Un piano per il socialismo futuro

Alcune indicazioni scaturenti dall’esperienza della pandemia: socializzazione, cooperazione e internazionalismo invece che proprietà privata, libero mercato, concorrenza.


Un piano per il socialismo futuro

Premessa generale: una pandemia che trasformerà il mondo

La situazione creata dalla pandemia ha messo a nudo le contraddizioni e le fragilità del nostro sistema di produzione e di sviluppo, improntato alla mercificazione di ogni ambito dell’esistenza e della natura: la trasformazione della salute in merce, quindi in valore di scambio, è oggi più che evidente.

Non penso sia imputabile alla volontà umana la mutazione del coronavirus, ma è certo che il contagio e la rapidissima diffusione che ha raggiunto la dimensione di una pandemia sono dovuti all’altissima concentrazione di persone nelle metropoli, milioni che nella maggior parte dei casi appartengono a fasce basse e medio-basse della popolazione, costrette a un’esposizione senza protezioni o a vivere in condizioni igienico-sanitarie spesso inappropriate, quando non indecenti.

Alcuni studi evidenziano che, nel caso dell’Italia, la pandemia si è diffusa enormemente soprattutto nelle zone del nord, quelle a più alta densità e concentrazione di persone nelle fabbriche e nei magazzini, come nei mezzi di trasporto pubblici (metro, treni, pullman, bus), anche per la presenza di polveri sottili e particolato nell’aria inquinata. Tutto ciò evidenzia che la produzione per la produzione, la spremitura di uomini e donne in uno sfruttamento intensivo in cui sicurezza e salute sono sacrificabili, non producono sviluppo e civiltà, ma crescita patologica che provoca metastasi non più solamente sul piano economico sociale, ma anche su quello sanitario.

Pur nelle mille contraddizioni, vi sono paesi con un sistema diverso da quello liberal-democratico che non solo hanno saputo affrontare in maniera efficiente ed efficace la situazione, ma stanno anche dando un contributo fattivo senza richiedere la restituzione in denaro o beni, né imponendo alcuna condizione: i mezzi di informazione, dopo i primi giorni in cui il bisogno e l’emergenza suscitavano ancora una spontanea riconoscenza per gli aiuti di Cina, Cuba, Russia, si sono stati ben presto riallineati, sollevando un’indecente critica contro quei governi e sistemi bollati come totalitari, autoritari, dittatoriali: addirittura il Presidente della Toscana Rossi in una trasmissione de La7 è arrivato ad affermare che sarebbe stato meglio non dover ricorrere agli aiuti della Russia, il cui intento sarebbe esclusivamente propagandistico e ha criticato la Cina per l’esistenza dei mercati di selvaggina.

In realtà, alcuni paesi a economia pianificata, o comunque non organizzati come le democrazie borghesi, sembrano aver gestito meglio l’emergenza Covid, piuttosto dei disastri che stanno emergendo in Inghilterra, con il Premier Boris Johnson che prima di ammalarsi voleva utilizzare la strategia della selezione naturale (attendere il formarsi della immunità di gregge); o ancor peggio negli USA dove la mancanza di un sistema sanitario pubblico sta provocando morti a decine di migliaia in pochissimi giorni; o infine nella “civilissima e socialdemocratica” Svezia in cui intenzionalmente si lasciano fuori gli ultra-ottantenni dalle terapie intensive: sono esempi del cosiddetto “darwinismo sociale” (ideologia non autorizzata della teoria di Darwin), che fu il prototipo/precursore delle pratiche eugenetiche naziste. Esempi che non fanno brillare le “società democratiche” senza qualità.

