Un bilancio 2021 di assistenza alle imprese

La legge di bilancio per l’anno corrente ingigantisce, moltiplicando il debito, il ruolo dello Stato erogatore e non attore. L’uscita dall’emergenza economica e sanitaria è delegata al capitale.


Un bilancio 2021 di assistenza alle imprese

È pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge di bilancio 178/2020. Data per certa l’assenza di stanziamenti per la destinazione dei fondi del recovery fund – dato che questi soldi potranno essere impegnati solo a partire dal 2023! – resta vana la speranza che il fabbisogno diminuisca grazie all’iniziativa di un qualche governo – certamente non questo – di elevare la progressività fiscale e tassare i grandi patrimoni. 

Sarebbe buona cosa perché quei soldi li dovremo restituire tutti e con gli interessi: una parte, essendo prestiti, in maniera diretta; l’altra, formalmente a fondo perduto, andrà comunque restituita in ragione del fatto che l’Italia è un contribuente al bilancio Ue. Su questa quota graveranno inoltre gli interessi e le rate di restituzione dei prestiti che l’Ue contrarrà sul mercato, dal momento che non è stata scelta la strada dell’intervento della Banca Centrale Europea, proibita dalle assurde regole di Maastricht. Poche speranze anche su un ripensamento circa il loro utilizzo che prevede, allo stato attuale, un misero 4% da destinare alla sanità, quota che sarà forse elevata all’8%, a seconda delle pressioni interne alla maggioranza di cui Conte dovrà tener conto per non vederla sfaldarsi, mentre il grosso dei fondi andrà come sempre alle imprese.

Ma veniamo al bilancio. Pur non riportando le passività di cui sopra, che saranno straordinariamente ingenti, il debito pubblico, secondo le previsioni governative, esplode ugualmente e per rendersene conto basta un rapido confronto fra il bilancio triennale dell’anno scorso e quello di quest’anno. Il bilancio 2020 aveva in previsione per il 2021 un saldo da finanziare in competenza di 56,5 miliardi di euro. Quest’anno di miliardi se ne prevedono 196 (+139,5 e +247%!). Inoltre il bilancio 2020 prevedeva un ricorso al mercato (debito pubblico da emettere) in competenza di 311,366 miliardi che lievitano oggi a 483 (+171,6 circa e + 55%). In termini di cassa le cose non vanno meglio: un saldo da finanziare di +150 miliardi e un ricorso al mercato di +199,4. Questo aumento impressionante del debito pubblico peserà come un macigno quando, finita l’emergenza, la Ue pretenderà il rientro. Lo spettro greco è davanti a noi, bisogna esserne consapevoli.

C’è da dire infine che sulle scelte di bilancio graverà la spada di Damocle della necessaria approvazione dell’Ue e che la loro piena attuazione sarà subordinata all’adozione di ben 176 decreti attuativi a cui rimanda la legge di bilancio.

Venendo alle scelte della destinazione dei soldi, le novità sono molte, e non poteva essere altrimenti nel quadro di una gravissima crisi economica e sanitaria. Ma a guardarle bene, si collocano tutte nel solco delle vecchie politiche.

Tralasciando il deprecabile metodo, ormai usualmente utilizzato per evitare emendamenti sgraditi, di mettere la sostanza della manovra in un unico articolone composto da oltre un migliaio di comma (1150 per l’esattezza), la somiglianza con il passato risiede nell’intatta filosofia liberista che permea l’intera manovra, nonostante la lezione impartita da questa emergenza.

Le “novità”, infatti, non sono altro che la moltiplicazione dei bonus, degli incentivi e delle agevolazioni fiscali e contributive da parte dello Stato alle imprese, delegando loro nei fatti – e a fronte di ingenti soldi pubblici che, stante il nostro sistema fiscale, dovranno essere ripagati prevalentemente dai lavoratori – la ripartenza della macchina economica del paese e in sostanza abdicando a un ruolo attivo e diretto dello Stato e a un ampliamento della sua sfera di azione in campo economico, nonostante i fatti abbiano dimostrato una maggiore capacità di uscita dall’emergenza sanitaria e dalla crisi economica delle economie a forte direzione pubblica.

Si stanziano, per esempio, fondi per incentivare il rientro in Italia dei “cervelli in fuga” e dei lavoratori altamente qualificati, ma non per aggredire le cause del loro allontamanento, ossia dedicando maggiori risorse alla ricerca pubblica e per un piano di rilancio del lavoro che fronteggi il dramma della disoccupazione. Oppure si stanziano bonus per gli affitti, mentre nessuna discontinuità si intravede rispetto alle politiche abitative che hanno causato nel tempo una drastica riduzione dell’offerta di alloggi pubblici. Stesso discorso per le famiglie con figli disabili: si eroga un contributo di 500 euro mensili per ogni figlio di madre monoreddito in tale condizione, stanziando allo scopo 5 miseri milioni, anziché intervenire nelle carenze assistenziali e di inserimento sociale/lavorativo dei disabili.

Dichiarazioni e proclami da parte degli esponenti del governo dipingono questo come un bilancio assolutamente adeguato all’emergenza ma, se non sono in malafede, e non vogliamo pensarlo, sembra chiaro manchi loro la fantasia di immaginare un modo di governare alternativo al consueto liberismo in salsa draghiana: fare più debito pubblico per abbattere quello privato.

