Le considerazioni terminali sulla nostra economia

L'euforia del Governo sullo stato dell'economia del Paese è solo propaganda. Leggendo meglio i dati forniti nelle “Considerazioni finali” di Visco emergono tante criticità e l'intenzione di aggravare le condizioni dei lavoratori.


Le considerazioni terminali sulla nostra economia

Nei giorni scorsi Giorgia Meloni, nel commentare le “considerazioni finali” del Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, il cui mandato è in scadenza, ha voluto sottolineare solo i dati utilizzabili strumentalmente per esprimere un giudizio ottimistico sulla nostra economia e dare una valutazione positiva dell'operato del suo governo. Il dato principale è quello del Pil, aumentato del 3,7% nel 2022, dopo il recupero – peraltro incompleto rispetto al periodo precedente la pandemia – del 7% nel 2021. Queste dichiarazioni sono state ovviamente riprese e rilanciate dai media, specie quelli di Stato, secondo il consueto stile ereditato dai cinegiornali dell'Istituto Luce del tempo che fu e che non pochi oggi vorrebbero che tornasse.

Vediamo di analizzare più prosaicamente cosa ha detto il Governatore. Innanzitutto la crescita è avvenuta sì, ma come rimbalzo rispetto al dato negativo della lunga crisi, accentuatasi con la pandemia, mentre già per quest'anno la previsione di crescita formulata dal Governatore è di un modestissimo 1%. Poco conta che successivamente l’Osce ha riveduto al rialzo questa previsione, portandola a un sempre misero 1,2%.

Visco ha evidenziato il miglioramento della produttività e il recupero della competitività internazionale, auspicando il rafforzamento di questa tendenza. Ha omesso però di dire che il recupero di competitività è avvenuto soprattutto a scapito dei salari. Infatti il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto in termini reali dell'1,2% a causa dell'inflazione, il che ha determinato una forte erosione dei risparmi per contrastare l'abbassamento del tenore di vita il cui attuale livello è inferiore a quello precedente la pandemia. 

L'altra faccia del tentativo di mantenere un certo tenore di vita – che per molti significa sopravvivere - è l'aumento dell'indebitamento. Il banchiere centrale si è mostrato soddisfatto dell'abolizione della scala mobile un po' in tutta Europa: “grazie alla limitata presenza di meccanismi automatici di indicizzazione all’inflazione passata, alla natura una tantum di una parte significativa degli incrementi retributivi […] il rischio di una rincorsa tra prezzi e salari fino a questo punto si è mantenuto moderato […] la crescita delle retribuzioni orarie effettive si è collocata poco al di sopra del 3,5%, restando quindi nettamente inferiore all’inflazione”. Questo, se non fosse già sufficientemente chiaro, significa che i costi dell'inflazione l'hanno pagati i lavoratori dipendenti. Sarebbe stato bene infatti disaggregare il peggioramento delle condizioni delle “famiglie” – termine neutro che nasconde le differenze fra le classi – per evidenziare che esso riguarda soprattutto le famiglie dei lavoratori dipendenti, non certo quelle di coloro che, potendo adeguare i prezzi, sono stati in grado do mantenere i propri proventi in linea con l'inflazione. Cinicamente Visco esorta ad evitare “nelle contrattazioni nel mercato del lavoro un approccio puramente retrospettivo”, cioè la ricerca del recupero di potere d'acquisto, “poiché una dinamica retributiva che replicasse quella dell’inflazione passata non potrebbe che tradursi in una vana rincorsa tra prezzi e salari. Quello che occorre per un recupero del potere d’acquisto è una crescita più sostenuta della produttività” che, aggiungiamo noi, in assenza di investimenti tecnologici significa aumento dello sfruttamento dei lavoratori attraverso l’intensificazione dei ritmi e l’aumento degli orari. 

Quindi, secondo il governatore, non sarebbe una strategia da perseguire quella di adeguare i salari ai prezzi, piuttosto invece lasciare che calino in termini reali. Come se l'inflazione fosse causata dal costo del lavoro e non dai profitti che non hanno mai smesso di crescere, anche per effetto della speculazione sui prodotti energetici. In Europa – dice infatti Visco – “l’inflazione ha trovato alimento soprattutto nei rincari dell’energia, specie quelli del gas naturale, le cui quotazioni hanno raggiunto valori senza precedenti”. Il Governatore uscente si riferisce alle conseguenze della guerra, ma evita accuratamente di riferirsi anche alle conseguenze delle deleterie sanzioni economiche alla Russia, le cui spese le fanno soprattutto i lavoratori europei, dato che le quotazioni del gas “nella media dell’anno sono risultate oltre 6 volte più alte in Europa che negli Stati Uniti”. Ciò ha determinato e determina svantaggi notevolissimi anche per il sistema industriale europeo in un momento in cui le cose vanno malissimo.

Da questo punto di vista, la Germania è già ufficialmente in recessione e, dato il suo peso economico, le conseguenze si ripercuoteranno in tutto l'ambito europeo, in particolare in Italia la cui economia è in buona parte caratterizzata dalle subforniture all'industria tedesca.

Né deve essere di consolazione la previsione del Governatore secondo cui “l’inflazione scenderebbe nel corso dei prossimi mesi, riflettendo soprattutto l’andamento dei prezzi dei beni energetici; nello scenario elaborato a marzo dalla Banca centrale europea (BCE), in corso di aggiornamento, tornerebbe al 2 per cento nella seconda metà del 2025”. Infatti questo non significa altro che da quest'anno e per tutto il 2024  fino alla seconda metà del 2025 i salari reali continueranno a precipitare in un quadro mondiale in cui “le previsioni di crescita nei prossimi mesi restano incerte” a causa della guerra in Ucraina e di “dubbi circa l’intensità della ripresa dell’economia cinese”.