Non solo: paesi che vengono considerati regimi, ma che in realtà hanno un sistema economico-sociale (almeno parzialmente) collettivizzato e pianificato, in cui lo Stato ha un ruolo preminente sul mercato a difesa del popolo, hanno dato (o offerto) un contributo rilevante in termini di aiuto ad altri paesi, mettendo a disposizione risorse, competenze, medici e medicinali in nome della solidarietà internazionalista. Ovviamente, ci riferiamo a Cina, Cuba, Russia e Vietnam: sarebbe ora di chiedere la fine di ogni infame embargo e sanzione, per debellare la pandemia.
Al contrario, i paesi cosiddetti amici dell’UE e Stati Uniti hanno fatto di tutto per sottrarci commesse di mascherine e di ventilatori polmonari, e cercano di sfruttare l’emergenza per poi accanirsi saccheggiando le nostre risorse sociali (sanità, trasporti, servizi): lo strumento del MES (sterilizzato dalle condizionalità previste) rischia di essere un’ulteriore corda al collo del debito italiano perché la sospensione delle condizioni (privatizzazioni, esternalizzazioni, vendita di patrimonio pubblico, tagli della spesa pubblica) non sospende l’obbligo di restituire le eventuali risorse prestate (ca. 37 mld di euro) con gli interessi.

Siamo tutti sulla stessa barca?

Ognuno sul pianeta è esposto al virus, e in questo momento ancora non ci sono farmaci né preventivi né curativi: dunque, sia ricchi che poveri, benestanti e miserabili, cittadini e campagnoli sono tutti passibili di essere contagiati. Ma certamente non siamo tutti uguali: intanto, gli appartenenti a classi e ceti privilegiati possono accedere ai controlli (tamponi) anche ricorrendo a laboratori privati a pagamento, mentre ci sono moltissime persone che non hanno potuto essere controllate prima che si ammalassero; inoltre, come abbiamo visto, moltissimi lavoratori e lavoratrici (anche in comparti e attività sicuramente non necessarie ed essenziali) sono stati costretti a continuare a lavorare in posti di lavoro affollati, raggiunti con mezzi di trasporto pubblici e comunque con turni in cui il distanziamento sociale è stato praticamente impossibile da mantenere.

Le responsabilità di governatori e amministratori soprattutto lombardi, ma in parte anche del governo nazionale, sono tutte qui, nella dipendenza dai diktat delle associazioni padronali e confindustriali che hanno dato il segno di classe a questa emergenza: le restrizioni imposte ai singoli cittadini, giuste per impedire che si possano formare spontaneamente assembramenti rischiosi, cozzano pesantemente con le pretese aziendali e padronali di continuare a produrre, vendere, esportare mettendo a repentaglio sicurezza e salute di lavoratori e lavoratrici e dei loro familiari innanzitutto. Solo mobilitazioni e scioperi indetti sia dalle organizzazioni sindacali di base che confederali hanno fatto sì che il governo correggesse almeno parzialmente la linea di totale subalternità a Confindustria; altri esempi sono le mobilitazioni di lavoratori dell’igiene ambientale che hanno (in parte) ottenuto dalle aziende le protezioni per il servizio essenziale di raccolta dei rifiuti.

La situazione di emergenza è stata aggravata nel nostro paese, come in Spagna, dalla devastazione della sanità pubblica, sottoposta a tagli pesantissimi imposti dalle politiche di austerità e dal vincolo di bilancio (che è stato inserito nell’articolo 81 della Costituzione) finalizzati ufficialmente al rientro dell’enorme debito: questo ammonta a quasi 2mila mld e mezzo di euro che, in rapporto ad un PIL esangue, dà un rapporto che dal 135% circa schizzerà a quasi il 160%; l’obiettivo imposto all’Italia di dimezzare il rapporto debito/PIL nei prossimi anni diverrà ancora più irraggiungibile, con una crescita già irrisoria prima, e un massacro economico-sociale come si va profilando; a questo va aggiunto che il nostro avanzo primario senza interessi sarebbe in pari, se non in attivo, ma siamo costretti a pagare tra i 60 e i 70 mld di euro, tra il 3,5% e quasi il 4% del PIL, ogni anno di interessi sui buoni tesoro venduti sui liberi mercati della speculazione interna e esterna.

