Sulla fase italiana e la funzione delle sardine

In questa fase non bisogna respingere i movimenti ma lavorarci portando avanti una prassi rivoluzionaria come prospettiva e seguendo la tattica di volta in volta più adeguata ai livelli di coscienza molto bassi delle classi sfruttate.


Sulla fase italiana e la funzione delle sardine

Il nuovo anno si apre con una situazione globale in cui sono fortissime le spinte rivoluzionarie e controrivoluzionarie. La crisi generalizzata del sistema dimostra ancora una volta, giorno dopo giorno, come il capitalismo non sia il sogno idilliaco che ci vogliono vendere, ma il violento incubo da cui bisogna svegliarsi. I tagli alla spesa sociale, la militarizzazione e l'imperialismo nuovamente rilanciato sono alcuni esempi del sistema di controllo che le classi dominanti, ormai insicure, intendono usare per bloccare le spinte di rottura del sistema, mentre nel frattempo dilaga la crisi della rappresentatività ed i parlamenti, svuotati di ogni potere, si svelano come teatri di marionette.

Con una situazione del genere la rabbia e la crescente voglia di riscatto dei ceti popolari esasperati sta esplodendo in moltissimi paesi, dove i popoli in lotta si scontrano contro l’attuale status quo e provano a trasformare i rapporti di forza nella società, a volte con prospettive quantomeno riformiste, ma, sempre più spesso, con finalità rivoluzionarie, generando così situazioni insurrezionali. La repressione che segue mette in luce come la “democrazia” borghese non sia altro che la migliore e più impalpabile prigione creata dalle classi dominanti. Se come diceva Rosa Luxemburg solo chi si muove si rende conto delle proprie catene, allora lo sanno bene i cileni che affrontano i carri armati, i popoli martoriati del Medio Oriente o i catalani in lotta per l'autodeterminazione, lo sanno bene tutti loro e molti altri cosa sia questa democrazia dei signori.

Bisogna anche dire che, come si è sempre mostrato nella storia, l'avanzare della rivoluzione porta con sé, come risposta, la spinta della controrivoluzione guidata dalle classi dominanti. Assieme alla controrivoluzione le forze reazionarie mettono in atto, lì dove la lotta ancora non si è manifestata ma le contraddizioni giacciono latenti, anche una rivoluzione passiva, che da una parte si manifesta con minime concessioni di facciata e dall'altra si impone con temi razzisti, xenofobi e securitari. Questa controrivoluzione preventiva, segnale evidente della lotta di classe che anche la borghesia si gioca giorno dopo giorno, è molto evidente in Italia, dove, più che in ogni altro territorio del sud Europa, le forze reazionarie della destra populista sono riuscite a fare breccia, strumentalizzando le necessità delle classi oppresse e colmando di propaganda il grande vuoto politico di una sinistra, riformista e rivoluzionaria, completamente assente.

La responsabilità di questa sconfitta sta anche nella tattica adottata dai comunisti italiani negli ultimi anni e nel totale asservimento (questo comune a tutti i paesi europei) delle socialdemocrazie “tradizionali” alle politiche di austerità dell'Unione Europea.

Se queste sono le responsabilità è fondamentale in questo momento per i comunisti italiani, bloccati fino ad ora in una prassi molto ideologica e massimalista, risvegliarsi da quel sogno di rivoluzione “qui ed ora” che ci ha avvolto a partire da 50 anni fa, da quando tutta la sinistra italiana dovette fare i conti con una fortissima crisi rivoluzionaria e la reazione successiva, per guardare senza false illusioni la realtà odierna e rendersi conto che ci troviamo, qui in Italia, nella fase di più grave mancanza di coscienza di classe e di debolezza del movimento della storia repubblicana.

Soltanto partendo da questa consapevolezza si può costruire nel nostro paese un'alternativa di classe che sia credibile agli occhi degli oppressi, attuando una prassi differente, capendo la dialettica del contesto sociale, per rivolgersi a degli sfruttati oramai disillusi e occupati a mantenere una condizione di sopravvivenza quotidiana, e soltanto da questa consapevolezza si può capire come rapportarsi, sia tra partiti che nei movimenti.

È emblematico di un tentativo di cambiamento della tattica il rapporto che per varie vie stanno provando a praticare i comunisti in relazione al movimento delle Sardine, movimento le cui cause e tendenze sono state già chiaramente espresse in questo giornale da articoli precedenti e su cui pertanto non mi dilungherò in questo articolo oltre il necessario.

La cosa fuori da ogni dubbio è che il movimento sia guidato da posizioni tra l'astratto ed il reazionario, e che gli autoproclamati “capi” del movimento siano del tutto organici o addirittura diretta emanazione del PD e/o delle classi dominanti. Altrettanto fuori da ogni dubbio è che, proprio a causa della nostra attuale debolezza e della situazione italiana, noi comunisti non possiamo permetterci di estraniarci dai movimenti sociali di massa, anche quando hanno una composizione spuria, ma al contrario dobbiamo necessariamente entrarci e lavorare per spingerne in avanti le posizioni, cercando di adattarci al livello di coscienza del movimento e ponendo parole d’ordine avanzate ma comprensibili.

