Videolezione: da Schopenhauer a Kierkegaard

Proseguiamo con la pubblicazione delle videolezioni del corso La distruzione della ragione. Per la critica delle ideologie filosofiche moderne e contemporanee conservatrici e reazionarie tenuto dal prof. Renato Caputo per l’Università popolare A. Gramsci.


Segue da: “Videolezione: la distruzione della ragione dal secondo Schelling a Schopenhauer” uscito sullo scorso numero de “La città futura”.

Link agli articoli pubblicati su questo giornale in cui sono approfonditi i temi affrontati nella videolezione:

Il mondo come volontà e rappresentazione ; Grand Hotel Abisso ; Kierkegaard ; Gli stadi dell’esistenza.

La noia: la vita come pendolo fra dolore e noia con il fugace intervallo illusorio del piacere

Oltre il dolore e il piacere, la terza e ultima situazione esistenziale concepibile, dalla angusta concezione del mondo di Arthur Schopenhauer, sarebbe la noia che emergerebbe, necessariamente a suo avviso, quando viene meno lo stato di tensione, di desiderio che si scarica nel piacere, al quale subentra allora immediatamente la noia, se non vi è subito un nuovo desiderio e, dunque, una nuova e rinnovata fonte di sofferenza. Schopenhauer ne conclude, con il suo consueto pessimismo della volontà, che “la vita umana è un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso l’intervallo fugace e per di più illusorio del piacere e della gioia”.

La sofferenza universale e il darwinismo sociale

La volontà di vivere porterebbe, secondo la catastrofista concezione del mondo di Schopenhauer, al desiderio inappagato che si manifesterebbe in tutto il vivente. Desiderare non potrebbe esser altro che desiderare vivere che, però, comporterebbe immancabilmente il soffrire. Tutto sarebbe, quindi, destinato a soffrire, ma l’uomo – secondo la concezione radicalmente antiumanista di Schopenhauer – non potrebbe che soffrire più di tutti, in quanto avrebbe la “disgrazia” di essere maggiormente consapevole, maggiormente cosciente rispetto a tutti gli altri esseri viventi. Da ciò se ne dovrebbe dedurre il pessimismo cosmico di Schopenhauer: il male non sarebbe solamente nel mondo, in questa spietata Weltanschauung, ma nel principio stesso da cui il mondo intero dipenderebbe, ovvero questa irrazionalistica volontà di vivere una vita che è, essenzialmente, sofferenza.

La posizione di Schopenhauer è apertamente antisociale: vi sarebbe un dolore cosmico dovuto alla lotta crudele di ogni vivente, tormentato e angosciato, che esisterebbe solo a patto di divorare continuamente l’altro da sé, al quale contende lo spazio e il tempo, secondo una concezione resa in seguito popolare dal darwinismo sociale. L’individuo, in tale vicenda irrazionale, appare a Schopenhauer un mero strumento della specie, l’unico fine della natura sembra essere quello di perpetuare la vita e con la vita il dolore che sarebbe a essa necessariamente connesso. In tal modo sarebbe negata a priori la possibilità stessa che le classi subalterne possano aspirare a una vita felice, lottando contro la loro condizione di oppressione. In tal modo i privilegi filistei, che consentono a Schopenhauer di condurre una vita da parassita sociale, sarebbero al sicuro.

La presunta illusione dell’amore

Anche l’amore, uno dei più forti stimoli all’esistenza, non sarebbe altro per Schopenhauer che lo strumento per perpetuare la vita della specie e, quindi, il suo dolore. Il fine dell’amore sarebbe dunque, secondo Schopenhauer, l’accoppiamento, al contrario di quanto avevano sostenuto Platone, Giordano Bruno, il Romanticismo ecc. “L’individuo è lo zimbello della natura”, della volontà di vivere, perché riproducendosi la riprodurrebbe e sarebbe, quindi, responsabile del conseguente necessario soffrire. Perciò secondo Schopenhauer non esisterebbe amore senza sessualità, perciò quest’ultima sarebbe considerata come peccato e vergogna, in quanto costituirebbe il peggiore dei delitti: perpetuare la sofferenza, producendo altre creature destinate necessariamente a soffrire. Del resto Schopenhauer era decisamente misogino e non è mai riuscito a costruire un rapporto d’amore con una donna.

