Neoliberismo, comunitarismo e nazismo (videolezione)

Concludiamo la pubblicazione delle videolezioni del corso La distruzione della ragione: per la critica delle ideologie filosofiche moderne e contemporanee conservatrici e reazionarie tenuto dal prof. Renato Caputo per l’Università popolare A. Gramsci.


Segue da: Totalitarismo e neoliberismo (videolezione)

Come ricordava Lenin non esistono, come l’attuale ideologia postmoderna vorrebbe farci credere, tanto differenti visioni del mondo. Al contrario, esse si riducono, quando non ci si ferma alle parvenze empiriche, a fondamentalmente due: l’ideologia dominante, volta a preservare i privilegi della classe di sfruttatori al potere e la concezione scientifica del mondo, di cui avrebbe bisogno la massa di sfruttati per uscire dalla condizione tradizionale di oppressione. A questo scopo, di contro allo spontaneismo piccolo borghese, che non fa che declinare in salse diverse il vecchio mito del buon selvaggio, i subalterni sono tali proprio perché egemonizzati dal pensiero unico dominante. Da qui il ruolo essenziale non dell’intellettuale tradizionale, più o meno consapevolmente al servizio della classe dominante, ma di un intellettuale collettivo organizzato in un partito di quadri rivoluzionario in grado di divenire comunista, ovvero avanguardia del proletariato, in quanto riesce a divenire egemone fra gli oppressi e sfruttati mediando una visione del mondo antagonista a quella delle classi dominanti.

D’altra parte, come già sapevano i giovani Marx ed Engels, l’ideologia dominante è sempre l’ideologia della classe dominante. Per cui sino a quando i rivoluzionari non conquisteranno il potere, la loro capacità di egemonia sugli sfruttati è sempre a rischio. Inoltre, i subalterni, oppressi e sfruttati, difficilmente hanno la possibilità di formarsi una visione del mondo autonoma e per questo finiscono generalmente per dipendere da intellettuali del blocco sociale dominante che tradiscono la loro classe di provenienza, magari perché sono in via di proletarizzazione o semplicemente per comprendono dal punto di vista della filosofia della storia quale sia l’unica alternativa alla crisi di civiltà a cui il capitalismo ci sta conducendo. D’altra parte tali intellettuali non sono sempre affidabili, sia perché nei momenti decisivi del conflitto di classe tendono a ripiegare nelle classi di provenienza, sia perché generalmente mantengono del loro modo di pensare elementi dell’ideologia dominante. Perciò è essenziale che i subalterni siano in grado, per uscire da questa condizione di oppressione, di elaborare intellettuali a loro organici.

Alla formazione di questi ultimi è decisiva, in primo luogo, una critica dell’ideologia dominante, per poter elaborare una visione del mondo antagonista. Non a caso Marx ha inserito come sottotitolo, volto a chiarire la funzione della sua opera fondamentale, Critica dell’economia politica. Tale opera resta decisiva per contrastare l’ideologia dominante al decisivo livello delle strutture economiche e sociali. D’altra parte, come sottolinea Gramsci, gli individui sviluppano la propria coscienza socio-politica a livello delle sovrastrutture e la battaglia che si combatte nel loro campo per l’egemonia sulla società civile è decisiva per le sorti della Rivoluzione in occidente. Quindi, come contributo alla lotta di classe sul piano delle sovrastrutture, abbiamo pensato di iniziare quest’anno accademico dell’Università popolare Antonio Gramsci con un corso di taglio filosofico-politico dedicato alla critica dell’ideologia dominante (conservatrice e/o reazionaria) dalla prima metà del diciannovesimo secolo ai nostri giorni.

Questa controstoria del pensiero filosofico e politico dominante, in quanto assunto come proprio dalla classe al potere, prende spunto dall’importantissimo studio pionieristico in questo campo di György Lukács: La distruzione della ragione. Per sottolineare il nostro debito con questo grande classico del marxismo filosofico abbiamo utilizzato anche noi questo titolo per il nostro corso.

Muovendo da Lukács, sulla base di una analisi della storia del pensiero filosofico e politico dal punto di vista del materialismo storico e dialettico, cercheremo di mostrare come gli intellettuali borghesi, che dall’autunno del medioevo alla conquista del potere da parte della borghesia – con la rivoluzione industriale e la lunga rivoluzione francese 1789-1871 – avevano svolto una decisiva lotta progressista e rivoluzionaria dal punto di vista delle sovrastrutture contro aristocrazia, alto clero e, infine, assolutismo monarchico, una volta che la borghesia diviene stabilmente classe dominante, tendono a sviluppare posizioni sempre più conservatrici. Tale tendenza è accelerata e radicalizzata dal fatto che la borghesia per sconfiggere il vecchio blocco sociale costituito intorno alla monarchia assoluta da aristocrazia e altro clero ha dovuto costituire, nel corso dei secoli della sua lotta per il potere, un blocco sociale antagonista di cui dovevano far parte, in funzione subordinata le masse popolari, come indispensabile base di manovra per fronteggiare il monopolio della violenza legale da parte della classe dominante.

