La strategia russa in Asia occidentale dopo il 2022

La Russia passa dall’interventismo alla conservazione strategica in Medio Oriente, mantenendo influenza con costi minimi mentre concentra lo sforzo sul fronte europeo.


La strategia russa in Asia occidentale dopo il 2022

Negli ultimi dieci anni la Federazione Russa ha consolidato una presenza strutturale in Asia occidentale (Medio Oriente), soprattutto a partire dall’intervento militare in Siria del settembre 2015. Quell’operazione non mirava soltanto a sostenere il governo di Bashar al-Assad, ma a riaffermare il ruolo della Russia come attore globale in grado di controbilanciare la pressione euroatlantica e di dimostrare capacità di gestione del conflitto in un teatro complesso e con attori statali e non. Un insieme di basi, accordi di risoluzione di conflitti e accordi diplomatici, con uso di leve energetico-commerciali ha costituito, tra il 2015 e il 2021, un modo di operare influenza relativamente economico nei costi e altamente efficace. 

Dopo il 2022, con l’ampliarsi del conflitto in Ucraina e l’inasprirsi del confronto con Stati Uniti e Unione Europea, Mosca ha scelto una strategia diversa. Consistente nel mantenere i cardini della propria presenza nel Levante e nel Golfo, riducendo però l’impronta militare diretta e riallocando risorse verso il fronte europeo. Questa scelta, che definiremo di “conservazione strategica”, non equivale a un disimpegno, ma è un passaggio dall’interventismo selettivo a un mix di deterrenza, diplomazia e potere economico, coerente con una fase di assedio occidentale percepito in Russia e con l’obiettivo di massimizzare l’accesso e minimizzare i costi.

L’operazione russa in Siria fu concepita e attuata deliberatamente a “basso profilo numerico”. Una componente aerea ristretta, forze speciali, unità di polizia militare (anche cecene) e cooperazione tattica con alleati regionali. L’effetto strategico fu, tuttavia, decisivo. Si impedì la caduta di Damasco, Palmira fu liberata due volte dall’ISIS, con sacrificio di soldati russi. Efficace fu il coordinamento con Teheran e con le forze governative siriane, si riuscì a riconquistare Aleppo nel 2016 e, soprattutto, istituzionalizzare una presenza militare permanente tramite due presidi: la base navale di Tartus e la base aerea di Hmeimim (Latakia). Queste infrastrutture, supportate da sistemi di difesa aerea e da capacità C4ISR, hanno garantito a Mosca l’accesso stabile al Mediterraneo orientale e un corridoio operativo Caucaso–Levante–Mar Nero. L’elemento dirimente della fase 2015–2021 è stato il meccanismo di riduzione del conflitto con Israele. Questo ha ridotto il rischio di incidenti e mantenuto aperto un canale essenziale per la gestione del cielo siriano, pur in presenza di obiettivi divergenti.

Il conflitto ucraino ha imposto a Mosca di concentrare risorse sul teatro europeo. La Russia ha ridotto e ruotato una parte degli assetti presenti in Siria (tra cui alcuni sistemi S400 e velivoli), ma ha mantenuto pienamente operative le basi navali e aeree Tartus e Hemeimim. Ciò si traduce in una postura di presidio. Accesso garantito nella regione, deterrenza sufficiente, costi contenuti. La priorità politicostrategica è imperativa per Mosca, evitare l’apertura di un secondo fronte, mentre si preservano le leve diplomatiche e militari necessarie a influire sugli eventi in Siria e nel quadrante levantino.

Sul piano politicomilitare, Mosca ha continuato a promuovere il formato di Astana con Iran e Turchia per la gestione del dossier siriano. Nel 2023–2024 ha favorito contatti tra Ankara e Damasco (riunioni mediaticamente definite come “quadripartite” con Russia, Iran, Turchia, Siria), puntando a ridurre la conflittualità nel nord siriano e a consolidare la sicurezza per Hemeimim. Le pattuglie congiunte russoturche nell’area orientale della Siria, riprese a più riprese, sono un indice di continuità del dispositivo di contenimento e di una gestione condivisa, seppur pragmatica e a tratti competitiva, del territorio. Bisogna riconoscere che dopo la caduta di Assad, questo apparato è stato notevolmente depotenziato.

Parallelamente, la Russia ha rafforzato la dimensione economicoenergetica con i Paesi del Golfo. La cooperazione in sede OPEC+ con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ha contribuito a sostenere la stabilità dei prezzi energetici, obiettivo cruciale tanto per i bilanci dei partner del Golfo quanto per quello russo. Le visite ad alto livello tra Mosca, Riyadh e Abu Dhabi, e la sequenza di decisioni OPEC+ nel 20232025, mostrano una convergenza funzionale che moltiplica la capacità russa di influenza a costi relativamente contenuti. Gli Emirati, in particolare, hanno agito come hub di intermediazione logistico-finanziaria, sostenendo un incremento sensibile degli scambi con la Russia, segnale di una ricomposizione delle catene del valore in chiave non occidentale.