La polemica di Schopenhauer contro l’ottimismo cosmico

Schopenhauer polemizza aspramente contro l’ottimismo cosmico, che costituirebbe lo schema di pensiero dominante in occidente, che considererebbe il mondo come un organismo perfetto governato da una divinità o da una ragione immanente, come nella filosofia hegeliana. Dal punto di vista di Schopenhauer non sarebbe altro che una visione consolatrice, ma certamente falsa. Schopenhauer afferma a tal proposito: il nostro mondo “non è il migliore dei mondi possibili, il regno della logica, ma è un mondo irrazionale, dove dominano illogicità e sopraffazione”, in cui regnerebbe incontrastata la legge della giungla, in cui il più forte si imporrebbe con la violenza sul più debole. In un tale mondo non ci deve essere, nella prospettiva classista di Schopenhauer, la speranza di una redenzione per gli umiliati e offesi nemmeno attraverso la credenze in Dio. Al punto che Schopenhauer sostiene: “Se Dio ha creato questo mondo, non vorrei essere Dio, perché l’estrema miseria del mondo mi spezzerebbe il cuore”. Tanto da domandarsi: “Donde ha appreso la materia del suo inferno Dante, se non dal mondo reale?”, scrive Schopenhauer appropriandosi di un aforisma di Pietro Verri, da cui riprende, senza mai citare la fonte, buona parte della sua teoria del dolore. Naturalmente rovesciando il senso progressista che aveva tanto in Verri, quanto in Giacomo Leopardi, illuministi intenti a contrastare la visione del mondo consolatoria e passivizzante della religione, quale instrumentum regni e oppio per il popolo, come la definirà Karl Marx.

Prosegui la lettura dell’articolo al link: https://www.lacittafutura.it/unigramsci/grand-hotel-abisso 

Come ricordava Lenin non esistono, come l’attuale ideologia postmoderna vorrebbe farci credere, tante differenti visioni del mondo. Al contrario, esse si riducono, quando non ci si ferma alle parvenze empiriche, a fondamentalmente due: l’ideologia dominante, volta a preservare i privilegi della classe di sfruttatori al potere e la concezione scientifica del mondo, di cui avrebbe bisogno la massa di sfruttati per uscire dalla condizione tradizionale di oppressione. A questo scopo, di contro allo spontaneismo piccolo borghese, che non fa che declinare in salse diverse il vecchio mito del buon selvaggio, i subalterni sono tali proprio perché egemonizzati dal pensiero unico dominante. Da qui il ruolo essenziale non dell’intellettuale tradizionale, più o meno consapevolmente al servizio della classe dominante, ma di un intellettuale collettivo organizzato in un partito di quadri rivoluzionario in grado di divenire comunista, ovvero avanguardia del proletariato, in quanto riesce a divenire egemone fra gli oppressi e sfruttati mediando una visione del mondo antagonista a quella delle classi dominanti.

D’altra parte, come già sapevano i giovani Marx ed Engels, l’ideologia dominante è sempre l’ideologia della classe dominante. Per cui sino a quando i rivoluzionari non conquisteranno il potere, la loro capacità di egemonia sugli sfruttati è sempre a rischio. Inoltre, i subalterni, oppressi e sfruttati, difficilmente hanno la possibilità di formarsi una visione del mondo autonoma e per questo finiscono generalmente per dipendere da intellettuali del blocco sociale dominante che tradiscono la loro classe di provenienza, magari perché sono in via di proletarizzazione o semplicemente perché comprendono dal punto di vista della filosofia della storia quale sia l’unica alternativa alla crisi di civiltà a cui il capitalismo ci sta conducendo. D’altra parte tali intellettuali non sono sempre affidabili, sia perché nei momenti decisivi del conflitto di classe tendono a ripiegare nelle classi di provenienza, sia perché generalmente mantengono del loro modo di pensare elementi dell’ideologia dominante. Perciò è essenziale che i subalterni siano in grado, per uscire da questa condizione di oppressione, di elaborare intellettuali a loro organici.

Alla formazione di questi ultimi è decisiva, in primo luogo, una critica dell’ideologia dominante, per poter elaborare una visione del mondo antagonista. Non a caso Marx ha inserito come sottotitolo, volto a chiarire la funzione della sua opera fondamentale, Critica dell’economia politica. Tale opera resta decisiva per contrastare l’ideologia dominante al decisivo livello delle strutture economiche e sociali. D’altra parte, come sottolinea Gramsci, gli individui sviluppano la propria coscienza socio-politica a livello delle sovrastrutture e la battaglia che si combatte nel loro campo per l’egemonia sulla società civile è decisiva per le sorti della Rivoluzione in Occidente.

Quindi, come contributo alla lotta di classe sul piano delle sovrastrutture, abbiamo pensato di iniziare quest’anno accademico dell’Università popolare Antonio Gramsci con un corso di taglio filosofico-politico dedicato alla critica dell’ideologia dominante (conservatrice e/o reazionaria) dalla prima metà del diciannovesimo secolo ai nostri giorni.

Per continuare a leggere la presentazione del corso: vai al link: La distruzione della ragione.

21/11/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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