Per continuare a leggere la presentazione del corso: vai al link: La distruzione della ragione

La “demarchia” liberale di Hayek

Friedrich August von Hayek (Vienna 1899, Friburgo 1992), premio nobel per l’economia nel 1974, è uno dei massimi esponenti del neoliberalismo. Professore alla London School of Economics, amico di Popper, avversario di Keynes e dello Stato sociale, Hayek ha scritto oltre che di economia, di filosofia e di politica. Nel 1944 scrive Verso la schiavitù, accusando il socialismo di avere idee impraticabili e di essere alla radice del nazismo. Dal 1949 al 1962 insegna all’Università di Chicago, dove scrive nel 1960 la Società libera. Poi insegna a Friburgo, dove pubblica fra il 1973 e il 1979 i tre volumi di Legge, legislazione e libertà, in cui denuncia come tirannide lo stesso suffragio universale e mette in guardia contro l’idea di giustizia sociale che metterebbe in dubbio la sopravvivenza della nostra società.

La libertà negativa economica come valore assoluto

La filosofia politica di Hayek è tutta incentrata sull’ideale della libertà individuale, per cui la libertà economica tende a coincidere con la libertà tout court. La libertà per Hayek è sempre una condizione che riguarda la persona come singola, dotata di una sfera privata intorno a sé che gli altri non debbono violare. La libertà è, dunque, assenza di interferenze o coercizioni esterne. Per cui l’individuo che segue le direttive di un governo, per quanto eletto democraticamente, non è libero. Hayek ha infatti una concezione negativa della libertà in sintonia con la tradizione liberale inglese di Locke.

Freedom from vs freedom to

Ciò che sta a cuore a Hayek è, dunque, la libertà individuale quale protezione mediante la legge da ogni coercizione arbitraria (freedom from) e non come rivendicazione del diritto di ognuno a partecipare alla determinazione della forma di governo (freedom to). Perciò lo Stato ha un ruolo secondario e negativo, deve intervenire il meno possibile nella sfera dell’autonomia individuale e garantire con leggi il pieno dispiegarsi delle libertà individuali, assicurando solidi steccati alla difesa degli individui. La proprietà privata, intesa con Locke come «diritto alla vita, alla libertà e ai beni», è il fondamento di ogni civiltà evoluta. Perciò per Hayek legge, libertà e proprietà sono una trinità inseparabile. 

La legge quale limite alla legislazione dei governi

Hayek separa la legge, che ha carattere universale, dalla legislazione che riguarda singole norme, che perseguono interessi specifici. Perciò la legge universale non si deve confondere con la legislazione particolare dei governi. La legge è indipendente dai governi particolari e costituisce il limite oltre cui la legislazione dei governi non può andare, in quanto è sovrana la rule of Law (il governo della legge).

Contro ogni forma di giustizia sociale

Lo Stato deve intervenire per proteggere le norme generali: vita, libertà e beni degli individui, mentre non deve interferire con la libertà degli individui di perseguire i loro scopi. Perciò Hayek si oppone a ogni legislazione in materia di giustizia sociale, in quanto modifica la posizione economico-sociale delle persone, favorendo, per esempio con la tassazione, le più svantaggiate. Ai deboli, malati, vedove, orfani ecc. devono avere assicurati il reddito minimo per sopravvivere dall’assistenza sociale, senza che la legge alteri le regole del mercato. 

Il libero mercato e lo Stato minimo

Hayek considera il monopolio dello Stato nelle poste, nell’istruzione, nelle telecomunicazioni negativo, inefficiente e pericoloso. Mentre Hayek ha una sconfinata fiducia nelle capacità del libero mercato di coordinare in modo spontaneo, come nella teoria della mano invisibile di Smith, domanda e offerta. Perciò l’iniziativa individuale e il meccanismo della concorrenza garantirebbero al libero mercato una riuscita migliore di ogni intervento della politica. 

La critica alla democrazia quale tirannide della maggioranza

Hayek condanna la democrazia che rischia di divenire una tirannide della maggioranza. Perciò egli intende sostituire al potere del popolo della democrazia, la demarchia quale governo non fondato sulla forza, ma secondo regole. Tale sistema sarebbe governato da un’assemblea legislativa che assicuri le libertà individuali, impedendo ogni coercizione nella sfera privata.

22/01/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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