Corpo a corpo con il liberalismo

Ascesa e declino di un'ideologia reazionaria e della sua lotta contro di noi


Corpo a corpo con il liberalismo

Siamo immersi nell'acqua gelida del liberalismo. Il liquido ci pervade al punto che nonostante gli “acciacchi” che ci provoca si finisce spesso per addebitarli a tutti (“Le donne, il tempo e il governo” come cantava De André), meno che a quello che ci sembra ormai un dato naturale.

Eppure il grado di degenerazione e di pericolosità raggiunto da questa ideologia schiettamente reazionaria è ormai dinanzi agli occhi di chiunque voglia fare appena lo sforzo di aprirli. La pandemia dovuta al Coronavirus ce ne ha fornito delle evidenze lampanti dalla sanità pubblica (i tagli di 37 miliardi di euro al SSN effettuati negli ultimi anni e i favori a quella privata) all'inefficienza del coordinamento delle politiche di Stato e Regioni dinanzi a un'emergenza di questa portata, a seguito della “contaminazione” federalista della Costituzione italiana, voluta dal centro-sinistra con la riforma del 2001.

Dovunque il liberalismo domini si possono osservare fenomeni marcati di disgregazione sociale e politica che intaccano persino i processi della democrazia borghese e della stessa statualità.

Il liberalismo da vecchio torna nella culla

C'era un tempo in cui il liberalismo aveva una sua carica progressiva. Si era sul finire del Seicento e filosofi come John Locke sottoponevano a critica il “corpaccione” dell'assolutismo monarchico per aprire varchi alla borghesia ascendente: di qui l'esigenza di limitare i poteri del sovrano e dell'esecutivo, aprire i parlamenti, sottoporre ai controlli di giudici “neutrali” gli editti delle corti, ecc. Di lì, attraverso la Gloriosa Rivoluzione inglese del 1689, l'Illuminismo scozzese (David Hume), francese (Voltaire, Montesquieu) e tedesco (Kant), si giunse al crogiolo politico della Grande Rivoluzione francese del 1789 in cui il liberalismo iniziò a scindersi dalle istanze autenticamente democratiche portate avanti dai Giacobini e dalle masse popolari sanculotte.

A far data dalla metà dell'Ottocento e dalla tempesta politica del '48, il liberalismo inizia a pencolare visibilmente a destra: si frena sul suffragio universale, sui diritti politici concessi a prescindere dal censo e tanto più si osteggiano i diritti sociali delle classi lavoratrici.

Dall'inizio degli anni '80 del Ventesimo secolo la tradizione liberale ha fatto di nuovo capolino, dopo aver balbettato fesserie e/o piatte banalità per una cinquantina d'anni e per un paio di guerre mondiali: diciamo dal '18 agli anni '70. Il liberalismo rialza il capo in coincidenza con la crisi del “socialismo reale” e lo fa in economia con la scuola di Chicago (Milton Friedman) e prima ancora con quella di Vienna (Friedrich August von Hayek), in politica con Margareth Thatcher e Ronald Reagan, in filosofia con Karl Popper.

Della profondità e proficuità del pensiero di codesti e dei loro attuali epigoni lascio giudicare altri, tuttavia non si può non notare come curiosamente nonostante la passione per la modernità e le polemiche con i classici i liberalismo di fine Novecento assomigli molto a quello del secolo precedente nella diffidenza nei confronti della democrazia, dell'intervento statale in economia e in generale nei confronti della partecipazione politica delle masse popolari: in pratica un vecchio che si agita nella culla di un neonato.

L'ultima parola del liberalismo morente: Disgregate lo Stato!

