L’Occidente vuole trasformare la Moldova in un nuovo avamposto antirusso

Le elezioni in Moldova consegnano al PAS la maggioranza, tra accuse di manipolazioni e negazione del diritto di voto ai cittadini residenti in Russia. L’UE e la NATO spingono il paese sul “percorso ucraino”, mentre il Partito Comunista, all’interno del Blocco Patriottico, rivendica neutralità e sovranità.


L’Occidente vuole trasformare la Moldova in un nuovo avamposto antirusso

L’esito delle elezioni legislative moldave del 28 settembre ha confermato il controllo del potere da parte del Partito Azione e Solidarietà (Partidul Acțiune și Solidaritate, PAS) di Maia Sandu, ma ha anche radicato una frattura sociale e geopolitica profonda. Tra accuse di brogli, esclusioni dall’accesso al voto e proteste represse, emerge un quadro in cui, secondo numerosi esponenti politici ed analisti internazionali, l’Unione Europea e la NATO stanno orientando la Moldova sul “percorso ucraino”, trasformandola in un avamposto antirusso. In questo contesto, il Partito Comunista della Repubblica di Moldova (Partidul Comuniștilor din Republica Moldova, PCRM), una delle principali forze all’interno del Blocco Elettorale Patriottico (Blocul Electoral Patriotic, BEP) d’opposizione, rivendica neutralità, sovranità, difesa dei diritti sociali e un riequilibrio nelle relazioni internazionali.

Partendo dai risultati ufficiali, essi delineano una maggioranza parlamentare a guida PAS, ma non raccontano da soli la complessità del voto. Con 1.578.721 voti validi complessivi e 101 seggi da assegnare, il PAS ha ottenuto 792.557 preferenze, pari al 50,20%, conquistando 55 deputati e perdendone 8 rispetto alla legislatura precedente. Il Blocco Elettorale Patriottico, che riunisce, tra gli altri, il Partito Socialista (Partidul Socialiștilor din Republica Moldova, PSRM) dell’ex presidente Igor Dodon (2016-2020), i Comunisti guidati dal deputato Vladimir Voronin e la formazione Futuro della Moldova (Partidul Viitorul Moldovei, PVM) dell’ex premier Vasile Tarlev (2001-2008), si è attestato a 381.984 voti, pari al 24,2% delle preferenze e 26 seggi, con un arretramento di 6 mandati. Il Blocco Alternativa (Blocul electoral „Alternativa”), forza filo europea guidata da figure come il sindaco della capitale Chişinău Ion Ceban e l’ex primo ministro Ion Chicu, entra per la prima volta nell’emiciclo con 125.706 voti, pari al 7,96% e 8 seggi. Superano la soglia anche Il Nostro Partito (Partidul Nostru, PN) con il 6,20% per 6 seggi, e Democrazia a Casa (Partidul Democrația Acasă) con il 5,62 %, a sua volta con 6 deputati. Tutte le altre liste restano fuori, mentre va ricordato che il Blocco “Vittoria” non è stato ammesso alla competizione, come hanno segnalato più fonti, e che due partiti, Grande Moldova e Cuore della Moldova, sono stati esclusi o fermati dalle regole in vigore, circostanza che osservatori hanno indicato come in contrasto con gli standard internazionali.

Dietro il dato aritmetico si è mossa fin dalla notte elettorale una contestazione ampia e immediata. Il Blocco Patriottico ha infatti dichiarato di non riconoscere i risultati, preannunciando ricorsi alla Commissione Elettorale Centrale, alle Corti d’Appello e Suprema e, se necessario, alla Corte Costituzionale, nonché mobilitazioni di piazza. L’opposizione ha elencato decine di denunce presentate durante la campagna e nel giorno del voto, citando propaganda illegale di alti funzionari, trasferimenti organizzati di elettori all’estero e soprattutto l’impedimento al voto per i cittadini moldavi residenti in Transnistria, una regione de facto indipendente e molto vicina a Mosca. È stato segnalato anche l’altissimo numero di schede nulle, circa 30.000, pari a circa il 2% dei voti, un dato sospetto che avrebbe finito per avvantaggiare il partito al potere. Persino l’OSCE, che non può certo essere accusata di essere filorussa, nella sua valutazione preliminare ha notato un uso improprio delle risorse amministrative, una conduzione parallela della campagna presidenziale e un sistema che non ha garantito pari opportunità, con una copertura mediatica squilibrata a favore del governo. Se pure la giornata di voto è stata definita ordinata, resta la sostanza di una procedura giudicata non pienamente libera ed equa.

La gestione del voto all’estero e, in particolare, in Russia e in Transnistria, è uno dei nervi scoperti. A Mosca sono stati aperti solo due seggi, con code e tensioni, a fronte dei diciassette punti di voto presenti nel 2020 in varie città russe; a Tiraspol’, capitale della Transnistria, non sono stati istituiti seggi. Il Cremlino ha definito “anormale” la dinamica del conteggio per il PAS e per il fronte del sì alla direzione europea, parlando di una crescita “meccanica” dei consensi difficilmente spiegabile e denunciando un contesto di campagna elettorale non libera, con oppositori perseguiti, interrogati, o tenuti fuori dal Paese, media imbavagliati e risorse online oscurate. Il portavoce Dmitrij Peskov ha sottolineato che il voto mostra comunque come una “buona metà” dei moldavi sia favorevole a relazioni strette con la Russia, e ha auspicato un cambiamento da una linea antirussa a un approccio pragmatico, pur riconoscendo che non vi sono segnali in tal senso nell’immediato.