Per ottenere questo improbabile risultato, l’UE e la BCE avevano imposto all’Italia una politica di lacrime e sangue, che ha prodotto quei tagli devastanti allo Stato sociale (sanità, pensioni, istruzione, università e ricerca: insomma tutto quello che oggi sarebbe risultato necessario per affrontare in maniera meno devastante la pandemia). È perciò evidente che i trattati internazionali fondativi dell’Unione Europea e della moneta unica sono costruiti per determinare un mercato unico semicoloniale in cui i vantaggi, derivanti dalla forza internazionale dell’euro per l’acquisto di materie prime ed energia, sono stati (e saranno) pagati a caro prezzo dai proletari dei vari paesi, ma in particolare di quelli dei paesi più fragili finanziariamente e fiscalmente, con un apparato produttivo frastagliato e principalmente incentrato sulle piccole-medie aziende, da cui ne deriva un PIL incerto.

Un piano per la collettivizzazione dei settori strategici: punti programmatici e proposte politiche

Non è pensabile che si possa uscire dalla situazione che determinerà una crisi economico-sociale di portata immane, che al momento nemmeno ci immaginiamo, semplicemente mantenendo immutate struttura economico-finanziaria e relazioni socio-economiche: persino l’uomo del sistema che ha gestito la BCE nella tempesta perfetta della crisi finanziaria scoppiata nel 2008, Mario Draghi, ha compreso che occorre sostenere il libero mercato con un puntello di garanzia da parte degli Stati sovrani. Il keynesismo garantista di Draghi (non riformista: qui lo stato acquista un ruolo di garante presso il sistema bancario per finanziare le imprese, non di intervento diretto nell’economia) è una forma di correzione (almeno temporanea) del liberismo puro predicato in questi decenni: ritengo che si sia aperto uno scontro politico-economico tra il settore della borghesia che punta prioritariamente al profitto speculativo finanziario, col rischio di nuovi crolli a breve, e il settore che intende riattivare la capacità produttiva di settori in cui potrà riprendere la valorizzazione del capitale e l’estrazione di profitto.

La ricetta di Draghi (che già qualcuno, anche nella maggioranza, pensa possa ricoprire il ruolo di futuro premier) resta confinata nel recinto del sistema capitalistico, senza neppure la prospettiva del keynesismo riformista o interventista (dello Stato): essa tutt’al più ridefinirà i rapporti all’interno della borghesia, privilegiando le componenti più capaci di innovazione, trasformazione, rivoluzionamento nell’organizzazione produttiva, gestionale, distributiva, ridisegnando un nuovo capitalismo moderno e tecnologicamente all’avanguardia, ma non per questo meno feroce.

I provvedimenti governativi vanno nella direzione giusta, ma solo provvisoriamente e temporaneamente: assunzione di medici e infermieri, cassa integrazione per lavoratori e lavoratrici (degli appalti, in particolare) fermi per la sospensione delle attività, proposte di un fondo di solidarietà progressivo sui redditi (che pareva condiviso nel governo e dalle principali azionisti di maggioranza e che invece sembra piuttosto contrastato all’interno del Partito Democratico e non gradito al democristianissimo Conte).

Quel che occorre iniziare a elaborare, piuttosto che provvedimenti circoscritti, che restano estemporanei e a macchia di leopardo, è un vero e proprio piano di ricostruzione delle attività produttive e distributive, nonché di riconversione della produzione per consentire di affrontare in sicurezza il riavvio delle relazioni sociali (innanzitutto quelle produttive e lavorative) e dei trasporti, fondato sull’universalismo dei diritti (alla salute, alla previdenza, al reddito, all’occupazione, all’istruzione) e sulla nazionalizzazione (e socializzazione) dei settori strategici della produzione, della distribuzione, del controllo finanziario e fiscale.

