo vivente, testo libero...) e giungere alla conoscenza attraverso le attività espressive e laboratoriali. Tutt’altro che scomparso, il Movimento di Cooperazione Educativa in Italia è ancora vivo e ha dato vita ad esperienze imprescindibili come quella del maestro Franco Lorenzoni a Cenci o di Gianfranco Monaca a Serravalle d’Asti.

Dall’impostazione della Cooperazione Educativa nascono i due pilastri dell’opera di Mario Lodi:

- i testi scritti dai suoi bambini, come per esempio Bandiera [2], Cipì [3] e Bambini e Cannoni [4], solo per citarne tre tra i maggiori, in cui il ruolo dell’adulto è quello di organizzatore e mai creatore;

- La Casa delle Arti e del Gioco, realizzata dopo il pensionamento dalla scuola pubblica con i proventi del premio internazionale Lego in una cascina a Drizzona, vicino a Piadena. Ben presto la Casa delle Arti diviene luogo imprescindibile per lo scambio di esperienze tra docenti e educatori che vogliono portare la scuola italiana a un’innovazione che ne faccia luogo di vera formazione umana e valoriale e non di mere acquisizioni nozionistiche.

Mario Lodi muore a Drizzona nel 2014, ancora impegnato nelle sue attività formative. 

Nel 2022 si è celebrato il centenario dalla nascita, ed è stata un’occasione per convegni e pubblicazioni che lo hanno riportato all’attenzione di quei giovani docenti che, cresciuti nella “Scuola delle tre I” figlia dell’avvilente riforma Moratti, non avevano alcuna conoscenza di questo prezioso caposaldo della pedagogia.

Questo breve profilo biografico non vuole né può essere esaustivo di tutto ciò che Mario Lodi ha realizzato, delle collaborazioni (Lele Luzzati, Dario Fo, solo per citarne alcune) e delle contaminazioni culturali cui ha dato vita. Per questo rimandiamo alle numerose biografie e ai saggi di approfondimento sulla sua figura ma, soprattutto, ai suoi stessi testi, che sono testimonianze vive e ragionate di come si possa rendere il bambino protagonista critico della propria vita.

C’è speranza

“Ecco i principi alternativi a quelli della scuola autoritaria di classe: le attività motivate dall’interesse invece che dal voto, la collaborazione al posto della competizione, il recupero invece della selezione, l’atteggiamento critico invece della ricezione passiva, la norma che nasce dal basso come esigenza comunitaria invece dell’imposizione della disciplina fondata sul timore.”

Mario Lodi, da C’è speranza se questo accade al Vho [5]

C’è speranza se questo accade al Vho [6] è la cronaca dell’esperienza educativa svolta dal maestro Lodi nella piccola Vho, frazione del suo paese, in cui viene trasferito nel 1956. 

Il testo ha forma di diario, in cui quasi quotidianamente il maestro appunta i piccoli e grandi avvenimenti della quotidianità scolastica. Veniamo a scoprire, quindi, lo stupore delle colleghe che si trovano di fronte alla tipografia creata da Lodi con donazioni e che porterà alla stampa del giornalino scolastico, così importante nella metodologia della Cooperazione Educativa.

Il giornale è l’occhio dei bambini sul mondo circostante, sia pure quello del paese in cui vivono, ma anche sui grandi avvenimenti storici che coinvolgono tutti e che il maestro veicola loro attraverso i quotidiani. In questo modo i bambini acquisiscono capacità di analisi e di giudizio critico; non si possono limitare a immagazzinare ciò che i testi scolastici scodellano loro ma devono capire il perché dei vari avvenimenti, ricostruirne la cronaca e darsene una spiegazione personale: tutto ciò crea in loro la curiosità e la voglia di comprendere e li trasforma da passivi ascoltatori ad attivi indagatori. Il maestro Lodi, però, nella sua onestà intellettuale, non presenta la sua classe con parole idilliache, anzi: ci racconta che sono confusionari, poco propensi all’impegno e, soprattutto i maschi, maneschi. Il lavoro, quindi, gli appare per quello che è: sfiancante.

“... i maschi sono prevalentemente rumorosi e invadenti...non essendo abituati alla conversazione ordinata, prima gridano, poi, accorgendosi di non aver rispettato la norma... si scambiano epiteti poco edificanti. Pressoché generale è il pettegolezzo e naturalmente la superficialità...” [7].

Il maestro guarda con lucidità i suoi bambini e da loro deve partire; non si fa illusioni ma sa di poter ottenere qualcosa; piccoli progressi personali che divengono acquisizioni del gruppo-classe. Ognuno fa la sua piccola parte. Nella classe non c’è cattedra (come insegna lo stesso Freinet); l’insegnante, quindi, passeggia e siede tra loro e diventa parte delle loro attività. Ancora la scuola italiana fatica ad ammetterlo, ma la cattedra è un muro che poniamo tra il mondo adulto e quello dell’infanzia: da una parte si impara e dall’altra si insegna. Ma non è così; solo attraverso la condivisione, il maestro può rendersi conto del punto di vista dei bambini, delle loro reali difficoltà e potenzialità, e solo attraverso essa può iniziare a farli camminare con le proprie gambe. Lodi ci racconta che pian piano (siamo già nel 1959) ogni bambino è in grado di stilare un piano di lavoro personalizzato, in cui si impegna – con se stesso prima che con il maestro – a correggere i propri difetti e a rafforzare le proprie prestazioni, con la finalità di apprendere in modo critico.

