La tragedia dell’immigrazione: ognuno si assuma le proprie responsabilità

Il dramma dell'immigrazione diviene sempre più imponente e il Mediterraneo rischia di divenire la tomba dei dannati della terra.


La tragedia dell’immigrazione: ognuno si assuma le proprie responsabilità

Le pagine di storia che si stanno scrivendo, giorno dopo giorno, denunceranno un mondo dilaniato dal dolore e dall’ingiustizia. Il dramma dell'immigrazione diviene sempre più imponente e, mentre le classi dominanti fingono di affaticarsi per punire i presunti colpevoli e risolvere l’emergenza, il Mediterraneo da luogo di incontro fra i popoli rischia di divenire la tomba dei dannati della terra in cerca di riscatto.

di Federica Orlandi

Se dal punto di vista tecnologico il nuovo millennio pare rappresentare il progresso, dal punto di vista della progressiva emancipazione del genere umano sembra rappresentare un incessante regresso. Gli inarrestabili flussi di migranti che quotidianamente si riversano sulle coste italiane (e non solo) fanno comprendere il punto di non ritorno a cui è giunta una società tutta tesa alla ricerca del profitto, che non è stata in grado di tesaurizzare le lezioni fornite dalla storia. Dunque, il mondo in cui si ripongono le speranze di troppi dannati della terra, è lo stesso che attualmente versa lacrime di coccodrillo per morti ingiuste e premature, per la mancata solidarietà, per un disumano egoismo.

La terribile tragedia che, di recente, ha colpito il piccolo Aylan e la sua famiglia, è un chiaro esempio di tutto ciò. Aylan Kurdi, trovato morto sulla spiaggia turca di Bodrum, rappresenta in modo emblematico una delle vittime di un capitalismo spietato che, con le proprie guerre e l'appoggio dato a regimi colonialisti come quello israeliano, ha distrutto paesi e stroncato vite umane come se si trattasse di mera carne da macello. Emerge, però, un non indifferente numero di europei non disposti ad accettare l'evidente responsabilità dell'Occidente rispetto a quanto di spaventoso si verifica, in primo luogo, proprio in Siria (la terra da cui fuggiva il piccolo Aylan). L'occultamento di palesi responsabilità dell’imperialismo occidentale non sorprende così più di tanto coloro che dalla storia cercano di trarre profitto. In molti, infatti, ricorderanno la scusa più frequente che i colonizzatori utilizzavano per giustificare le loro terribili azioni in terre straniere: il fine è la civilizzazione di popoli barbari.

Questa giustificazione ideologica, però, non può ingannare tutti. Non può ingannare chi dell'esperienza ha fatto una virtù, non può ingannare, ad esempio, gli studenti che già in romanzi come "Heart of Darkness" possono conoscere gli stereotipi dei colonizzatori europei, pronti a sostenere ogni brutalità pur di salvaguardare i propri interessi strettamente connessi a traffici di avorio e di schiavi. La giustificazione della presunta civilizzazione può risultare convincente soltanto a una persona abbrutita dall’ignoranza, al punto da provare un terrore che spesso si muta in odio nei confronti di esseri umani che cercano disperatamente una via di fuga da una barbarie indotta proprio dal dominio coloniale e imperialista. Nessun uomo che conduce una vita "normale" penserebbe di perdere la propria dignità per tentare una tanto rischiosa traversata, che non può che essere il prodotto della disperazione. E che sia da considerare legittimo fuggire la guerra e non la fame è nei fatti una aberrazione giuridica. Non si può pensare che esistano immigrati di serie A e migranti di serie B, come non si può pretendere di sceglierseli in base alla loro nazionalità, nemmeno fossimo tornati al mercato degli schiavi.

