Prospettive per il movimento nazionale della scuola

Nonostante sia percepibile il desiderio di mobilitazione nel mondo della scuola si sente la mancanza di una spinta da parte dei sindacati.


Prospettive per il movimento nazionale della scuola

Nonostante sia percepibile il desiderio di mobilitazione da parte di ampi settori del mondo della scuola – che, sollecitati, hanno risposto prontamente con la grande partecipazione all’assemblea di Bologna, le 4 mila persone all’assemblea di Firenze all’inizio dell’anno scolastico, le iniziative che continuano ad esserci e a riuscire – si sente la mancanza di una spinta potente da parte dei sindacati di categoria che, con l’organizzazione, i tesserati, la visibilità mediatica potrebbero fare la differenza in un momento così delicato per il mondo della scuola.

di Marina Boscaino

Adesso la palla la abbiamo noi e dobbiamo giocarcela bene. La partita è difficilissima: tra numeri pompati di assunzioni, miracolosi piani triennali dell’offerta formativa, comitati di valutazione che stabiliranno – Finalmente! Era ora! – il merito “effettivo” di ciascuno e, dulcis in fundo, gli (per il momento solo) annunciati 500 euro in busta paga, attraverso i quali potremmo finalmente solleticare le nostre mai sopite curiosità culturali, abbeverarci di pubblicazioni, formarci (tutte attività che abbiamo puntualmente affrontate con le nostre finanze), non è il caso di sottolineare quanto una parte del mondo della scuola (quella che con inerzia, noncuranza, assenza di pensiero divergente ha accompagnato con la propria acquiescenza il doloroso percorso dalla scuola della Costituzione alla scuola azienda) sarà in grado di intorpidire le acque, confusa e soggiogata dalle fanfare mediatiche, ossequiose alle fantasie demagogiche del giovane capo. Genitori affetti da precocismo dei figli e visione proprietaria e autoreferenziale della (propria) scuola si sentiranno finalmente rincuorati dal metodo della carota e del bastone, attraverso il quale quella scansafatiche, fannullona, assenteista, ignorante della maestra o della prof del proprio figlio verrà finalmente resa incapace di nuocere.

La perdita della percezione della scuola pubblica come strumento dell’interesse generale è certamente uno degli elementi che maggiormente ha contribuito all’attuale situazione. Indulgendo a personalismi, offerta a domanda individuale, scorciatoie, accumulo di attività a detrimento della qualità dell’insegnamento (la scuola dell’autonomia, market oriented, “competitiva”, attenta alle esigenze dell’“utenza”) abbiamo completamente distolto l’attenzione dal noi collettivo, dalla comunità nazionale nella sua eterogeneità e nella sua pluralità, convergendo su un io asfittico e proprietario, attestato non sul miglioramento delle condizioni generali, ma sull’aumento della propria capacità contrattuale sul mercato. I risultati sono disastrosi e sotto gli occhi di tutti: una comunità nazionale che non individui più nella scuola statale, laica, pluralista e democratica il proprio maggiore strumento di identità collettiva, di emancipazione, espressione suprema del principio di uguaglianza, è una triste compattazione di elementi parcellizzati, monadi isolate che rincorrono la propria soggettività, tese alla protezione dei propri privilegi.

La partita è difficilissima, dunque. E lo è anche perché una maggioranza parlamentare ha approvato la proposta di un governo di non eletti, che ha chiesto la fiducia per decidere arrogantemente e violentemente il destino della scuola italiana. Lo è perché ha subito una battuta di arresto il movimento forte e coeso che ha occupato le piazze ed elaborato documenti, votato mozioni, presidiato spazi, elaborato proposte alternative, tentato di spiegare pazientemente – in uno scontro tra Davide e Golia – che i media e la retorica di regime hanno pervicacemente raccontato il falso. Un esempio per tutti: la questione del sedicente ascolto del mondo della scuola; in realtà uno dei più mortificanti scenari di autoreferenzialità che governo repubblicano abbia mai rappresentato, con numeri pompati artatamente ad onta delle evidenze; con divieto di far entrare nelle varie assemblee il dissenso, spesso placato con la forza e la repressione; con i siparietti del premier, rappresentazioni patinate e false di una cordialità che si declina e si è declinata solo nel monologo.