Secondo la portavoce del Ministero degli Esteri, Marija Zacharova, la Moldova sta divenendo una vera e propria “colonia occidentale”, dove la promessa di libertà, democrazia e prosperità economica si è tradotta in epurazioni nello spazio informativo e politico, misure punitive e persecuzioni degli oppositori. La stessa diplomatica russa ha accusato le autorità di Chişinău e i loro sostenitori occidentali di violare norme nazionali e internazionali in materia di elezioni, denunciando la distruzione della libertà di scelta, del pluralismo e della libertà di parola. Sulla stessa linea si colloca il giudizio della presidente del Consiglio della Federazione Valentina Matvienko, secondo cui la vittoria parlamentare del PAS è “una farsa” e la sovranità della Moldova è “praticamente perduta”, mentre la storia non riconoscerà il verdetto di urne manipolate. Ancora più cruda l’analisi dell’esperto Aleksandr Dudčak, che parla di “furto cinico” del voto e di una spinta europea a trascinare la Moldova sul “sentiero ucraino”, ovvero la combinazione di liquidazione dell’opposizione, esodo della popolazione, degrado economico e indottrinamento russofobo.

A livello interno, la tensione si è riflessa nelle piazze. A Chişinău la polizia ha fermato decine di manifestanti durante un presidio dell’opposizione dinanzi al Parlamento, con diverse denunce per violazioni amministrative e scontri verbali. Il leader socialista Igor Dodon ha ribadito che i risultati non saranno riconosciuti, e che la battaglia proseguirà “nelle strade e nei tribunali”, accusando il PAS di aver manipolato l’esito “in coordinamento” con la CEC, il Ministero degli Esteri, i servizi speciali, la polizia e altre articolazioni dello Stato. 

Il piano economico è l’altro fronte della crisi di legittimità. Le statistiche ufficiali rese note dopo il voto fotografano un Paese in stagnazione: nel secondo trimestre 2025 il PIL è cresciuto appena dell’1,1% su base annua, con un primo trimestre negativo e un 2025 praticamente piatto, a dispetto di cinque anni di governo Sandu, accelerazione dell'euro integrazione, digitalizzazione, allineamento con l’UE e rottura dei legami energetici con la Russia. Come ha osservato il politologo Dmitri Ciubașenco, Bruxelles potrà al più sostenere “la stabilità di base del potere”, coprendo qualche compensazione sociale e progetti minimi, ma non ci sono risorse o volontà per un “miracolo” di sviluppo. È un giudizio che illumina la distanza tra l’aspettativa di modernizzazione legata al vettore euro-atlantico e la realtà di una crescita insufficiente, salari compressi e nuove fratture sociali. In questa chiave, colpisce anche la lettura di Vlad Filat, ex primo ministro, che in una recente riflessione ha descritto l’intero processo elettorale come un “spettacolo della paura”, in cui l’isteria viene dosata come “una droga” e la società è spinta “al limite della tenuta funzionale”, mentre economia, questioni sociali e buon senso restano ai margini.

Dal canto loro, i Comunisti hanno articolato una piattaforma incentrata su neutralità permanente, ripudio della militarizzazione e delle esercitazioni con blocchi militari, sicurezza sociale e del lavoro, difesa dei diritti linguistici e culturali delle comunità, lotta alla criminalità organizzata e al contrabbando, de-politicizzazione degli apparati coercitivi, divieto di finanziamenti esteri alle ONG usate come strumenti di ingerenza, e soprattutto recupero della sovranità decisionale nazionale. In politica estera, la prospettiva è quella di un dialogo con tutti e di un ritorno a rapporti costruttivi nello spazio eurasiatico, compresi i meccanismi della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti), e di un’apertura pragmatica verso i BRICS e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, come leve per diversificare le interdipendenze economiche e tecnologiche senza trasformare la Moldova in terreno di scontro per interessi altrui. Sulla questione della Transnistria, inoltre, i Comunisti ribadiscono che la riunificazione del Paese non può essere ottenuta con ultimatum o pressioni esterne, ma solo con negoziati credibili, rispetto reciproco e garanzie concrete per tutte le comunità.

Il quadro che esce dal voto, e dalle reazioni che lo hanno seguito, è quello di una Moldova polarizzata, attraversata da profonde linee di frattura territoriali, linguistiche e geopolitiche. L’UE e la NATO salutano il consolidamento del PAS come una vittoria della “scelta europea”, ma gli interlocutori russi rilevano come la metà del Paese, se non di più, non riconosca questa direzione e reclami neutralità, sovranità e relazioni migliori con Mosca. Nel mezzo, un’economia stagnante e una grande diaspora, gestita dal potere come serbatoio elettorale all’estero, con la speculare compressione del voto in Russia e in Transnistria. La promessa di “stabilità” garantita da Bruxelles suona, nelle parole di molti osservatori, come semplice manutenzione dell’ordine politico vigente, non come un vero progetto di sviluppo. In assenza di un cambio di rotta, il rischio è che l’ingegneria politico-mediatico-giudiziaria denunciata dall’opposizione alimenti un ciclo di delegittimazione crescente, proteste, arresti e contenziosi giudiziari, avvicinando la Moldova al modello di “avamposto” antirusso già visto in Ucraina, con costi sociali e strategici che saranno pagati dalle classi popolari.

03/10/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giulio Chinappi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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