Già Marx ed Engels, nel manifesto comunista, ricordano che i comunisti non sono (o meglio non dovrebbero essere) qualcosa di diverso dagli altri lavoratori (o che i lavoratori percepiscano come lontani da loro), ma ne devono essere l’avanguardia interna. Ancora oggi il nostro compito resta lo stesso: il nostro principale obiettivo non deve essere porre il tema rivoluzionario a tutti i costi anche quando questo ci rende incomprensibili, in quanto parlare di rivoluzione alle masse prive di coscienza non fa che portare acqua al mulino della borghesia, pronta ad usare i suoi mezzi di comunicazione per dare un’immagine dei comunisti come pazzi, distanti dagli interessi reali dei lavoratori o ancorati a visioni della realtà superate o nocive. Il nostro obiettivo, al contrario, deve essere quello di lavorare nel movimento e con le avanguardie al tempo stesso, portando avanti una prassi rivoluzionaria in prospettiva ma che segua la tattica di volta in volta più adeguata ai livelli di coscienza delle classi sfruttate.

Mai come oggi è importante saper comprendere la dialettica tra strategia e tattica. La lezione sulla differenza cruciale tra questi due elementi nella prassi rivoluzionaria ci viene da Lenin, che, capendo il rischio che sarebbe scaturito dal forzare la collettivizzazione delle terre contadine in un periodo in cui l’ideale piccolo borghese della redistribuzione era quello dominante, decise, nei decreti di novembre del 1917, di ridistribuire le terre e non direttamente di collettivizzarle (ovvero decise tatticamente di non fare quello che il cammino verso il socialismo prevedrebbe), spezzando così la principale arma degli oppositori dei bolscevichi. Analogamente dobbiamo agire noi, e lo stiamo facendo, dando non poche preoccupazioni al padronato.

L’evidenza del terrore della borghesia per la nostra infiltrazione nel movimento ci viene dal fatto che, vedendo i comunisti in azione, essa non ha esitato ad utilizzare i suoi mezzi di comunicazione per attaccarci apertamente (sono famosi i casi di Potere al Popolo e Rifondazione, nominati diverse volte da Santori in TV). Questo atteggiamento è il più evidente simbolo non dell’arroganza delle classi dominanti, ma anzi della loro grande preoccupazione. La borghesia “progressista” si sente schiacciata dalla reazione ma continua ad aver paura della rivoluzione, e sta provando a costruirsi una via di uscita. In questo senso opera contro i comunisti e se le classi dominanti cercano di allontanarci dalle masse, di farci vedere come degli estranei approfittatori, di creare a nostro sfavore quella dicotomia noi-loro molto di moda di questi tempi… allora noi dobbiamo rispondere a questo con una sempre più profonda comprensione delle necessità di chi si mobilita, sia nella sua componente proletaria che in quella piccolo-borghese, con un’azione lucida come quella che, tentativo dopo tentativo, stiamo sviluppando.

Abbiamo detto che questa azione si sta portando avanti, con qualche risultato, come la diffusione di volantini, l'inserimento nelle manifestazioni di parole d'ordine più avanzate, la pubblicazione di articoli, la creazione di gruppi di dibattito ed a volte anche la presenza mediatica. Non si può dire, però, che la situazione attuale sia soddisfacente. Mancano nel movimento rivendicazioni oltre a questioni di carattere formale sul linguaggio politico, mentre si prova a rilanciare, sempre lì, la democrazia rappresentativa. Il programma delle Sardine rappresenta poca cosa e le prese di posizione di Santori contro l’abrogazione dei decreti sicurezza - nonostante poi abbia ritrattato ed abbia parlato di cancellazione dei decreti proprio grazie all’azione portata avanti dalle avanguardie comuniste in piazza, in particolare le Sardine Nere - mostrano come la strada sia ancora lunga da percorrere. Inoltre, nella struttura del movimento si svela ancora quello scheletro vuoto costruito dall’alto, con attività che non decide nessuno e che servono unicamente alle esigenze elettorali del PD.

Se le premesse sulla struttura sono queste, resta la domanda per il prossimo congresso (il secondo), che dovrebbe essere celebrato domenica 8 marzo. Sì cercherà di nuovo, come purtroppo per ora appare, di bloccare ogni dialogo all'interno delle Sardine, con delegati non eletti e del tutto organici alla linea dominante, o si farà finalmente un passo ulteriore, con la creazione di assemblee locali che scelgano autonomamente i loro delegati? Staremo a vedere, facendo intanto pressione perché le cose vadano in questo secondo modo.

In sintesi, sebbene qualche passo in avanti sia stato fatto, non possiamo certo dirci soddisfatti. All’interno del mondo comunista non è ancora stata trovata una sintesi condivisa sul fenomeno delle Sardine, dobbiamo ancora approfondire di molto le contraddizioni che lo permeano, perfezionare la rete di connessioni ed affinare la tattica per poter veramente mettere in discussione l’egemonia culturale borghese all’interno di quel movimento. Proprio perché c’è ancora molto da fare, compagni, l'invito è di restare ottimisti. I padroni hanno paura perché sanno di avere torto di fronte agli sfruttati. Organizziamoci! Continuiamo a mobilitarci, inseriamoci in modo intelligente in queste lotte, non in modo astratto e ideologico, riempiamo ogni luogo, digitale o fisico, del movimento, portiamo idee, esigiamo la creazione di assemblee locali con un vero potere decisionale, sveliamo le assurdità degli autoproclamati capi del movimento e mettiamoci invece noi a servizio di chi ha un problema, forniamogli una soluzione sia immediata che da costruire. Riempiamo le Sardine di contenuti e ricostruiamo così, passo dopo passo, quella coscienza che ci hanno rubato.

18/01/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Simone Rossi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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