La partita è difficile, anche osservando come sono andate e come stanno andando le cose: finché il movimento che si è formato, che ha fatto da puntello per la partenza tardiva dei sindacati, inerti fino a marzo, e ne ha accompagnato la felice unitarietà fino al 15 luglio (data in cui Mattarella ha firmato la legge), ha operato sulla scia di una protesta che montava e coinvolgeva anche zone resistenti del mondo della scuola, i sindacati stessi si sono comportati in maniera realmente incisiva, in un vicendevole sostegno alla mobilitazione. Oggi, che il movimento sta subendo una momentanea battuta d’arresto e le risposte da dare all’emergenza che abbiamo davanti (comitato di valutazione e Ptof) stentano ad essere univoche; oggi che il puntello, lo stimolo è temporaneamente diminuito rispetto all’estate, i sindacati devono rapidamente assumere decisioni incisive. L’auspicio di una reazione coesa e veemente, soprattutto davanti a palesi incongruenze dell’articolato della 107 (in particolare – per il momento – sul comitato di valutazione) non ha ancora trovato indicazioni forti, sia sul piano della mobilitazione che su quello dell’intervento nei collegi dei docenti.

La chiamata ad una manifestazione nazionale e allo sciopero da parte dei Cobas – che si dicono disponibili a modificare la data proposta (13 novembre) per poter accettare ipotesi alternative da parte di chi volesse lavorare nella stessa direzione – potrebbe essere l’occasione per un ripensamento ed una virata strategica significativa verso una coesione ed un intervento puntuale a ribadire l’inemendabilità del modello di scuola che il Governo ha imposto. Ed è forse necessario che il movimento determini un atteggiamento coeso a richiedere con forza quanto era stato già chiesto nell’assemblea del 6 settembre scorso a Bologna. Il segno inequivocabile di quell’incontro è stata la risposta ai disfattisti di tutte le stagioni: la “Buona scuola” è passata, ma la mobilitazione non recede. Il primo week end di settembre era stato fissato il 12 luglio, in occasione di una grande assemblea a Roma, conclusasi con un documento condiviso e con una forte speranza, che è anche una prospettiva: insieme è meglio.

9 ore di lavori, 350 persone presenti e rappresentanti 130 soggetti collettivi, 70 interventi serrati e articolati nel merito e nel metodo hanno fatto sì che da Bologna, si levasse – ferma ed inequivocabile – la voce della scuola, chiamata a pronunciarsi su due temi precisi dalla precedente assemblea del 12 luglio a Roma: modalità di continuazione della mobilitazione e referendum abrogativo della legge 107.

Sono emerse – oltre all’adesione ad alcune giornate di mobilitazione, come quella della “Notte bianca della scuola del 23 settembre” e del9 ottobre, organizzata dall’UDS, Unione degli Studenti, e la determinazione di azioni di contrasto ai singoli aspetti della normativa che l’incipiente anno scolastico avrebbe obbligato ad affrontare – la sollecitazione e l’appoggio ai sindacati per una manifestazione nazionale e uno sciopero generale unitario della scuola in tempi brevi.

Per quanto riguarda un possibile referendum abrogativo, l’assemblea ha concordato un percorso che ne vagli la fattibilità – sia nel metodo sia nel merito –, con scadenza da celebrare nella primavera del 2017. Decisione oggi particolarmente significativa, dal momento che è di queste ore la notizia che sia i referendum di Civati sia quelli dello Snals di Napoli non hanno raggiunto il numero di firme sufficienti per indire il referendum. Si tratta – come è evidente anche dal fallimento delle due proposte estive – di una partita estremamente difficile: da una parte è infatti necessario considerare il monito dei costituzionalisti, che hanno sottolineato la delicatezza del tema, per motivi sia tecnici sia politici. Dall’altra va assunta una prospettiva sociale più ampia, associando il tema della scuola ad altri elementi dell’attuale emergenza democratica: ambiente, lavoro, riforme istituzionali ed elettorali.