Andranno rafforzati i servizi pubblici tramite investimenti massicci, a partire ovviamente e necessariamente dalla sanità, per assumere personale medico e infermieristico, costruire ospedali, riattivare presidi territoriali, pronto soccorso, restituire posti letto, implementare e rafforzare la medicina sociale e territoriale che si integri con i poli ospedalieri di eccellenza in cui rafforzare competenze, studi, ricerche, strutture dedicate alle nuove (probabili) epidemie prossime venture. Ripensare il rapporto con il privato, non più in termini di concorrenza e sussidiarietà, ma di integrazione e subordinazione di laboratori e cliniche all’interesse generale anziché al profitto.

Per questo obiettivo, occorrerebbe istituire un controllo centralizzato e diretto sulla ricchezza privata depositata negli istituti bancari (conti correnti, titoli), imporre un’estrazione progressiva di risorse finalizzate a finanziare gli investimenti straordinari (non solo nell’ambito sanitario, ma per la cura del territorio e per la difesa dell’ambiente) e a socializzare le risorse complessive del Paese, che non è più tollerabile restino nelle mani di una parte sempre più ristretta e sempre più ricca della società.

Le risorse possono essere trovate anche con la drastica riduzione delle spese militari, a partire dal ritiro di tutti i soldati impegnati nelle missioni militari all’estero e con l’immediata fine dell’acquisto e della produzione degli F35.

Un piano per l’occupazione, i salari, le pensioni, garanzie sociali e diritti per lavoratori e lavoratrici: riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e assunzioni di personale per differenziare i turni di lavoro e servizio

In queste settimane in molti comparti dell’amministrazione pubblica e privata si è diffusa la forma del lavoro da casa, in remoto, a distanza, agile (smart working): questo tipo di lavoro predispone molti lavoratori e lavoratrici ad una forma di lavoro che, se non regolamentato, può diventare una vera e propria forma di asservimento. Occorrerà che sul piano sindacale, ma anche sul piano politico, si vigili perché i carichi di lavoro siano rimodulati (intanto sulla base delle norme per la sicurezza dei lavoratori con videoterminali), con l’individuazione di orari definiti e con la garanzia del diritto alla disconnessione; ma soprattutto, occorrerà controllare che questa forma di lavoro non divenga legittimazione e giustificazione per un ridimensionamento dell’occupazione, che colpirebbe innanzitutto precari e contrattisti a tempo determinato, stagionale, interinale, a progetto.

È necessario rilanciare la campagna per una generalizzata riduzione dell’orario di lavoro, a parità di salario, contestualmente ad un piano di assunzioni che coprano le esigenze delle aziende e delle amministrazioni pubbliche: in questo modo si potranno riorganizzare i turni e le presenze nelle unità produttive, distributive, amministrative in modo da garantire spazi e distanziamenti adeguati; inoltre, questa riorganizzazione permetterà di garantire a tutte e tutti di trovare un impiego che produca un adeguato reddito per ognuno.

Pianificare la collettivizzazione e la socializzazione dei mezzi di produzione, distribuzione, servizi sociali

È un programma minimo, di sopravvivenza e rilancio, che avrà bisogno di forze enormi sul piano sociale e politico, oltreché economico: come comunisti dobbiamo iniziare a elaborare linee di pianificazione per riorganizzare interamente la società, sottraendola ai diktat del capitale e ridefinendola su principi di collettivizzazione e socializzazione dei mezzi della produzione, della distribuzione, dei servizi sociali.

Riconquistare le classi popolari alla prospettiva del socialismo, costruendo alleanze politiche (tattiche e strategiche) fondate su antifascismo, antisovranismo, anticapitalismo è indispensabile per la costruzione di un rinnovato blocco storico che rivoluzioni, superi e archivi definitivamente il capitalismo e l’imperialismo.

19/04/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giovanni Bruno

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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