Il liberalismo ha esercitato progressivamente, dunque, la sua carica disgregatoria nei confronti delle monarchie assolute e del mercantilismo e oggi prosegue nel suo ruolo in senso regressivo disarticolando gli stati democratici (borghesi). Volete un esempio? Sedetevi comodi perché ne abbiamo a carrettate: dagli anni '90 in poi abbiamo assistito alla creazione di Autorità regolatrici che decidono in autonomia su svariati settori della vita sociale; le banche centrali sono divenute indipendenti; le Regioni si sono a loro volta create una sfera d'azione propria tramite il cosiddetto federalismo. Si noti che gli aggettivi connotano positivamente un movimento di separazione, una scissione, una divaricazione. In ognuno di questi casi il pensiero liberale ha trovato modo di giubilare per l'indebolimento del potere centralizzato statale che altrimenti avrebbe schiavizzato l'individuo e in ognuno di questi casi il liberalismo ha invece certamente servito la causa della centralizzazione dei capitali, ovvero il “libero” movimento dei capitali che si sussumono in un capitale più grande.

È sconcertante la giustificazione ideologica schiettamente liberale che viene data in Italia per fondare sulla scorta dell'esempio degli Usa la creazione delle innumerevoli Autorità indipendenti che dalle nostre parti si chiamano: Consob, Garante per la protezione dei dati personali, Autorità nazionale anticorruzione, Antitrust, Banca d'Italia, ecc. In tutti questi casi si fa riferimento alla necessità di costituire degli “arbitri” tecnicamente competenti che controllino il corretto funzionamento di settori complessi e che soprattutto siano indipendenti dal potere politico.

Si sottace però sul fatto che il potere politico dal quale debbono essere indipendenti queste autorità è quello rappresentato dal Parlamento (borghese) eletto democraticamente a suffragio universale: tradotto in termini più semplici, i governi di ispirazione liberale che si sono succeduti dagli anni '90 in poi (di destra e di sinistra) si sono soprattutto preoccupati di rendere questi nuovi centri di potere indipendenti da noi, ovvero dai cittadini.

Di sfuggita, si può notare come dopo anni di polemiche fondate sulla necessità di rendere indipendenti le banche centrali dai governi, nessuno si preoccupi che il capitale della Banca d'Italia sia prevalentemente in mani private (per limitarci agli azionisti più grandi: 23,99% di Intesa San Paolo Spa, 12,81% di Unicredit Spa).

Non è di Destra o di Sinistra! È del Capitale!

Lo spezzettamento del Servizio Sanitario Nazionale in venti porzioni regionali separate che non riescono a fronteggiare l'epidemia di COVID-19, ma che tutte insieme contemporaneamente hanno aperto le braccia a processi di privatizzazione di vario grado sarebbe comico se non avesse avuto le tragiche ricadute di questi giorni.

Si dirà: è il federalismo bellezza! L'essenza del federalismo all'italiana sta tutta qui: spezzare il potere (relativamente) democratico del Parlamento e trasferire poteri e funzioni alle Regioni più piccole, più permeabili alle esigenze delle grandi imprese, dei grandi capitali.

Già è proprio questo il nucleo ideologico del pensiero liberale: impedire l'esercizio della sovranità popolare, seppure nelle forme della democrazia borghese. Porre ostacoli all'influenza e alle esigenze delle masse popolari che (ahimé per i teorici liberali) hanno conseguito il suffragio universale: quindi trasformare le scelte da politiche in tecniche in modo da renderle impermeabili alle contestazioni. Non si può fare altrimenti accidenti: rassegnatevi!, ci grida il liberale di turno ogni giorno dai giornali, dalle tv, dalle radio, dai Internet, dai social media. Per tutti costoro non è mai una questione di Destra o di Sinistra; è così che si deve fare punto e basta.

Del resto è l'intera impalcatura dell'Unione Europea a basarsi sulla a-democraticità delle sue istituzioni che fondano le loro scelte non a caso su parametri numerici e tecnici ai quali inchiodano i popoli del Vecchio Continente: basti pensare al famigerato deficit del 3% del Pil.

È necessaria una lotta a fondo contro il liberalismo. Infine, al “vecchio” va tolto il belletto della modernità e degli aggettivi inneggianti alla libertà, all'indipendenza e all'autonomia...è bene sapere che quando li usa non parla di noi, ma dei movimenti dei pirati della Borsa, delle speculazioni e della rendita finanziaria.

17/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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