La parte strategica dell’azione di Mosca punta all’allargamento del BRICS a Paesi mediorientali e africani (tra cui Emirati, Egitto, Iran ed Etiopia). Questo ha offerto a Mosca una cornice istituzionale per innestare il Medio Oriente nell’architettura economico-finanziaria del “Sud globale”. La Nuova Banca di Sviluppo (NDB), la cooperazione su pagamenti e clearing, e le catene logistiche ridisegnate stanno riducendo il peso della finanza occidentale e creando ridondanza infrastrutturale. Il dossier cruciale è la International NorthSouth Transport Corridor (INSTC). Con il tratto ferroviario RashtAstara in Iran, si completa un corridoio RussiaCaspioIranGolfo/India capace di ridurre tempi e costi rispetto alle rotte tradizionali via Suez.

La crisi tra Iran e Israele dell’aprile 2024—tra lanci massicci di UAV e missili e risposta calibrata—ha evidenziato quanto il teatro mediorientale possa produrre effetti globali non lineari. La postura russa è stata improntata alla prudenza: sostegno politicodiplomatico al principio di deescalation, nessuna esposizione diretta a rischio di trascinamento in un secondo fronte. La lezione incorporata nella dottrina operativa (e nella narrativa strategica) è che la Russia può influire sugli esiti mediorientali preservando libertà d’azione, ma il baricentro delle sue decisioni resta in Europa. Bisogna ricordare che il rapporto tra Russia e Iran è contraddittorio perché i due paesi nel recente passato hanno stretto e non attuato accordi politici e militari. Nel 2016, la Russia stava intensificando le operazioni contro i gruppi jihadisti e ribelli in Siria.  Le sue forze aeree, nello specifico i bomber pesanti Tu-22M3 e i caccia-bombardieri Su-34 necessitavano di autonomia maggiore e di un carico utile più elevato. Decollando dal Caucaso, erano costretti a sorvolare il Mar Caspio, l’Iran e l’Iraq prima di colpire obiettivi in Siria, con lunghi tempi di volo e necessità di rifornimento in volo. In questo quadro, l’Iran offrì l’uso temporaneo della base di Hamadan (Nojeh Air Base), nel nord-ovest del Paese. Nel mese di agosto 2016, un contingente russo dispiegò bombardieri Tu-22M3 a lungo raggio e caccia-bombardieri Su-34, riducendo di circa 1.000 km rispetto alle basi nel Caucaso, permettendo. Poi vi fu la crisi. Il 20 agosto 2016, dopo appena una settimana di operazioni, l’Iran revocò l’autorizzazione. L’opinione pubblica e vari membri del Parlamento iraniano reagirono duramente sostenendo che l’articolo 146 della Costituzione iraniana vieta l’installazione di basi militari straniere in Iran, anche temporanee. Mosca ha appreso che per Teheran, la cooperazione doveva restare discreta, inquadrata nella lotta congiunta antiterrorismo. L’ambiguità dei rapporti Mosca e Teheran sarà sempre un’ipoteca nella regione.

La traiettoria complessiva indica un passaggio da una proiezione militare selettiva a un paradigma di conservazione strategica. La Russia mantiene i cardini della sua presenza (basi, formati diplomatici, canali di deconflitto), ma preferisce moltiplicare le leve economiche e infrastrutturali (OPEC+, BRICS, INSTC, programmi nucleari civili) evitando la trappola del secondo fronte. Il criterio guida è “presenza minima, accesso massimo”: ridurre la vulnerabilità alle sanzioni e alle pressioni occidentali, mantenendo la capacità di deterrenza e di influenza sugli equilibri regionali.

In un contesto in cui l’Unione Europea fatica a definire una postura autonoma e gli Stati Uniti concentrano crescente attenzione sull’IndoPacifico, l’Asia occidentale per Mosca è un teatro da gestire, non da espandere a ogni costo. La vittoria nel fronte europeo è considerata condizione necessaria per una presenza russa duratura nel Levante. La scommessa del Cremlino è che una rete di relazioni energetiche, infrastrutturali e diplomatiche (Golfo, Egitto, Iran, Turchia, BRICS allargato) basti a mantenere influenza e opzioni senza immobilizzare risorse pregiate. Questa dottrina di conservazione strategica, nata dalla pressione occidentale, mira a trasformare il Medio Oriente da potenziale  militare generico a moltiplicatore di stabilità e potere economico nel lungo periodo.

Sitografia:

OPEC, OPEC+ Press Releases and Decisions (2023–2025), www.opec.org

Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa – Comunicati su Siria/Astana (2017–2025), mid.ru

Ministero dell’Energia dell’Arabia Saudita – Comunicati OPEC+ (2023–2025).

BRICS – Documenti del Vertice e NDB (2024–2025).

Analisi e dossier su INSTC (Rasht–Astara): Ministeri Trasporti Russia/Iran (2023–2025).

14/11/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Orazio Di Mauro

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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