Accogliere i migranti non può e non deve essere una scelta. L'ospitalità è un atto dovuto, poiché prima ancora di avere a che fare con Siriani, Afgani o Iracheni, si ha a che fare con esseri umani che, in quanto tali, hanno il diritto di ritenersi cittadini del mondo. Questa idea è ancora troppo lontana dal sentire comune. Il quotidiano canadese “Ottawa Citizen”, ad esempio, sostiene che, nonostante le ripetute richieste, il Canada ha rifiutato il visto che avrebbe permesso alla famiglia di Aylan Kurdi di trasferirsi e, soltanto in seguito alla tragedia, ha offerto ospitalità al papà di Aylan (nonché unico superstite della famiglia). L'uomo, lacerato dal dolore e pervaso da una totale sensazione di impotenza ha agito nel modo più coraggioso e dignitoso che potesse. Rifiutando un'ospitalità di ripiego ha, per quel poco che poteva, dato un significato alla morte della sua famiglia, con la speranza che quelle atrocità non si fossero verificate invano, con la speranza che quelle atrocità e quell'esempio di dignità potessero divenire motivo di riflessione.

Eppure, per quanto commovente e significativa possa essere stata l'immagine, che ritraeva il piccolo Aylan ormai deceduto, è decisivo ribadire che il mondo non può divenire consapevole soltanto dopo un tragico avvenimento. Il mondo si è accorto di Aylan perché la sua immagine si è diffusa sulle piattaforme sociali, sugli schermi televisivi, andando a disturbare la quiete e la sensibilità di coloro che seduti comodamente sul divano di casa propria avrebbero preferito non vedere e non sentire, e non tanto per il sincero dispiacere, quanto per la consapevolezza che da quel momento in poi ignorare diverrebbe sinonimo di complicità. E molti sono coloro che preferiscono non sapere anche solo per evitare un confronto con la propria interiorità, poiché mai come in questi casi il "ciascuno fugge sé stesso" di Lucrezio torna ad essere attuale.

E attuali tornano a essere tutti i concetti legati al cosmopolitismo e proposti da celebri personalità come Lucio Anneo Seneca o, andando avanti nel tempo, come Immanuel Kant. Nell'opera Per la pace perpetua Kant parla di un diritto cosmopolitico strettamente legato al concetto dell'ospitalità universale: un uomo, indipendentemente dalla provenienza, non deve essere considerato un nemico, in nessuna parte del mondo.

Dunque, l'umanità potrà aspirare ad una vera svolta nel momento in cui il presunto nemico diverrà un compagno, nel momento in cui il crimine verrà condannato in quanto tale e non in base alla persona che lo ha commesso, nel momento in cui ci si renderà conto che nessuno può scegliere dove nascere e, talvolta, neppure dove crescere. Diviene necessario, se non indispensabile, farla finita al contempo con l’ipocrita e miserrima carità di politici corrotti, di scafisti privi di scrupoli, con l’apparente innocenza del cittadino medio e di tutti coloro che, nel loro piccolo, non opponendosi a tutto ciò finiscono con l’esserne inconsapevolmente complici. Tutte le persone che fuggono per disperazione sarebbero liete di poter continuare a coltivare i propri affetti a casa loro ed è veramente incredibile constatare che molti facciano ancora finta di non comprenderlo. "Aiutarli a casa loro" è divenuta un'altra presunta soluzione, nonostante nessuno si dia la pena poi di spiegare come e quando. "Aiutarli a casa loro" è un altro modo per temporeggiare, per evitare un imbarazzante silenzio, per celare una mancata volontà di farla finita con una tragedia tanto funzionale ai profitti di chi ricerca forza lavoro a prezzi stracciati. Ci si continua cosi a riempire la bocca di presunte soluzioni che non hanno alcuna concreta possibilità, mancandone la volontà, di essere realizzate.

Le continue morti degli immigranti non sono più così silenziose, sono morti che parlano, che gridano, che denunziano affinché siano le ultime. L'umanità non può più permettersi di ignorare tanto dolore, cinicamente utilizzato per massimizzare i profitti aumentando lo sfruttamento. L'indifferenza non può e non deve più appartenere a questo mondo.

18/09/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federica Orlandi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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