Tra nuovi, prorogati e potenziati, i bonus per famiglie e cittadini riguardano l’acquisto di occhiali, depuratori dell’acqua potabile, veicoli elettrici, moto e bici, dispositivi per risparmiare acqua, servizi culturali e informativi, apparecchi Tv, la rottamazione di veicoli obsloleti, la connessione a Internet, gli interventi nelle abitazioni, i bonus bebè, figli disabili, diciottenni, i vaccini e presidi diagnostici Covid, gli affitti, salvo inevitabili omissioni. Si tratta nient’altro che di mance per accontentare cospicue fette di elettorato.

Pur essendo molti di questi interventi orientati a sviluppare la domanda interna di alcuni settori, alle imprese giungono cospicui benefici diretti fatti di incentivi, detassazioni, crediti d’imposta ed esoneri contributivi per l’assunzione di giovani, il sostegno del Sud, il rientro al lavoro delle lavoratrici dopo il parto, le imprese agricole, le attività turistiche, le fusioni aziendali, l’accesso al credito, l’acquisto di attrezzature e di consulenze per la quotazione in borsa, gli investimenti in ricerca e sviluppo, insediamenti nella Zone Economiche Speciali (Zes), il rafforzamento patrimoniale delle medie imprese, moratorie fiscali varie e rinvii di alcune imposizioni.

Ci sono poi una serie di garanzie statali, con conseguenti oneri per la gestione dei relativi rischi, per i prestiti alle imprese e l’aumento di 12 mesi della durata della cassa integrazione.

Come se non bastasse, le imprese si avvantaggiano della facoltà di licenziare dopo il 31 marzo 2021, data in cui scade il blocco dei licenziamenti che – a differenza dei benefici – non viene prorogato, contrariamente alla facoltà di rinnovare i contratti di lavoro a tempo determinato di ulteriori 12 mesi a partire dalla stessa data per un’estesa casistica. Come dire: espelliamo i lavoratori stabili ma i precari possono rimanere nella precarietà.

Viene confermato, con alcune modifiche, l’istituto del contratto di espansione interprofessionale, una sorta di trattamento pre-pensione in favore dei lavoratori prossimi alla quiescenza per favorire il ricambio generazionale. È indicativo però che per ogni tre futuri pensionati è previsto un solo nuovo lavoratore, quindi il calo occupazionale è ampiamente messo in conto.

Si cerca poi di tacitare il lavoro autonomo, categoria attualmente in ebollizione, con una indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa; una sorta di cassa integrazione guadagni per determinate categorie di autonomi che nel 2020 hanno perso oltre il 50% del reddito rispetto all’anno precedente. Per chi invece ha visto una riduzione di fatturato del “solo” 33% è previsto un esonero contributivo.

Di fronte al drammatico massacro del sistema pensionistico avvenuto negli ultimi decenni si ripropongono dei pannicelli caldi: opzione donna, conferma Ape sociale, pensionamenti anticipati per i lavoratori in esubero, computo delle settimane non lavorative ai fini pensionistici per i lavoratori a part-time verticale.

A favore delle piccole e medie imprese vengono prorogati fino al 30 giugno 2021 sia le sospensioni del pagamento delle rate di restituzione prestiti sia il Fondo Pmi che garantisce i finanziamenti agevolati.

In tutto fanno 59 miliardi fra incentivi e agevolazioni fiscali e contributive alle imprese, cui vanno aggiunti 26 per la “ristrutturazione” delle imprese (Cig e i prepensionamenti) e le garanzie sui prestiti. Il sostegno agli investimenti privati è il “piatto forte”, ma si tratta di benefici “a pioggia”, senza una seria politica industriale e una visione strutturale. A fronte di ciò, i maggiori oneri previsti per la sanità risultano solo 1,4 miliardi (erano aumentati di 5 l’anno scorso e non risulta che l’attuale servizio sanitario sia ora adeguato ai bisogni). L’aumento della spesa sanitaria è addirittura inferiore allo stanziamento per il cashback, cioè al rimborso in denaro per gli acquisti effettuati con strumenti di pagamento elettronici!

Non va meglio per la scuola pubblica, i cui stanziamenti sono ben lontani dalla necessità di eliminare le “classi-pollaio”, una delle cause del ripiegamento sulla didattica a distanza. Figuriamoci se si è pensato di intervenire con altre misure di riforma necessarie quali l’ampliamento del tempo pieno, l’elevamento dell’obbligo, l’aumento delle scuole dell’infanzia per superare l’assurdità di scuole private, molto spesso gestite da enti religiosi, che vengono sovvenzionate – in spregio alla Costituzione – per rimediare alle carenze di quelle pubbliche.

In conclusione, a fronte di un indebitamento crescente, come in tempo di guerra, il bilancio 2021 non mette a disposizione risorse effettive per combattere la vera guerra: quella contro il virus. Né attraverso il rafforzamento della medicina preventiva né con una riorganizzazione della produzione più attenta a rimuovere le cause ambientali e sociali che ne favoriscono la crisi. Il grande assente è il piano.

08/01/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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