Sulla moneta parallela: aggirare o abolire le regole europee?

La proposta di emettere una moneta parallela all'euro per bypassare le rigide regole dell'euro è destinata a scontrarsi con le autorità europee. Non servono trucchi contabili, ma un'alternativa a questa Europa.


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Nel luglio 2015 l'allora ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, prima della capitolazione di Syriza di fronte ai diktat della trojka, aveva fatto una proposta, nel tentativo di smarcare il suo paese dalle strette maglie delle regole europee senza tuttavia uscirne, visto che ciò nella sinistra – greca e non solo – era un tabù: l'emissione di una sorta di “moneta parallela” all'euro. In un suo precedente studio del 2014 aveva parlato di questo strumento definendolo “un sistema di pagamento denominato in euro” basato sulle tasse future e per questo chiamato FT (future taxes). Si trattava, in sostanza di assegnare al possessore un diritto allo sconto sulle tasse future, che potevano essere pagate con questo mezzo anziché con gli euro.

Usando le stesse parole di Varoufakis, avrebbe dovuto funzionare così:

Tu paghi, per esempio, 1.000 € per comprare 1 FT presso un sito web del Tesoro di una nazione in base a un contratto che impegna quel Tesoro: (a) a riscattare il FT per 1.000 € in qualsiasi momento o (b) di accettare il tuo FT due anni dopo la sua emissione come pagamento che estingue, per esempio, 1.500 € di tasse.

In ciascun FT è stampata la data di emissione che serve per verificare che non venga usato per estinguere le tasse prima che siano trascorsi due anni.

Ogni anno (dopo che il sistema sia operativo da almeno due anni [quindi che siano stati in parte accettati per pagare imposte n.d.r.]) il Tesoro emette una nuova partita di FT per sostituire quelli estinti, a condizione che il valore nominale del numero totale di FT in circolazione non superi una certa percentuale del PIL” (traduzione mia con omissioni non significative).

Inoltre tale moneta sarebbe stata negoziabile o spendibile elettronicamente in qualsiasi momento al pari dei noti bitcoin.

In termini pratici è come se il possessore avesse anticipato al Tesoro 1.500 € di tasse future, lucrando la differenza di 500 rispetto al valore nominale del titolo come compenso per l'anticipazione. Se lo stato quindi, da un punto sostanziale, diviene debitore, non altrettanto lo è formalmente, da un punto di vista giuridico, in quanto non siamo in presenza di semplici abbattimenti fiscali che producono deficit pubblico e quindi debito, ma solo alla scadenza determinano un minor gettito fiscale.

Quanto alla sostanza, Varoufakis, da buon keynesiano, si aspettava che questo escamotage, procurando nuova liquidità al governo, avrebbe consentito di mettere gratuitamente a disposizione dei membri più deboli della società risorse aggiuntive o di finanziare lavori pubblici. Il moltiplicatore keynesiano avrebbe fatto il resto, rilanciando l'asfittica economia. Il conseguente maggiore gettito fiscale avrebbe compensato il venir meno di entrate fiscali alla scadenza del titolo. Tutto questo bypassando “i vincoli imposti da Bruxelles”.

La proposta non fu accolta dal governo greco, verosimilmente a causa della preventiva opposizione delle “Istituzioni europee”, e Varoufakis si dimise.

Proposte analoghe, con varianti significative, sono apparse un po' ovunque, a partire da studi del Levy Institute e di Warren Mosler che suggerivano difatti l'uso di un simile strumento per risolvere la crisi del debito di alcuni stati europei privati della sovranità monetaria.

In Italia è uscito un e-book di Micromega [1] che fa ampio riferimento a questi precedenti. Nello specifico si propone di denominare questi titoli Certificati di Credito Fiscale (CCF), che vengano emessi a un valore nominale pari a quello delle tasse anticipate, senza quindi compenso per le anticipazioni e per un importo di 100 miliardi il primo anno e 200 il secondo.

Nell'introduzione al libro, Luciano Gallino sottolinea che questa nuova massa monetaria non è soggetta ad alcun rischio di svalutazione sul mercato: “Un CCF da 100 euro alla fine varrà sempre 100 euro, qualsiasi cosa accada sui mercati. Dove invece può accadere che una CDO o un CDS che al momento dell’emissione valeva 100, tempo dopo, quando si vuole rivendere, valga la metà o meno”. Sempre Gallino sostiene che “il denaro potenziale rappresentato dai CCF è denaro legalmente ‘pieno’ in quanto accettato per pagare le tasse allo stato” e che esso rappresenta “una prima riconquista da parte dello stato del potere di creare denaro a fronte del potere assoluto che finora hanno detenuto le banche private”. Infine, “diversamente dai comuni crediti bancari, per i quali l’uso che ne fa il debitore è quasi sempre indifferente, i CCF verrebbero emessi per finanziare specifici progetti di utilità collettiva”.

Siamo quindi in presenza di un generoso tentativo di aggirare i vincoli di austerità e la moneta unica europea per restituire allo stato nazionale margini di sovranità che gli permettano di praticare effettivamente scelte di politica economica in grado di contrastare la recessione e accedere a più virtuose scelte in campo sociale.