Secondo Visco, anche di fronte alla tendenza alla “flessione” dell'inflazione, mantenendosi comunque elevata, deve permanere “l’intonazione restrittiva delle politiche monetarie volte a tenere sotto controllo la tendenza dei prezzi nel medio periodo”. L'esortazione è quindi a continuare a “garantire un rientro progressivo, ma non lento [sic!], dell’inflazione verso l’obiettivo”. La cosa può essere esplicitata nella promessa di politiche recessive che quindi stroncheranno sul nascere la tendenza alla crescita e faranno selezione fra le imprese.

Il governatore si sofferma - e non avrebbe potuto evitarlo – anche sull'instabilità del sistema finanziario internazionale, caratterizzato da default o comunque da necessità di salvataggio di importanti istituti di credito statunitensi ed europei. Tuttavia, edulcorando la pillola, Visco parla di rischi di instabilità, come se ciò che è accaduto non sia sufficiente a configurare uno stato di instabilità già in atto, e che potrebbe sfuggire di mano. È infatti notizia di questi giorni che i depositi nelle banche Usa stanno pericolosamente scemando. Il Governatore si mostra implicitamente consapevole del caos in atto laddove riconosce che “gli episodi di turbolenza sui mercati ci ricordano quanto velocemente la fiducia degli investitori possa deteriorarsi e come, di conseguenza, i rischi per la stabilità finanziaria non vadano mai sottovalutati”.

Ma la politica degli alti tassi in atto, svalutando i portafogli delle banche, creerà una selezione fra gli istituti di credito determinando crisi e acquisizioni. Inoltre comprometteranno i conti pubblici dei paesi più indebitati, fra cui spicca l'Italia. Lo ammette in qualche modo anche Visco: “bisogna evitare che questi ultimi [i debiti pubblici] divengano causa di nuove crisi. Differenziali [spread] ampi e duraturi tra i rendimenti dei titoli dei diversi Stati dell’Unione ostacolano la convergenza economica”. Dopo aver rammentato le proposte per una gestione “a livello europeo di una parte delle passività” degli stati, auspica che vengano attivate politiche più solidali per dare “maggiore stabilità all’unione monetaria”. Si tratti di un nuovo quantitative easing o l'emissione di un “titolo di debito pubblico comune”, si potrebbe così salvaguardare (“safe asset” nel gergo della finanza) la quotazione dei titoli di Stato. Così come “L’introduzione di una capacità di bilancio sovranazionale, assente nella proposta di riforma della Commissione, consentirebbe di gestire in modo più efficiente sia shock che colpiscono singoli paesi, sia eventi avversi comuni a tutti”. Ciò nonostante, il governatore auspica il “ritorno a significativi avanzi primari” che, specie con l'aumento delle spese militari e con le regalie fiscali, si tradurranno inevitabilmente in poderosi tagli ai servizi essenziali e alla previdenza. Servono, sostiene Visco, “coperture strutturali adeguate” della spesa pubblica, leggasi ulteriori pesanti “riforme strutturali”.

Va dato atto a Visco che non nasconde i problemi legati alle basse retribuzioni e alla precarietà del lavoro. Riferisce infatti che è aumentata al 30% (era il 25% a fine anni ‘90 del secolo scorso) la quota di lavoratori con retribuzioni annue inferiori a 11.600 euro annui e che vi è una “maggiore diffusione del lavoro temporaneo e di quello a tempo parziale” con la conseguenza che per un a parte dell'anno molti lavoratori sono privi di occupazione. Lo stesso lavoro a termine in molti casi “si associa a condizioni di precarietà molto prolungate; la quota di giovani che dopo cinque anni ancora si trova in condizioni di impiego a tempo determinato resta prossima al 20%”.

Sennonché, come se quanto detto sopra fosse irrilevante, si sostiene che “le ripercussioni [dell'inflazione] sull’economia della nostra area saranno tanto minori quanto più responsabili saranno i comportamenti di tutte le parti che contano, imprese, sindacati, governi”. In sostanza si prosegue con la proposta di già visti patti corporativi che temo troveranno l'adesione dei sindacati maggiormente rappresentativi, cioè quelli che firmano i contratti.

Altre parti della relazione riguardano il salario minimo, al cui favore viene spezzata una lancia - al pari di Confindustria - e la rimozione dei vantaggi fiscali goduti dalle piccole imprese, mostrando così di auspicare una spinta alla centralizzazione dei capitali.

A proposito dell'immigrazione sostiene che potrebbe essere d'aiuto a rimpinguare la forza-lavoro disponibile, in forte calo.

In maniera molto ovattata si invia indirettamente una frecciata alla proposta di flat tax laddove si dichiara che “nessun intervento può realisticamente prescindere dai vincoli posti dal nostro elevato debito pubblico, né dai principi di progressività e capacità contributiva sanciti dalla Costituzione”.

Altre parti della relazione trattano genericamente “l'ambizioso programma di riforme” presente nel PNRR, la transizione ecologica, che però deve essere attuata soprattutto da parte delle imprese mettendo quindi in secondo piano il ruolo dello Stato e la moneta digitale, di cui però non si forniscono specifiche utili a farsene un'opinione.

Si segnala infine che, in merito all'attuale caos internazionale, viene sottolineato il ruolo della “contrapposizione strategica tra le due principali economie mondiali, Stati Uniti e Cina”, evitando così almeno di accodarsi alla canea anticinese e antirussa.

09/06/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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