“– Io faccio tre schede delle maiuscole, perché ne sbaglio ancora!– esclama Alberto.

– Io invece faccio solo una scheda di lettura perché leggo abbastanza bene, ma ne faccio cinque della punteggiatura... – dice Mario” [8]

Questi sono i bambini di Lodi, che la mattina e nel primo pomeriggio vanno a scuola ma prima e dopo le lezioni (e il giovedì, che è ancora di riposo, come nel ventennio) vanno a lavorare: chi in fabbrica, chi nelle cascine, chi nei boschi a raccogliere la legna, chi a pascolare gli animali. Spesso si addormentano a scuola, eppure sono orgogliosi di sé perché vedono che il maestro crede in loro e li sostiene nei compiti “da grandi” che assegna.

Il maestro crea la biblioteca scolastica e quei bimbi che a casa, nella maggior parte dei casi, non hanno alcun libro, possono permettersi il lusso di leggerne tanti, scambiarseli e sentire le recensioni di chi ha letto prima di loro, imparare a riconoscere i generi che sono più confacenti a ognuno...: in altre parole imparano a leggere in modo critico, non supino, a scegliere e consigliare. Sono soggetti attivi della propria crescita intellettuale.

Quando finiscono le lezioni, tutta la scuola si trova in cortile e si saluta con canti e balli accompagnati da semplici strumenti che alcuni iniziano a suonare, ed è festa. Festa grande ogni pomeriggio. Perché bisogna festeggiare il fatto di stare insieme e di crescere, di imparare e di prepararsi ad entrare da protagonisti nella vita.

Il paese sbagliato

“Distruggere la prigione, mettere al centro della scuola il bambino, liberarlo da ogni paura, dare motivazione e felicità al suo lavoro, creare intorno a lui una comunità di compagni che non gli siano antagonisti, dare importanza alla sua vita e ai sentimenti più alti che dentro gli si svilupperanno...” [9]

Il paese sbagliato è un altro tassello fondamentale nella costruzione della pedagogia di Lodi che fa tesoro della precedente esperienza e la arricchisce, sia a livello metodologico che contenutistico. I bambini, ormai abituati all’impostazione del maestro, ne vanno orgogliosi e se ne appropriano con crescente consapevolezza. Lui, da parte sua, affonda ancora di più nella realtà sociale e li porta a indagare in modo sempre più approfondito sulle famiglie e la società in cui stanno crescendo.

Ci sono passi da cui si evince il forte impulso alla comprensione delle dinamiche del mondo del lavoro che lo studioso Lodi imprime ai suoi contributi: “Lo studio della conduzione aziendale si è ramificato in diverse direzioni: le macchine, gli animali, le piante e le coltivazioni, la lavorazione dei prodotti, l’igiene, l’architettura della cascina... ” [10]

Il maestro riesce a dare visibilità – e quindi credibilità – ai suoi bambini, tanto che le loro esperienze, pubblicate sul giornale per l’infanzia del PCI, “Il Piccolo Pioniere”, vengono lette dall’abbonato Gianni Rodari, che scrive loro, analizza il testo e si congratula. Forse oggi ci sfugge la portata di una tale esperienza ma, se la riportiamo a bambini di 60-70 anni fa, poveri e spesso deprivati dei più elementari diritti (cibo, riposo, vestiti caldi...) appare in tutta la sua rivoluzionarietà: il mondo “grande” entra in quello dei bimbi e la contaminazione ha inizio. Ognuno può cominciare a vedere la realtà dell’altro e a calibrare la propria su di essa.

Il mondo del lavoro viene spiegato e vissuto in modo più consapevole: doveri ma anche diritti, opportunità e propensioni personali. Il maestro fa scoprire ai bambini che ognuno ha proprie capacità e potenzialità e su quelle deve cominciare a basare la propria crescita. A tutt’oggi appare una presa di posizione assurda, in una scuola in cui il bambino deve essere bravo con i media, parlare bene inglese e, soprattutto, non creare problemi.

Questo breve intervento non vuole essere un lavoro esaustivo sull’opera del maestro Lodi, che appare ancora in gran parte sottovalutata o addirittura ignorata; semplicemente, pensiamo che la sua pedagogia abbia aperto strade che dobbiamo ancora percorrere ma che ci condurrebbero a un bambino nuovo, collaborativo, critico, responsabile: ad una persona. 

 

Note:

[1] Mario Lodi, Il paese sbagliato, Torino, Einaudi, 1970

[2] Mario Lodi e i suoi bambini, Bandiera, Torino, Einaudi, 1960

[3] Mario Lodi e i suoi bambini, Cipì, Torino, Einaudi, 1961

[4] Mario Lodi e i suoi bambini, Bambini e cannoni, Torino, Einaudi, 1987

[5] C’è speranza se questo accade al Vho, Torino, Einaudi, 1963

[6] ibidem

[7] ibidem

[8] ibidem

[9] Mario Lodi, Il paese sbagliato, Torino, Einaudi, 1970

[10] ibidem

20/01/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Silvia Fuochi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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