C'è da segnalare anche che il M5S sta pensando seriamente di adottare un simile strumento in ambito locale (per esempio nei comuni di Roma e Torino), come pure Silvio Berlusconi.

Se lo scopo è condivisibile, ragioniamo sulla praticabilità e l'efficacia di una moneta parallela.

Alcuni osservatori hanno sostenuto, con specifiche motivazioni, che non è vero che i titoli emessi siano senza rischio, ma che al pari degli altri sarebbero sottoposti al giudizio del mercato e – visto che non servono per le transazioni internazionali – il pubblico cercherebbe di procacciarsi euro che diventerebbero scarsi. I CCF così si svaluterebbero rispetto all'Euro e lo stato, per porre in essere una spesa di 100 dovrebbe emettere titoli di un valore nominale assai superiore, aggravando e non migliorando la sua posizione debitoria. Altre obiezioni riguardano la reale efficacia del moltiplicatore che gli economisti di scuola monetarista tendono a stimare molto basso, se non addirittura negativo, al contrario dei keynesiani. Ma non sono queste le obiezioni che più ci interessano.

Ci preme sottolineare invece un altro punto. L'affermazione dei sostenitori che i CCF sarebbero in grado di bypassare i vincoli europei sia perché, come detto sopra, giuridicamente non si crea un debito, sia perché si tratta di un'anticipazione sul prelievo fiscale, materia ancora a disposizione degli stati nazionali, non è convincente. Quando fa comodo a lorsignori, l'interpretazione delle regole europee, che compete a Bruxelles, non si attiene solo ai formalismi, ma principalmente alla sostanza delle cose, come prescrivono le stesse norme di contabilità europea. La maggiore spesa pubblica a fronte di un “pagherò” dello Stato peggiora senza dubbio il disavanzo e il debito pubblico. Nella sostanza c'è poca differenza fra un titolo del debito pubblico e i CCF, i quali alla scadenza debbono essere rimborsati, anche se sotto la forma di un abbuono di tasse. Il debito quindi aumenta e difatti i sostenitori, consapevoli di ciò, si affidano all'effetto del moltiplicatore per sostenere che esso non aumenterà. Ma così avverrebbe pari pari anche se la spesa pubblica fosse finanziata dall'emissione di titoli di stato. C'è quindi da temere che l'attento (quando gli fa comodo) censore europeo applichi le sanzioni del caso.

L'altro punto contestabile da parte delle autorità europee è che la Bce ha il monopolio dell'emissione di moneta. Se non siamo di fronte a un comune titolo di credito ma a una moneta parallela, allora si viola questa regola fondamentale. Se invece siamo di fronte a un titolo del debito pubblico, esso deve essere trattato contabilmente come tale e non può dare luogo a una maggiore flessibilità di bilancio, nonostante che tale debito venga onorato attraverso imposte future. In fondo dov'è la differenza col comune debito, anch'esso da onorare attraverso le entrate future?

C'è da capire quindi se ai poteri oligarchici europei faccia comodo permettere che gli stati nazionali possano emettere questa pseudo-moneta o se invece debbano impedirlo. La risposta non è difficile. Lo scopo delle regole europee è quello di sostenere i profitti, contenendo il costo del lavoro in ogni sua forma (diretta indiretta e differita) anche attraverso le politiche recessive, facendo attenzione che il tasso di disoccupazione non scenda mai al di sotto di quello che gli ortodossi chiamano tasso naturale, ma che in realtà è solo il tasso compatibile con le esigenze del capitale. Un'espansione economica promossa dalla spesa pubblica finanziata con questo strumento ridurrebbe i livelli di disoccupazione e quindi accrescerebbe il potere contrattuale dei lavoratori e con esso i salari diretti, mentre per quelli indiretti e differiti ci penserebbe il rilancio di politiche sociali. Solo i keynesiani continuano a credere che le politiche di austerità siano una follia e non un portato di precisi interessi di classe. Solo i keynesiani vedono la faccenda solo dal lato della domanda, ignorando che i saggi del profitto storicamente hanno subito una diminuzione e che le politiche liberiste non sono altro che il necessario (dal punto di vista del capitale) contrasto a questa tendenza.

Cercare di bypassare le regole europee senza abolirle, cercare di invertire le politiche economiche senza rompere con questa Europa, ricorrendo a trucchi contabili, si dimostrerà illusorio. La via maestra è un'alternativa di sistema che estrometta dalle leve del comando i grandi poteri economici sovranazionali e rimetta al centro della politica gli obiettivi di benessere e giustizia sociale garantiti da una forte presenza pubblica non solo nel campo dei servizi, pure essa smantellata in parte, ma anche nei settori economici strategici, nell'industria e nella finanza, completamente lasciati alla mercé di un mercato dimostratosi rapace e incapace.


Note:

B. Bossone, M. Cattaneo, E. Grazini, a cura di S. Sylos Labini e con prefazione di Luciano Gallino, Per una moneta fiscale garantita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro, gli eBook di Micromega / 6, www.micromega.net.

02/09/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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