Per questa ragione sono stati invitati alcuni soggetti portatori di punti di vista significativi: Comitato Acqua Bene Comune, Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Libertà e Giustizia, Fiom, che per parte loro si sono dimostrati molto interessati al percorso e che si esprimeranno nelle proprie sedi specifiche sulle modalità di una fattiva adesione. Durante l’assemblea sono intervenuti – senza alcun diritto di precedenza o di modifica dei tempi a disposizione – anche rappresentanti di forze politiche dell’opposizione, presenti in Parlamento (Sel, M5S, Altra Europa con Tsipras, oltre ad alcuni parlamentari del gruppo misto,) e non (Prc, Azione Civile, Sinistra anticapitalista), che hanno confermato il proprio appoggio alla mobilitazione e condiviso la cautela sul tema referendario, concordando sulla necessità di tempi congrui e di uno studio approfondito dei quesiti da proporre e attenzione ai temi sociali.

Erano presenti anche alcune importanti sigle sindacali (Flc-CGIL, Gilda, Unicobas, Cobas, USB, USI), che sono state sollecitate dall’assemblea a coniugare il forte dissenso espresso dai loro rappresentanti nei confronti della legge107 con forme di lotta incisive, davvero comuni ed unitarie.

A qualcuno, oggi come oggi, questi modi partecipati di procedere possono sembrare naif. È un problema di democrazia: il movimento della scuola – unito e senza primogeniture e protagonismi – rilancia una nuova stagione unitaria di mobilitazioni contro la legge 107 e per la scuola della Costituzione, ribadendo la necessità di allargare trasversalmente la sua battaglia di civiltà per una scuola di tutte e di tutti.

Nessun arbitrio nella conduzione dell’incontro, il documento conclusivo è stato discusso e votato – riga per riga – affinché fosse una comunicazione totalmente rispettosa della volontà assembleare. Il percorso del movimento – inaugurato il 12 luglio a Roma, continuato a Bologna e già scandito da tappe successive – è e vuole continuare ad essere inequivocabilmente e orgogliosamente autonomo e paritario: stare insieme, tutti con identica dignità. La determinazione ad agire è stata motivata dalla coerenza e dalla fedeltà alle istanze politico-culturali che tutti insieme democraticamente abbiamo costruito e condiviso. Ma il tempo stringe. A metà di novembre una nuova assemblea, a Roma, per sondare lo stato delle cose, sia sul fronte della mobilitazione, sia del referendum. Tutti insieme, come a Bologna.

La situazione oggi è quindi tutt’altro che semplice: nonostante sia percepibile il desiderio di mobilitazione da parte di un’ampia rappresentanza del mondo della scuola – che, sollecitata, ha risposto prontamente con la grande partecipazione all’assemblea di Bologna, le 4 mila persone all’assemblea di Firenze all’inizio dell’anno scolastico, le iniziative che continuano ad esserci e a riuscire – si sente la mancanza di una spinta potente da parte di quei soggetti che, con l’organizzazione, la rete di relazione, i tesserati, la visibilità mediatica (i sindacati di categoria) potrebbero fare davvero la differenza in un momento così delicato per tutti i lavoratori della scuola, per gli studenti, per le famiglie. Manca un messaggio univoco, un impegno indefesso, una reattività realmente convincente. La pur legittima e necessaria battaglia per l’incredibile ritardo (6 anni) sul rinnovo contrattuale non può rappresentare da solauna risposta davvero significativa rispetto ad un problema culturale, sociale e soprattutto squisitamente politico, come l’inemendabilità e il contrasto alla legge 107/15.

Attendiamo, prima che sia troppo tardi, che agli impegni presi verbalmente all’assemblea nazionale delle Rsu dell’11 settembre, alla condivisione in linea di principio delle istanze espresse dal documento del 6 settembre, seguano precise e determinanti iniziative. Prima che sia davvero troppo tardi.

03/10/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Marina Boscaino

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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